Famiglia
Povertà/ Norina, una vita da 200 euro
Davanti alla vetrina di una libreria, a due passi della stazione, va in scena un piccolo frammento di quel grande film chiamato Italia di oggi..
Non è un bel posto, la galleria commerciale di fronte alla stazione di Bologna. Ci stanno un negozio di calze da donna che, dalle vetrine, mi ha sempre dato l?impressione di vendere solo calze a rete nere. Un bar sulla destra con dei tavolini, un posto di valige (grandi, a buon mercato e inclini a rompersi attraversando la strada), un altro bar di quelli dove fa tutto la padrona ed entrano solo i clienti abituali perché le bottiglie di Maraschino devono essere lì da prima della guerra e il caffè sa di rancido.
Poi c?è la libreria Pickwick, che promette sconti mirabolanti del 70-75%, purtroppo solo su una trentina di titoli; sugli altri libri, offre il 50% per quelli un po? datati e nessuno sconto sulle ?novità?. I due banchi all?esterno, che costano meno, offrono una Storia del marxismo di Predrag Vranicki (anno 1979), Curarsi con i fiori di Bach (1985) e una serie di volumi di editori mai visti altrove, forse di quelli che vendono solo libri interamente finanziati dall?autore (Sfrenate passioni, antologia poetica 1950-1999 del prof. Arcanio Diotallevi, preside a Montegrano).
Io le vetrine della Pickwick le guardo lo stesso. Intanto perché quando esco da due ore in treno dove i cellulari suonano ininterrottamente ho bisogno di cinque minuti per riacclimatarmi col mondo. E poi perché qualche libro di Georges Simenon si trova sempre, magari in un?edizione che alla Feltrinelli neppure sanno che esista.
Il primo incontro
Così, la settimana scorsa, stavo pensando che forse potevo comprarmi il S. Agostino e la fine della cultura antica di Henri-Irenée Marrou (1987) quando una signora mi ha detto qualcosa. Era ferma davanti alla vetrina, accanto a me, ed era piccola di statura, una vecchietta che forse aveva bisogno di un?informazione: «Scusi se la disturbo?». Pensavo che volesse sapere dov?è la fermata degli autobus: la galleria confonde le idee, non ci sono indicazioni e, per andare in centro, bisogna attraversare un parcheggio.
L?ho guardata con l?aria con cui si devono guardare le persone anziane, cioè senza fretta. I giovani hanno fretta, gli adulti hanno fretta, il mondo ha fretta e gli anziani, invece, hanno un sacco di tempo. Se arrivano in stazione due ore prima è perché a casa non avevano nulla da fare dopo aver rifatto il letto, spolverato il televisore e lavato i piatti. In teoria hai molto da fare, dopo i 65 anni: devi pagare le bollette andando in un ufficio lontano (non tutti hanno la banca che ci pensa) poi magari devi cercare il supermercato dove questa settimana ci sono le offerte ?Prendi tre e paghi due? e, se non è ancora mezzogiorno, ti fermi dalla Irma a comprare la piadina. O meglio, a chiedere dov?è andata la Irma adesso che la piadina non la fanno più e, al suo posto, c?è un negozio di sandali col tacco da 13 centimetri e la cinghietta da far girare attorno alla caviglia. La Irma sta fuori città, da quando è andata in pensione anche lei.
«Volevo chiederle, mi perdoni? non avrebbe da darmi un euro?»
Io sono un po? lento a reagire, anche perché le vetrine della Pickwick non sono il posto migliore per chiedere la carità: se non stai appiccicato al vetro, minimo ti passa sopra il piede una Samsonite viola da 35 chili, diretta verso l?Eurostar per Roma che parte un minuto dopo.
La voce era un po? più flebile, un accento bolognese doc, le parole che uscivano in fretta: «Se non ce l?ha mi basterebbero anche 50 centesimi?»
Tutto sbagliato. A Bologna ci dev?essere una ragione valida per chiedere dei soldi. I motivi specifici hanno una loro geografia: al binario 9, quello del mio interregionale, ti chiedono un euro «per fare il biglietto» e, se accenni solo a rallentare il passo, ti spiegano che devono tornare a Battipaglia, sono orfani, gli hanno rubato tutto proprio mezz?ora prima. Una variante del 2007 è «sono appena uscito di galera», come se questo potesse predisporre al buon cuore i professionisti con la cravatta rosa e il fazzoletto nel taschino che tornano a Imola o a Faenza dopo una giornata di lavoro nella metropoli.
In centro, dalle parti di via Zamboni, c?è una ricca popolazione di ragazzi con i cani che in genere non dicono nulla, forse io però ho l?aria meno ostile delle signore appena uscite dal parrucchiere e quindi mi dicono, a volte, «un euro per telefonare a mio padre» oppure «una monetina per comprare da mangiare al cane».
La signora davanti alla Pickwick, adesso, stava dicendo tutt?altro: «Ho 95 anni e sono sola». Improvvisamente, mi sono reso conto che stava facendo uno sforzo enorme perché non era abituata a chiedere qualcosa a degli sconosciuti. Forse era addirittura la prima volta che lo faceva e si vergognava come una ladra. Il mio stupore appariva come freddezza, diffidenza, ostilità. Ho tirato fuori il portafoglio, un messaggio non verbale per rassicurarla, cercando di capire che tipo era.
«Ho 200 euro al mese di pensione».
Un cappuccino per cena
In borsa, avevo i quotidiani della settimana scorsa, quelli dove si diceva che nel 2005 l?Italia ha speso oltre 215 miliardi di euro per le pensioni, pari al 15,2% del Pil. Suona tremendo 215 miliardi di euro, una cifra che affossa il bilancio dello Stato, provoca un infarto all?economia, mette il Paese in ginocchio (tutte metafore tratte dagli articoli dei giornali). Chissà se portare la pensione della signora che avevo davanti da 200 a 205,6 euro (l?anno scorso, l?importo medio è salito del 2,8% dice l?Istat) significherà la bancarotta del Paese…
Non avevo spiccioli, neanche un pezzo da 10 centesimi. La banconota più piccola che avevo era da 20 euro, una di quelle belle croccanti che ti danno al Bancomat. Si può dire: «Mi dispiace, non ho moneta», anche se è vero? A volte si può, in quel momento non si poteva, e l?idea migliore che mi è venuta è stata quella di entrare in fretta nella libreria Pickwick, farmi dare quattro banconote da 5 euro e tornare fuori: «Non vorrebbe bere un cappuccino?».
Le sette di sera non è l?ora del cappuccino ma una volta gli anziani al posto della cena prendevano il caffelatte, quindi ho pensato che potesse andar bene. «Grazie, Dio la benedica». Il bar con i tavolini era vuoto pneumatico, e forse l?ultimo cappuccino lo avevano servito dieci anni fa: i rari clienti pare consumino solo birra (5 euro). Il cameriere assunto la mattina stessa (stipendio mensile 750 euro in nero, ma questa è un?altra storia) ha storto il naso ma poi ci ha portato le due tazze e così ho potuto chiedere qualche informazione in più.
Ne è venuta fuori una storia di normale povertà urbana: la signora Norina è rimasta vedova di un marito che non aveva maturato il minimo della pensione, per qualche anno ha fatto le pulizie negli uffici di una banca, poi il lavoro è diventato troppo faticoso per lei. Non ha figli, vive in una casa di proprietà solo perché una sorella più anziana, ora scomparsa anche lei, le aveva lasciato un bilocale dall?altra parte dei binari, in via Stalingrado.
Il suo caso non è poi così raro: il 24% dei pensionati italiani percepisce meno di 500 euro, si tratta di quattro milioni di persone. Avete letto bene: quattro milioni, il doppio degli abitanti di Milano. Non tutti sono all?elemosina: molti hanno dei risparmi, alcuni hanno dei figli che li aiutano, l?80% ha la casa in proprietà. Ne restano sempre tanti, troppi, che non sanno cosa fare per mangiare due volte al giorno. Sono spesso soli da molti anni, perché la vita si è allungata e vivere fino a 83 anni per le donne è normale, vivere fino a 90 non è così raro. Vuole dire passare anche vent?anni da soli, se si è sfortunate.
Questo ?non saper cosa fare? è l?aspetto più tragico della povertà urbana: i senegalesi hanno delle reti di mutuo soccorso, di aiuto fra connazionali, non sempre i nostri vecchi le hanno, per il semplice motivo che non si pensano come poveri bisognosi di qualcosa di diverso da ciò che hanno sempre avuto. Reti di protezione significa sapere qual è l?ufficio del Comune a cui si può chiedere l?assistenza domiciliare, dove sono gli uffici della Caritas, come informarsi all?Inps se magari non si ha diritto a un aumento. La burocrazia premia chi è capace di servirsene, non chi ha veramente bisogno.
La signora Norina alcune di queste cose le sa, altre non le immagina neppure. Fino a poche settimane fa non immaginava neppure di dover chiedere la carità, poi la banca le ha chiuso il conto perché «il saldo era inferiore a 100 euro e non c?erano movimenti». Già, difficile fare movimenti bancari quando la pensione arriva alla posta e non basta neppure per la spesa della prima settimana del mese. Così si è messa davanti alla libreria Pickwick senza immaginare di poter stare lì tutto il giorno senza tirare su nemmeno 50 centesimi, perché nella galleria davanti alla stazione di Bologna tutti hanno fretta. Tutti abbiamo fretta.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.