Welfare

Povero territorio!

di Flaviano Zandonai

I territori sono in crisi. Non solo dal punto di vista economico, delle infrastrutture e delle reti sociali. Sono sempre più carenti nel sapersi rappresentare. Tanto che sono costretti, sempre più spesso, a ricorrere a rappresentazioni d’importazione. Del tipo: “Vogliamo diventare la nuova Silicon Valley”, o “siamo un distretto sociale” e via di questo passo. Rispetto a questa tendenza sul banco degli imputati c’è anche uno storytelling che preferisce prendere la scorciatoia da libro dei sogni piuttosto che far la fatica di elaborare una vera e propria rappresentazione che sceglie di mettere enfasi su alcuni elementi perché tipici, innovativi, prioritari, e intorno ai quali costruire o ricostruire l’identità del territorio. Il registro narrativo oggi in voga è spesso un mix deleterio di agiografia e standardizzazione. Un problema che peraltro accomuna sia l’economia sociale tradizionale che dalla new wave dell’innovazione sociale.

Non è solo una questione di immagine, magari da destinare a uso e consumo di campagne di marketing territoriale (quelle che, di solito, gli enti locali pagano con i soldi dei fondi strutturali europei). Una rappresentazione efficace svolge infatti una duplice funzione. Da una parte coalizza organizzazioni e progettualità sparse in un orizzonte che è comune perché valori, competenze, culture, gusti sono incorporati in processi produttivi di rete con la fiducia a fare da amalgama. D’altro canto la rappresentazione di un contesto esprime una visione che consente non solo a soggetti preesistenti di riconoscersi o meno al suo interno, ma di suscitare nuove iniziative in grado di darle corpo e di contribuire al suo progressivo adattamento.

Un esempio? C’è una rappresentazione emergente del Trentino veicolata dall’innovazione tecnologia che spinge affinché questo territorio assomigli alla valle californiana di cui sopra mettendosi in competizione con altri contesti che mirano allo stesso obiettivo: da Tel Aviv al Cile. Una competizione globale. Funzionerà? Staremo a vedere. Per ora il parallelismo Trentino – Silicon Valley (o qualcosa di simile) sembra un involucro in buona parte da riempire. Ed è forse per questo che i promotori sono preoccupati di lavorare sulle funzionalità d’uso delle loro tecnologie affinché rispondano “ai bisogni del territorio”, oltre ad attrarre ricercatori, aziende e startupper che trovano in questo contesto l'”ecosistema” ideale per la loro attività.

Una soluzione alternativa è tracciata nell’immagine di apertura. Tracciata nel vero senso della parola perché ripercorre sentieri che attraversano porzioni di territorio gestite da amministrazioni sui generis della “cosa pubblica”. Si tratta di carte di regola e usi civici, cioè dei commons che hanno garantito, nei secoli, uno sfruttamento sostenibile delle risorse ambientali. Una rappresentazione storicizzata (meglio antropizzata) del territorio che però va adattata ai bisogni della società contemporanea. Ad esempio un interessante progetto di ricerca vuol portare i commons dalla mezza montagna (il loro habitat naturale) in città per rispondere alle nuove esigenze dell’abitare e della vita comune. Di più: lo stesso tema rinfolcola, ormai da tempo, il dibattito sulla regolazione del web dal quale scaturiscono quelle tecnologie e imprese innovative di cui tanto si parla. Non è che “common valley” funziona meglio?

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