Politica

Povertà: Serracchiani sulla strada giusta, ma ora osi di più

La pagella di Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan, alla nuova legge della regione Friuli Venezia Giulia che da più parti viene indicata come modello nazionale: «Bene sull'incompatibilità dell'accumulo con altre forme di sostegno al reddito, ma di certo non si può parlare di misura attiva»

di Redazione

A fine giugno la regione Friuli Venezia Giulia ha approvato anche con i voti di Sel e Movimento 5 Stelle una legge che prevede l’assegnazione del sussidio per le persone con redditi molto bassi. Si arriva a un massimo di 550 euro per le persone con un indicatore Isee inferiore ai 6mila euro per una durata massima di 12 mesi. Il governatore e vicesegretario del Partito Democratico, Debora Serracchiani ha salutato l’approvazione come «misura attiva per l’inclusione sociale» e anche oggi dopo la relazione del presidente dell’Inps, alcuni hanno letto in quella norma la declinazione concreta del reddito minimo che dovrebbe costituire uno dei cinque cardini della riforma delle pensioni che ha in testa Boeri.

Vita.it ha chiesto una valutazione della norma a uno dei massimi esperti indipendenti in materia, il direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato.

C’è chi vede nella legge del FVG una svolta nella concezione della politiche si sostegno al reddito, è così?
Solo in parte. Partiamo dall’aspetto più positivo che fa di questo provvedimento in assoluto la miglior legge su piazza in questo settore: il Friuli Venezia Giulia ha stabilità che il sostegno al reddito può andare solo ed esclusivamente a chi non percepisce altri aiuti. Mi sembra una misura di equità che va nella direzione di stare a fianco di chi ha veramente necessità e non di chi può contare su altri salvagenti. Certo sarà un impegno non semplice per l’amministrazione che dovrà gestire le verifiche, ma la loro tradizione teutonica in questo senso è una buona base su cui poggiare.

Cosa invece non lo convince?
Le rispondo con una domanda. Cosa intende la Serracchiani per “misura attiva”? Da quello che capisco io questa norma, e come lei quella trentina e quella sarda, si rifanno alla “tradizione” italiana dove per attivazione si intende l’accettazione di un contratto con l’amministrazione pubblica in base al quale il beneficiario si impegna a seguire i corsi di formazione che gli vengono proposti durante il periodo di inattività. Questo meccanismo però non ha niente di attivo. Lo dimostrano i numeri.

Quali numeri?
Quelli del tasso di attivazione che nelle regioni a cui facevo riferimento prima non superano il 10%: ovvero meno di un beneficiario su dieci nel periodo di sostegno rientra nel mondo del lavoro. In altre parole la gran parte preferisce restare sotto l’ombrello dell’aiuto di stato quanto più a lungo possibile.

Ci sono alternative?
Io credo che il sostegno vada concesso solo a chi accetta nel frattempo di restituire qualcosa alla comunità attraverso attività sociali, una sorta di servizio civile. In questo modo, fra l’altro, si eviterebbe, cosa tutt’altro che rara, che i percettori degli aiuti nel frattempo lavorino in nero, portando a caso un doppio introito. Senza contare il valore sociale e formativo insito in un’opera di servizio alla comunità.

Giudizio finale sulla Serracchiani?
La strada intrapresa è quella giusta, ora abbia più coraggio.

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