Politica

Poveri, e neanche tanto belli

Allarme per la situazione degli italiani, piano del Governo

di Franco Bomprezzi

Povertà, una parola che sta entrando sempre più di frequente nel linguaggio della politica, nelle dichiarazioni dei ministri, negli impegni del Governo. Ieri l’intervento di Passera è stato allarmante per la franchezza sulla gravità della situazione.

“Governo, un miliardo per i poveri” titola LA REPUBBLICA che nel dossier di pagina 2 analizza il progetto che sarà presentato oggi pomeriggio dal presidente del Consiglio. «Il miliardo arriverà dalla riprogrammazione dei fondi comunitari destinati al Mezzogiorno. Ci hanno lavorato nelle ultime settimane i due ministri Barca e Riccardi: il primo tra i maggiori esperti nell’utilizzo delle risorse di Bruxelles, il secondo nelle politiche contro il disagio sociale. L’obiettivo è di intervenire, in uno stretto collegamento tra il governo centrale e le istituzioni locali, per far restare all’interno della vita comunitaria le fasce di popolazione più fragili, evitare la loro marginalizzazione. Non la social card di Tremonti che è risultata in larga parte inefficace e che comunque puntava ai consumi di prima necessità, ma nemmeno una nuova forma di sussidio che è incompatibile con le regole di finanza pubblica europea. È un approccio diverso quello del governo Monti. Lo schema di intervento – per quanto è filtrato dagli uffici dei tecnici – è quello adottato recentemente dal ministero di Riccardi per bambini e anziani con l’accordo con le Regioni. Con circa un’ottantina di milioni sono stati rifinanziati alcuni servizi per i due soggetti più deboli e più a rischio povertà, secondo le indagini dell’Istat. Quel modello verrà riproposto su larga scala con il Piano nazionale contro la povertà. Per i bambini dovrebbero essere previsti nuovi posti negli asili nidi; per i più anziani l’obiettivo è quello di tenerli il più possibile all’interno della famiglia e, in ogni caso, dentro la vita sociale». In evidenza l’allarme lanciato dagli stessi ministri del Governo Monti. «Prima il titolare del Welfare Fornero che non ha nascosto i ritardi dell’esecutivo nel valutare gli effetti recessivi (e depressivi, probabilmente) dei primi provvedimenti adottati in piena emergenza finanziaria per evitare il baratro del default; poi – ieri – il ministro Passera che ha indicato in circa sette milioni le persone che vivono in una condizione di difficoltà nel lavoro, perché disoccupati, perché inoccupati e scoraggiati, perché impegnati in forme di lavoro irregolare (il sommerso aumenta con la crisi). Tutto questo – per ammissione dello stesso Passera – può mettere a rischio la tenuta sociale del Paese tanto più che le prospettive di crescita dell’economia restano negative. E senza una crescita del Pil superiore al 2 % è difficile che possano essere creati nuovi posti di lavoro. Anche da qui il Piano contro la povertà». Il progetto prende le mosse anche dai dati Istat che La Repubblica sottolinea: «Sono più di otto milioni – secondo l’Istat – gli italiani che vivono in condizioni di povertà relativa (circa il 14 % della popolazione). La povertà assoluta riguarda invece 3,1 milioni di persone (il 4,6 % delle famiglie). Nel Mezzogiorno le famiglie in povertà relativa sono il 23 % (contro il 4,9 del Nord e il 6,3 del Centro), e quelle in povertà assoluta ne rappresentano il 6,7% (contro il 3,6 e il 3,8 di Nord e Centro). In Basilicata è povero quasi un terzo delle famiglie».

Il CORRIERE DELLA SERA apre con la lettera di Monti a Napolitano, nella quale il premier conferma l’impegno a portare a termine il proprio mandato, e di taglio centrale titola: “Novità su lavoro e partite Iva” e nel sommario: “Passera: c’è disagio, a rischio la tenuta sociale”. A pagina 2 Antonella Baccaro spiega: “Salario minimo e indennità di disoccupazione rafforzata per i parasubordinati. Partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Ritocchi sull’articolo 18. Prende corpo la riforma del lavoro dopo la presentazione dei 27 emendamenti del governo e dei 16 proposti dai due relatori: Maurizio Castro (Pdl) e Tiziano Treu (Pd).”. E a pagina 6 Roberto Bagnoli su Passera: “«Il disagio sociale è molto diffuso, molto più di quello che dicono i numeri». Il ministro dello Sviluppo Corrado Passera torna a lanciare l’allarme per la mancanza di lavoro e di credito per le imprese e questa volta parla anche di «rischio per la tenuta sociale del Paese». Poi si corregge e sostiene che l’Italia «ha tutti i numeri per farcela». Il governo sta facendo il possibile «semmai è l’Unione Europea che non ha fatto la sua parte». Il presidente uscente di Confindustria Emma Marcegaglia segue il ragionamento e si augura che la vittoria di Hollande in Francia «sia una opportunità per cambiare». Quindi aprire la borsa e investire per la crescita”.

Spazio al lavoro in prima pagina, taglio basso, su IL GIORNALE. “Salario minimo per i precari. E ora assumere sarà più facile” di Antonio Signorini spiega «passano le modifiche azzurre su partite Iva e apprendisti. Arrivano salario base per i Cocopro e sussidi per i licenziati. La riforma del lavoro arriva alla fase clou, con la presentazione in Senato degli emendamenti. Il risultato è un accordo che accontenta il Pdl». All’interno il pezzo titola “La spunta il Pdl: assunzioni più facili” e aggiunge «Modifiche che sono piaciute anche alla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Nei giorni scorsi aveva bocciato la riforma, ieri ha detto che il testo «è migliorato» e che il ddl può anche aiutare le imprese». Alcuni emendamenti sono arrivati anche dal governo «si tratta per lo più di correzioni di «refusi», come quello famoso che cancellava l’esenzione dei ticket sanitari per i disoccupati. Arriva la possibilità di scambiare il congedo parentale con voucher per acquistare servizi di baby sitting. Poi sull’articolo 18, si definiscono i tempi della giustizia e degli eventuali ricorsi. Un modo per evitare che si prolunghino i tempi per evitare il giudizio sul reintegro o sull’indennizzo». “Le imprese implorano il governo: l’Iva al 23% è l’ultima mazzata” di Gian Battista Bozzo. Nel sommario «ipotesi di aumento ad ottobre: le piccole e medie aziende i pressing su Passera. E il ministro ammette: il disagio sociale è ampio, a rischio la tenuta del Paese». 

“Problemi tecnici” questo il titolo di apertura del MANIFESTO  odierno che nel sommario ricorda: “Il ministro dello Sviluppo economico Passera lancia l’allarme: «Il disagio dovuto alla mancanza di lavoro investe metà degli italiani. A rischio la tenuta sociale». Fornero riconosce i danni provocati dalla riforma delle pensioni. E Confindustria rincara la dose: «Credit crunch e consumi a picco, la ripresa si allontana»” il richiamo però è alle pagine 2 e 3 che alternano analisi politiche nazionali e sguardo sul locale, mentre alle pagine 4 e 5 sono relegate le problematiche del lavoro dalle tute blu (nella fascia grigia in testa alla pagina: “La manifestazione nazionale dei metalmeccanici sarà a Firenze il 20 maggio, anniversario dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori”) ai precari sui quali nella fascia grigia in testa a pagina 5 si legge: “Dai «coucher» al lavoro a chiamata, si moltiplica l’usa e getta. Intanto arriva un sussidio per chi perde il posto: ma sarà solo «una tantum»”. La pagina si apre infatti su “Salario minimo cocoprò” e sotto vi si trovano le due foto di Fornero e Passera. La prima al centro dell’articolo in cui si danno informazioni e si illustra il Ddl in cui gli emendamenti introducono alcune novità e nel sommario si fa il focus su: “Le «vere» partite Iva partiranno da 18 mila euro. Job on call: basta un sms”. A fianco a questo articolo una colonna ampia in grassetto con la foto di Passera è titolato “Il ministro Passera: a rischio la tenuta sociale del paese”. Un’analisi della situazione con accenni sia alle elezioni sia all’intervento di Passera è affidata a Valentino Parlato in prima pagina con il titolo “Effetto elezioni”: « (…) C’è un’instabilità politica e una instabilità sociale. Pessimi i dati forniti dalla Confindustria sull’andamento dell’economia. Crescono la disoccupazione e la disperazione tra lavoratori e piccoli imprenditori. Il governo Monti è preso in mezzo (…) Passera che da banchiere ha imparato a conoscere questo nostro paese, dà l’allarme sull’acuirsi dello scontro sociale e sulla debolezza della politica. A questo punto Monti non sa più bene su quale forza politica può contare. (…)».

“Lavoro, salario minimo ai collaboratori a progetto” è il titolo di apertura de IL SOLE 24 ORE. Poi a pagina 3 tutte le modifiche al Ddl lavoro contenute nei 43 emendamenti depositati al Senato e su cui si comincerà a votare martedì.

 ITALIA OGGI pubblica la ricetta anti crisi dell’Ancl.  Nel pezzo a pagina 33 “un piano per l’occupazione” l’Ancl ( associazione nazionale consulenti del lavoro) sostiene  necessario l’abbattimento del costo del lavoro attraverso un recupero di risorse che si possono ottenere tramite un forte lotta all’evasione.  Le altre proposte riguardano gli investimenti  ammortizzabili, il rinvio per i primi due anni di attività del versamento degli acconti Iva e Irap alla fine dell’esercizio fiscale, e crediti nei confronti della pubblica amministrazione.

Non c’è la parola povertà nel titolo di AVVENIRE, bensì l’angoscia. Il titolo di apertura infatti è “angoscia non-lavoro”, con l’allarme di Passera sui 6-7 milioni di senza impiego e Confindustria che vede allontanarsi la ripresa. Il pezzo di AVVVENIRE punta sulla svolta del Governo, che ora sta mostrando «il suo volto umano» e a «giocarsi tutte le iniziative sociali in incubazione». A cominciare dai 142 milioni di euro per le imprese che tra il 14 maggio 2011 e il 3 maggio 2013 hanno assunto o assumeranno lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati, con una ripartizione del Fondo sociale europeo. AVVENIRE mette in fila i dati: Anna Maria Tarantola, vicedirettore della Banca d’Italia, dice che la povertà in Italia è passata dal 6 al 7% e per i giovani addirittura dal 10 al 15% ed elogia la famiglia come principale «agenzia di welfare». L’Isfol anticipa i dati di una nuova indagine sui parasubordinati per dire che il reddito medio dei 676mila cocopro (nel complesso i parasubordinati in Italia sono 1,422 milioni) è di 9855 euro l’anno. Per aiutarli arrivano «salario minimo per i collaboratori a progetto e una “una tantum” per chi perde il posto». Mentre Giancarlo Rovati, della Cattolica, va controcorrente con un’intervista intitolata «Suicidi per cause economiche? Sono “solo” il 6%», dove dice che è sbagliato mettere in relazione come si sta facendo povertà e suicidi, e anche descrivere i tanti suicidi degli imprenditori come atti che nascono in situazioni di povertà: «queste persone non sono nullatenenti, ciò che è determinante è lo choc che stravolge le ordinarie condizioni di vita». I suicidi per ragioni economiche sono tra il 4 e il 6%, e con la cronaca di queste settimane invece «si rischia di creare un alone di eroismo e dare un significato politico a un fenomeno che può essere imitato».

Gli allarmi sulla crisi dall’economia passano alla realtà sociale. A interpretare questa nuova consapevolezza è il ministro Passera, colui sulle cui spalle sta il fardello di individuare la via per la cosiddetta crescita. Ma lui dice: «In Italia è a rischio la tenuta economica e sociale». A fare il punto su LA STAMPA è il direttore Mario Calabresi nell’editoriale “Il dramma dei suicidi oltre le cifre”, che va oltre l’analisi delle cifre e chiama in causa la responsabilità di chi fa informazione nel gestire una sorta di panico sociale che si è diffuso ora che la crisi sta incidendo pesantemente sulla quotidianità delle persone. Inoltre, scrive Calabresi, «È tempo che il governo e le forze politiche se ne facciano carico, agiscano per creare condizioni di speranza per il futuro, prospettive di crescita, e mettano in campo politiche nuove capaci di arginare il fenomeno. Perché se è vero che il numero dei suicidi non è aumentato è altrettanto vero che adesso sappiamo: conosciamo la disperazione, è sotto i nostri occhi ogni giorno e non possiamo più avere alibi o far finta di non vedere. Gli italiani hanno bisogno di un traguardo, di immaginare la luce in fondo al tunnel. La soluzione non è certo quella di cercare colpevoli, soprattutto non nelle file di chi si limita a far rispettare le leggi che sono uguali per tutti e non accettano favoritismi, ma dovrebbe essere quella di cercare responsabili. A ogni livello: nel governo, nella politica, nell’amministrazione delle tasse e delle riscossioni, nelle banche, ma anche nei giornali, come nelle famiglie e in ogni comunità. Abbiamo bisogno di rigore ma anche di umanità e di capacità di comprendere e distinguere. Tutto questo deve essere fatto non solo per chi è adulto e segnato dalla crisi, ma anche per le generazioni più giovani che stanno crescendo in un clima che nega alla radice la possibilità di costruire un Paese migliore. Ogni volta che incontro un gruppo di ragazzi di una scuola o universitari che si affacciano al mondo del lavoro faccio sempre la stessa domanda: «Se vi dico la parola futuro cosa pensate?». Non ce n’è uno che mi dia una risposta positiva, incoraggiante o colorata. Le parole che sento ripetere sono: «Paura, incertezza, precarietà». I più intraprendenti mi dicono che se ne vogliono andare all’estero, che fuggiranno appena sarà possibile. Questo gli è stato trasmesso dalla televisione, dalla scuola, dalle famiglie e questo pessimismo è diventato il loro cibo quotidiano. È chiaro che non ce lo possiamo permettere, non possiamo crescere una generazione nel messaggio che dal fondo di questo pozzo non si riemergerà mai. La passione e la fiducia nella vita sono l’ingrediente fondamentale con cui si concima il futuro, non esistono altre soluzioni che ci possano salvare dalla disperazione».

E inoltre sui giornali di oggi:

FAMIGLIA
IL SOLE 24 ORE – “Le fatiche della «famiglia welfare»” è il titolo di un commento a pagina 18 «”La famiglia è in crisi. Non morale, economica”. A dirlo non è un economista ma un cardinale. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha aperto così il convegno «L’Economia in tempi di crisi. Quale sostegno alla famiglia», che si tenuto ieri al centro congressi del Sole 24 Ore a Milano. «La famiglia è terminale di un corto circuito» ha esordito, nel corso del terzo dei quattro incontri organizzati dal quotidiano di via Monte Rosa in vista dell’Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno. «La finanza – ha proseguito Turkson – è diventato fine e ha smesso di essere mezzo per produrre benessere per l’economia e la società. A soffrirne è la cellula principale della società: la famiglia appunto». Che fare? Secondo il cardinale Turkson – incalzato dalle domande del vicedirettore del Sole 24 Ore, Alessandro Plateroti – «occorre ridare alla politica la funzione di governo dei mercati. E spezzare il cortocircuito». Ma come ha reagito in concreto la famiglia italiana? Secondo Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia, ha pagato un prezzo «non irrisorio». Tra 2008 e 2009, gobba della crisi, i redditi familiari sono scesi del 4%, e la propensione al risparmio è calata dal 16% al 12%. Nel frattempo però si è accentuato un tratto scritto nel nostro dna nazionale: «La nostra è diventata una famiglia welfare» ha sintetizzato Tarantola, riprendendo le parole del cardinale Turkson. «Un dato su tutti: nella primavera del 2009 sono state 480mila le famiglie che hanno sostenuto un figlio che aveva perso il lavoro da almeno 12 mesi». La famiglia come ammortizzatore sociale, dunque. Condivide l’analisi Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento statistiche sociali dell’Istat. «Il calo occupazionale della crisi si è addossato per l’80% sulle spalle dei giovani. Ma la famiglia ha retto. Grazie a un ammortizzatore sociale vero che ha tutelato i padri – la Cassa integrazione – è  riuscita a essere rete per i figli. Il problema è: fino a quando?». «È urgente che il welfare domestico informale entri nel perimetro delle politiche pubbliche» le ha risposto Mauro Magatti, preside di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano. «La famiglia italiana è da sempre valore sociale, non è mai diventata valore politico». Per Magatti «è stato come cullarsi in una idea di crescita individualista». E rinunciare a «forme di innovazione sociale che producessero benessere diffuso». Come quello di Welfare Italia, srl nata dal mondo della cooperazione sociale e guidata da Johnny Dotti che produce servizi medici per le famiglie a prezzi popolari. «A Wi – dice Dotti – aderiscono banche, artigiani, cooperatori sociali. Il senso è che oggi fare qualcosa “per”, significa fare qualcosa “con”». Effetto collaterale della crisi è stato costringere a usare il noi, più che l’io». Il ciclo di incontri sul ruolo della famiglia prosegue giovedì 17 maggio, sempre nella sede milanese del Sole 24 Ore di via Monte Rosa 91. Il convegno «Nuove politiche sociali e di lavoro per la sostenibilità della famiglia» vedrà l’intervento dell’Arcivescovo di Milano cardinale Angelo Scola».

AZZARDO
AVVENIRE – Il ministro Balduzzi ieri in audizione alla Commissione Affari sociali ha annunciato l’arrivo imminente di un decreto contro l’azzardo, già predisposto insieme ad Aams e ora all’attenzione della Conferenza Unificata. I cardini? Regole ferree per la pubblicità e misure restrittive per vietare l’accesso ai minori. Intanto Vicenza vieta la pubblicità del gioco d’azzardo sull’intero territorio comunale. Delibera firmata dalla Giunta, dovrà ora essere approvata dal Consiglio. «Un atto che non ha precedenti», dice il sindaco. «Ma non volevo attendere. Se ci saranno ricorsi li affronteremo».

WELFARE AZIENDALE
IL SOLE 24 ORE – “La crisi lancia il welfare d’azienda”: «Retention dei dipendenti e attrattività ai tempi dei budget aziendali che si rimpiccioliscono hanno fatto ripartire le iniziative aziendali sul welfare. In una fase in cui l’Italia ha bisogno di un nuovo welfare mix, come è emerso ieri durante la Giornata nazionale della Previdenza, in Borsa a Milano, a cui hanno partecipato tra l’altro Luxottica, Telecom, Poste, Cisco, Intesa Sanpaolo. Gli attori del nuovo mix, secondo Alberto Brambilla, coordinatore Cts Itinerari Previdenziali, saranno lo Stato, agevolando fiscalmente parte delle retribuzioni, le imprese, offrendo oltre al salario anche i servizi sociali e gli individui, sensibilizzandosi sui nuovi strumenti. Oggi solo in pochi ci pensano: solo il 26% dei lavoratori ha aderito alla previdenza complementare. Ma «con la riforma pensionistica che ha esteso il sistema contributivo a tutti, la previdenza complementare diventa una parte integrante necessaria di quella obbligatoria», dice Marco Vernieri, responsabile hr di Intesa Sanpaolo. Ci sono poi le eccezioni che in futuro dovranno però diventare norma. In Telecom, come spiega il responsabile delle risorse umane, Antonio Migliardi, «al Fondo per la previdenza integrativa partecipano 44mila iscritti su 56mila dipendenti, l’86%». Luxottica ha massimizzato il potere di acquisto dei dipendenti con «un percorso condiviso col sindacato fatto di assistenza sanitaria integrativa, assistenza economica e sociale ma anche tutele del ruolo genitoriale, fino alla remunerazione azionaria», racconta il direttore delle risorse umane Nicola Pelà. C’è poi un settore, il bancario, da cui arrivano alcune esperienze che affondano le radici in una tradizione di sensibilità, condivisa col sindacato, al tema. E che potrebbero essere un modello. Così UniCredit ha lanciato «il conto welfare che consente ai lavoratori di scegliere come e se investire le risorse delle componenti variabili della retribuzione in strumenti di cui è emersa la necessità in una survey tra i nostri 54mila dipendenti», racconta il direttore delle risorse umane, Paolo Cornetta. Come e se, in parte o completamente. E in ogni caso, «non è più l’azienda che decide, ma il dipendente. Il conto welfare consente di vedere il budget di cui si dispone e di ricevere a fine anno la liquidazione degli importi non spesi. I dipendenti potranno decidere di acquistare o farsi rimborsare servizi per la famiglia (dall’asilo nido all’università) – continua Cornetta –o di investire per migliorare la copertura sanitaria o incrementare la contribuzione al Fondo pensione». Con vantaggi fiscali e contributivi non trascurabili».

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