Welfare
Povertà, la riforma del Reddito di cittadinanza che manca l’obiettivo
«Dopo mesi di attesa il Governo ha definito con un decreto le nuove regole per poter accedere alla misura di contrasto alla povertà», scrive Antonio Russo, portavoce dell'Alleanza contro la povertà. «Una decisione resa legge con un provvedimento che sostanzialmente sdoppia il preesistente Reddito di cittadinanza in due differenti strumenti: l’Assegno d'inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro. Ma la riforma è stata fatta senza alcun confronto con le organizzazioni sociali che si occupano nel nostro Paese di povertà. Si perde di fatto l’universalità del diritto e, con esso, la prospettiva di una vita dignitosa per tutti»
Da qualche giorno è possibile nel nostro Paese dividere in categorie chi vive una condizione di fragilità sociale. Sembra questo il criterio che sta alla base della riforma del Reddito di cittadinanza contenuta all’interno del decreto lavoro, approvato il Primo Maggio scorso dal Consiglio dei Ministri, in una data simbolica come quella della festa dei lavoratori.
Dopo mesi di attesa nei quali si sono alternate varie bozze di riforma, il Governo ha definito con un decreto le nuove regole per poter accedere alla misura di contrasto alla povertà. Una decisione resa legge con un provvedimento che sostanzialmente sdoppia il preesistente Reddito di cittadinanza (Rdc) in due differenti strumenti: l’Assegno d'inclusione (Adi) e il Supporto per la formazione e il lavoro. Entrambi, per come è cresciuta e si manifesta la povertà assoluta in Italia (6 milioni di persone), rischiano purtroppo di mancare completamente l'obiettivo.
A riforma fatta, senza alcun confronto con le Organizzazioni sociali che si occupano nel nostro Paese di povertà, risalta, su tutto l’impianto del provvedimento, l’applicazione di un principio selettivo: per la prima volta, rispetto alle misure precedenti che si sono susseguite dal 2013 ad oggi, si perde l’universalità del diritto e, con esso, la prospettiva di una vita dignitosa per tutti. I poveri vengono così divisi in due categorie: gli occupabili, coloro presumibilmente in grado di essere inseriti nel mercato del lavoro e i non occupabili, definiti tali per condizioni di età e composizione del nucleo familiare. Quale sia la logica che muove la filosofia di questa scelta resta al momento incomprensibile. Mai prima la ratio di una misura era stata orientata ad una divisione così netta nella valutazione dell’attribuzione di un sostegno. Sicché oggi la povertà si divide in due categorie : da un lato i “meritevoli”, dall’altro i “non meritevoli”, senza che il metro di valutazione trovi pari criterio in altri Paesi europei.
L'Assegno d'inclusione è pensato per le famiglie non occupabili con minori, disabili oppure over 60 all'interno del nucleo. Ha una durata di 18 mesi, cui segue un mese di pausa e altri 12 mesi di sussidio. Per accedere a questa misura l'Isee non deve superare i 9.360 euro e l'importo sarà di 500 euro, a cui eventualmente vanno aggiunti 280 euro per l'affitto e ulteriori incrementi sulla base della scala di equivalenza. L’Adi, a una prima lettura sembrerebbe un po' più generosa rispetto al Rdc (dal quale non si distanzia molto) per nuclei familiari con a carico persone disabili. Ciò che colpisce di questa misura è che in nessun modo si considerano i carichi familiari dai 18 ai 60 anni.
Per questa seconda platea, i cosiddetti occupabili, di cui dovrebbe farsi carico la seconda misura, è previsto l’accompagnamento al lavoro. A questi spetterebbe, in particolare, il Supporto per la formazione e il lavoro, con un contributo mensile di 350 euro per 12 mesi non prorogabili. Non poche e non semplici le condizioni di accesso: limiti di reddito fissati a 6mila euro l'anno e frequenza obbligatoria di un corso di formazione o partecipazione a un progetto di servizio civile o, ancora, svolgimento di un lavoro socialmente utile. L'indennità di 350 euro sarà corrisposta solo per il periodo in cui queste iniziative si svolgeranno.
Altra condizionalità legata al supporto per la formazine al lavoro saranno le cosiddette “proposte congrue”: in caso di contratto a tempo indeterminato, saranno congrue le proposte di lavoro oltre gli 80 chilometri di distanza, con tutte le conseguenze che ne deriveranno. Per contratti a tempo determinato, invece, la proposta sarà congrua quando collocata entro gli 80 chilometri da casa. Molte le perplessità di merito che l’Alleanza contro la povertà ha sollevato su un provvedimento che trova applicazione in un momento di particolare difficoltà economica in cui le fragilità sociali potrebbero crescere e, con esse, la forbice della disuguaglianza.
Resta il fatto che, tra qualche mese, circa 213 mila persone perderanno l’unico sussidio che, garantendo loro un minimo vitale, li tutelava da una condizione di povertà estrema. Con lo scadere dell’anno, la stessa sorte potrebbe toccare ad altre circa 200 mila persone. Molte al momento le questioni irrisolte: come faranno coloro che non riusciranno a trovare una occasione di formazione o di lavoro a non scivolare in una condizione di povertà estrema? I Comuni, insieme alle agenzie per il lavoro, chiamati ad una presa in carico dei senza sussidi e senza occupazione, saranno in grado di accompagnare queste persone nel processo di acquisizione di competenze necessarie per un inserimento lavorativo? Queste solo alcune delle perplessità che auspichiamo al più presto possano essere affrontate e corrette nel dibattito parlamentare sul Dl 48 2023 che si aprirà nei prossimi giorni. Ciò affinché non si affermi una cultura secondo la quale la povertà è una colpa piuttosto che una condizione complessa, multidimensionale, e a volte indotta, di cui uno Stato ha il dovere di farsi carico.
*Antonio Russo, portavoce Alleanza Contro la Povertà
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