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Praga torna in piazza trent’anni dopo: nel segno di Havel il popolo smaschera il bluff populista
Domenica 23 giugno 2019, sulla spianata di Letná a Praga, si sono radunate 300mila persone. La più imponente manifestazione di popolo dal 1989 ha messo sotto accusa il leader populista ceco Babis. Gestione clientelare del potere, conflitti di interesse, distrazione di fondi europei: è questo il tratto distintivo dei "sovranisti" (anche nostrani)
di Marco Dotti
Trecentomila persone sono scese in piazza a Praga. Non è una novità, ma colpisce vedere che l'Europa di Visegrád non è statica, ferma, arroccata. Tutt'altro. L'immagine del "sovranismo" è, in buona parte, una costruzione di élites – soprattutto nostrane – che cercano di non farsi scoprire per quello che sono: caporali (nemmeno generali) nel loro labirinto. La società civile è ben altra cosa.
Una ragione immediata e una ragione di scenario, che dà profondità di campo alla prima, hanno innescato quella che è la più imponente fra le manifestazioni dalla Rivoluzione di velluto. Rivoluzione che, trent'anni fa, portò alla caduta del regime comunista.
La ragione immediata che ha spinto centinaia di migliaia di persone a scendere per strada, domenica scorsa, a Praga è stata la richesta di indipendenza del sistema della giustizia nel Paese: il premier Andrej Babis è sospettato di frode sui fondi europei e la popolazione teme una soluzione "all'Italiana" (leggasi 49milioni di euro e Lega). Andrej Babis, 64 anni, è il fondatore del gigante dell'agroalimentare Agrofert ed è sospettato di aver distolto illecitamente 2 milioni di euro dai fondi europee.
La ragione di scenario è proprio la memoria, che i cechi vogliono memoria viva e attiva, di quanto successe nel 1989. Molti manifestanti ricordano inoltre che il premier Babis militava nel Partito Comunista prima del 1989 e gli attribuiscono unapresunta collaborazione con la polizia segreta del regime.
Una manifestazione contro un governo considerato clientelare e corrotto e contro i conflitti d'interesse del premier. Ma anche – lo scriveva il New York Times ai primi di giugno, commentando altre manifestazioni – per «l'anima del Paese».
Il premier Babis ha ribattuto che manifestare è un diritto, ma si è fermamente rifiutato di dimettersi. Il suo movimento populista ANO rimane il partito più popolare nel Paese, anche se il suo sostegno è alato negli ultimi due mesi, arrivando al 27,5%, secondo un sondaggio dell'agenzia Kantar.
Qualcosa sembra vivo sotto la cenere. Si tratta forse di quella polis parallela teorizzata dal dissidente ceco Václav Benda e messa in atto proprio dal protagonista della rivoluzione del 1989, Václav Havel. La sola via d’uscita dal dispotismo, insegnava Havel, consiste nel «vivere nella verità», che significa «non solo rifiutare ogni partecipazione nel regime della menzogna, ma anche rifiutare ogni falso rifugio».
Polis parallela. Società civile. Una nuova Europa. La si chiami come si vuole. «E se fosse qualcosa che è già qui da un pezzo e che solo la nostra cecità e fragilità ci impediscono di vedere e sviluppare intorno a noi e dentro di noi?». E se la risposta al teatrino dell'assurdo sovranista (anche in salsa italiana) fosse già sotto i nostri occhi? «Il "futuro luminoso" – insegnava Havel – comincia dall'io» . Da una presa di responsabilità e da un passaggio all'atto.
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