Welfare

Povertà, ecco la prima fotografia del Bonus spesa

Introdotti dal Decreto sostegni/bis del 2021, hanno erogato un valore di 500 milioni direttamente tramite gli oltre 8.000 Comuni italiani. Un operatore di settore, Up day, con l'Istituto di ricerca Tecnè, ha cercato di analizzare la misura di welfare e i suoi scenari

di Barbara Polidori

La pandemia ha messo in luce forme di disuguaglianza che, se prima marginali, nel post lockdown hanno toccato fasce di popolazione sempre più ampie ed esasperato le condizioni di vita di molte famiglie. Una delle difficoltà più patite riguarda la propensione alla spesa degli italiani, strettamente connessa all’aumento della povertà alimentare a cui il Governo ha cercato di far fronte dal 2021 con il Decreto Sostegni Bis, attraverso i Bonus spesa.

Sebbene le risorse (500 milioni erogati direttamente agli oltre 8.000 Comuni italiani) si siano rivelate insufficienti a colmare il disagio dei cosiddetti “acrobati della povertà”, soggetti sull’orlo della precarietà, i Bonus spesa hanno contribuito a comunicare invece quanto gli enti locali abbiano bisogno di aiuto per identificare i fabbisogni alimentari delle persone e per distribuire sul territorio gli ausili provenienti dagli enti del Terzo settore. È in questo contesto che si inserisce lo studio realizzato da Up day, società che offre soluzioni mirate per il welfare, e dall’istituto di ricerca Tecnè, che lo scorso 20 marzo hanno presentato a Roma il primo Rapporto sul Welfare, incentrato sui Bonus Spesa.

La ricerca, analizzando i fruitori del Bonus, si propone di quantificare la platea di richiedenti del Bonus spesa e dei percettori, per comprendere il nuovo contesto socioeconomico emerso nel post pandemia e quali misure debbano attuare le istituzioni per contrastare le nuove forme di povertà e vulnerabilità sociale.

«Come Up day rappresentiamo il braccio operativo di molti Comuni nell’accesso ai sostegni da emettere per i residenti, li aiutiamo in particolare a erogare titoli di servizio per cittadini in situazioni di fragilità, quella che noi chiamiamo anche ‘povertà grigia’», ha così introdotto Mariacristina Bertolini, direttore Generale Up Day (foto sotto, ndr), «e con questa ricerca vogliamo sancire il nostro interesse per il territorio e per le imprese che lo costituiscono, aumentando il valore d’acquisto delle aziende attraverso il welfare, rendendole visibili per i dipendenti che vogliano usufruire dei buoni spesa, ma anche in termini di produttività per il Paese».

L’indagine si propone quindi di aiutare le famiglie più bisognose dei Comuni coinvolti dalla misura, realizzando delle mappe sui nuclei meno abbienti e approfondendo anche la tipologia di aiuti erogati alle imprese via iniziative di welfare, fondamentali in un momento in cui la crisi economica, la disoccupazione, la precarizzazione del lavoro hanno esposto sempre più individui a una condizione di fragilità economica e sociale.

I Buoni spesa come sinergia sostenibile tra Comuni e Terzo settore

Up day in questi anni si è posta come intermediaria tra domanda e offerta di servizi di Comuni ed enti del Terzo settore, ha messo in contatto infatti 150 Comuni con gli operatori sociali di tutta Italia, favorendo l’accesso al credito sia per i piccoli Comuni, che si aggirano in genere intorno a una capacità di spesa media di 5-6mila euro, fino a quelli più grandi, da 12-18 milioni di euro.

I buoni di spesa sociale si concentrano principalmente sui bisogni principali delle persone, come generi alimentari, farmaci libri scolastici. Dal 2021 fino a ora ne hanno beneficiato 2 milioni e mezzo, le richieste però non si sono mai fermate. «Dall’indagine che abbiamo realizzato emerge che tra il 2007 e il 2021 la povertà in Italia è cresciuta, ma è aumentato al contempo anche il numero delle persone in stato di povertà appartenenti al ceto medio, unico caso in Europa», ha spiegato Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè, «tre famiglie su 10 in Italia hanno difficoltà ad andare avanti e ogni anno circa 300mila famiglie scivolano sotto la soglia della povertà, perché basta anche una semplice cartella esattoriale per una bolletta non pagata a condannarle».

Stando allo studio, in Italia le persone in condizioni di povertà per ragioni lavorative nel 2012 erano il 30%, tutte in cerca di occupazione (+8% rispetto al 2007). La perdita del lavoro, la diffusione di nuove tipologie lavorative, molte incentrate proprio sulla precarietà come nel caso dei rider, ha inciso anche sui diritti delle persone, condannandole a redditi miseri e all’instabilità.

«I professionisti su due ruote che abbiano intercettato sono 4mila in Italia, anche se sulla piattaforma ne registriamo 300mila», ha raccontato Paolo Capone, segretario generale Ugl, «tra questi, ci siamo confrontati con un migliaio circa e ci siamo resi conto che molti prediligevano volutamente metodi di lavori precari. Il problema, allora, non è garantire un salario minimo alle persone e riconoscere le ore effettive lavorate, ma passare il messaggio che debbano essere sempre riconosciuti i diritti costituzionali del lavoratore. Dobbiamo stabilire qual è la soglia minima per vivere dignitosamente«.

La mancanza di un lavoro dignitoso, l’aumento della disoccupazione e la chiusura di molte attività casa Covid-19 sono tutti fattori che hanno eroso i redditi degli italiani, molti dei quali hanno cercato di barcamenarsi tra aiuti statali e il Reddito di cittadinanza. A settembre 2022, sono state circa 1,2 milioni le persone coinvolte dal Reddito, corrispondente a 2,5 milioni totali ed erogato via assegno mensile pari a 551 euro. La misura è spesso considerata come sostenibile, ma il Bonus spesa si inserisce in un contesto diverso e offre soluzioni lungimiranti, tant’è che i beneficiari sono di più, in media 1,9 milioni (con 900 nuclei percettori): eppure l’importo in questo caso è una tantum, di 250 euro. Anche le finalità, però, sono diverse.

«Il Bonus spesa alimentare evita i rischi già palesati dal Bonus Renzi e dal Reddito di cittadinanza. In particolare, il Bonus Renzi è limitato al risparmio, mentre il Reddito di cittadinanza funziona sul fattore velocità, riprende infatti il modello della social card di Tremonti e per funzionare deve spronare al consumo», ha precisato precisa Emmanuele Massagli, presidente dell'Associazione italiana welfare aziendale – Aiwa, «è una misura a difesa dei consumi, non è un caso che dalla Finlandia fino agli Usa sia stata introdotta da governi di destra proprio per misurare la propensione alla spesa. Il buono spesa alimentare, invece, volge al consumo ma orientandolo anche al risparmio».

Ripartire dai territori per fare rete con il sociale

Per rimettere in circolo la produttività del Paese, e quindi anche i consumi, bisogna accompagnare le famiglie alla spesa, ma in un momento di crisi economica e in cui i redditi sono sempre più esigui, non è facile trovare persuadere i consumatori. Secondo la ricerca Up day-Tecnè infatti, la pandemia ha avuto impatti macro-economici del +2,3% sui consumi delle famiglie e +0,8% sul Pil. La spesa media delle famiglie di lavoratori è aumentata inoltre del 11,2% sul cibo e del 1,5% sui beni non alimentari. «Un Paese più povero è un paese in cui mancano i bambini a causa del crollo delle nascite e destinato a diventare più anziano. Il primo segnale che indica come siano cambiate le condizioni delle famiglie dipende dalla crescita di richieste Isee», spiega Andrea Cuccello, segretario confederale Cisl, l’Isee infatti è uno dei criteri per accedere ai Bonus spesa, «se manca la presa in carico da parte dei Comuni di servizi al cittadino, non riusciremo mai a fornire alternative valide al reddito di cittadinanza».

Secondo l’indagine, oggi i principali percettori del Reddito si trovano al Sud, un dato inversamente proporzionale invece al tasso di occupazione e al valore medio dell’Isee, che registra livelli più alti al Nord Italia.

«Quando la Meloni parla di fringe benefit come di una misura necessaria, facendo riferimento all’art. 51 comma 3 del Testo Unico sulle Imposte dei Redditi, che identifica franchigia economica per cui si può dare a un lavoratore qualsiasi tipo di beni e servizi senza che questi finiscano nel reddito da lavoro tassato, dimentica di dire che questa misura, innalzata alla fine dell’anno scorso a 3.000 euro, dal 1 gennaio 2023 si è ritrovata ai vecchi 258 euro- dopo 3 anni che si atteneva a 516 euro – spiazzando le imprese che la stavano utilizzando come misura di welfare, facendo riferimento anche ai buoni spesa», prosegue Massagli, «ed è un peccato perché i fringe benefit stanno diventando una misura di contrasto per la povertà del dipendente della fascia medio-bassa. Sono tre anni che come Aiwa chiediamo al Governo di il comma 2 dell’art. 51, inserendo tra i beni e i servizi sui temi del welfare anche altri aiuti, come le spese per l’affitto degli studenti fuori sede, la cessione del credito welfare per la protezione civile, del sistema sanitario nazionale e tutti gli enti del Terzo settore, la possibilità di riconoscere le spese di cura per gli animali domestici, nonché di aiutare le imprese a comprendere il mondo della mobilità sostenibile e quello delle spese condominiali: sono tutti interventi a costo 0, che però potrebbero aiutare in modo inquantificabile imprese, Comuni e cittadini».

È in questa rete di cooperazione che i Bonus spesa possono fare la differenza sui diritti delle persone. «Il passo fondamentale che trasforma il welfare sociale in welfare aziendale riguarda il discorso del salario minimo: se i buoni spesa fossero considerati come parte del salario delle persone, non dovremmo nemmeno ripensare al salario minimo», conclude Bertolini, «Anche le aziende hanno bisogno di accedere a quegli strumenti che permettono di soddisfare le richieste del personale. Se il pubblico parlasse di più col privato e con gli operatori sociali, che hanno un ruolo centrale, forse si troverebbero meglio le soluzioni a costo zero».

La foto in apertura mostra volontari di Fondazione Banco alimentare al lavoro in un deposito milanese.

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