Politica

Povertà educativa, una piccola (grande) notizia dalla legge di bilancio

La legge di bilancio per il 2021 prevede la realizzazione di un programma nazionale di ricerca-intervento per il contrasto alla povertà educativa, con le università chiamate a scendere in campo: «le politiche pubbliche, per essere efficaci, devono alimentarsi di dati e ricerche», afferma la direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children. Prevista la partecipazione volontaria di studenti impegnati nel sostegno educativo

di Raffaela Milano

Tra le pieghe della legge di bilancio, tre commi (507-509) non devono passare inosservati. Non tanto per lo stanziamento (2 milioni), quanto per la rotta che vogliono tracciare.

Su iniziativa di Chiara Gribaudo e Tommaso Nannicini, deputati del Partito Democratico, si prevede la realizzazione di un programma nazionale di ricerca-intervento sul contrasto alla povertà educativa (leggi qui la news sugli emendamenti). Il programma, definito dal Ministero dell’Università di concerto con quello dell’Istruzione, dovrà realizzare un monitoraggio dei territori, dei gruppi di popolazione più a rischio e sperimentare modelli innovativi.

Gli effetti della pandemia sulla povertà educativa si stanno manifestando in tutta la loro gravità, con il rischio non solo di una generalizzata perdita di apprendimenti, ma anche di abbandono della scuola: già prima dell’emergenza il 13,5% degli studenti la lasciava precocemente. Un quadro ancor più fosco perché molti ragazzi dispersi, con l’impoverimento delle famiglie, vengono coinvolti nel lavoro sfruttato. Questo registriamo, con Save the Children, nei territori più marginali. Bene quindi che le Università scendano in campo, in una strategia nazionale unitaria, al fianco delle scuole e del Terzo settore. C’è bisogno di azione – certo! – ma anche di ricerca.

Il concetto di “povertà educativa” è molto giovane. È stato introdotto proprio da Save the Children nel 2014, grazie al contributo di un comitato scientifico di alto profilo[1]. Si deve a questo comitato la prima definizione (“la privazione da parte dei bambini e degli adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”[2]) e la scelta di 14 indicatori per misurare le diseguaglianze regionali con un Indice di povertà educativa (IPE). Importanti studi sono poi seguiti, come quelli dell’Osservatorio sulla povertà educativa dell’impresa sociale Con i Bambini e di Openpolis, le mappature della facoltà di Statistica dell’Università di Pisa, ed altri ancora. Ma è grave dover costatare che molti dati fondamentali non sono tuttora disponibili e molte domande sono rimaste aperte, in quella intersezione tra discipline dove si incontrano teorie della povertà, resilienza, dimensione pedagogica degli apprendimenti. Le politiche pubbliche, per essere efficaci, devono alimentarsi di dati e ricerche. Speriamo dunque che la sfida della ricerca-intervento sia raccolta dai migliori centri delle nostre Università.

C’è poi un secondo elemento di valore nella misura che riguarda la partecipazione volontaria al programma di ricerca e di intervento di studenti universitari nel sostegno educativo (comma 508). Con Save the Children abbiamo già potuto vederne le potenzialità, nell’iniziativa “Volontari per l’Educazione” promossa in collaborazione con la Conferenza dei Rettori e la Rete delle Università sostenibili dell’ASVIS. Gli studenti universitari, adeguatamente formati, sostengono nello studio un bambino o un adolescente a rischio di dispersione. Non si sostituiscono ai docenti o agli educatori, ma, in rete, affiancano, ascoltano, incoraggiano ad aver fiducia nelle proprie capacità. Con la pandemia abbiamo visto affacciarsi al volontariato un gran numero di ragazzi e ragazze, forse spinti anche da un “dovere di sostituzione” nei confronti dei volontari anziani impossibilitati per motivi di salute. Il volontariato educativo può essere per i giovani un grande spazio di azione civica. L’efficacia della nuova misura si valuterà dai fatti. Speriamo che dall’alleanza tra comunità di ricerca e comunità educante – tra “Accademia” e “campo” – nascano nuovi strumenti per fronteggiare questa crisi educativa senza precedenti e tutelare il diritto ad un’educazione di qualità per tutti i bambini, in questo tempo difficile.


[1] Il comitato era composto da Andrea Brandolini, Daniela Del Boca, Maurizio Ferrera, Enrico Giovannini, Maria Emma Santos, Marco Rossi Doria, Chiara Saraceno e con il costante sostegno di ISTAT. Alla definizione partecipò anche una rappresentanza di bambine, bambini e adolescenti dei territori più marginali.

[2] Save the Children, “La Lampada di Aladino. L’Indice di Save the Children per misurare le povertà educative e illuminare il futuro dei bambini in Italia”, maggio 2014, https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/la-lampada-di-aladino

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