Gruppi ribelli ritenuti legati ad al Qaida, i miliziani di Al Shabaab e i loro alleati di Hizbul Islam, continuano la loro inesorabile avanzata in Somalia. Ieri è caduta Jowhar, città strategica per le forze lealiste, a 90 chilometri a nord di Mogadiscio. Evento non solo di rilievo militare, ma anche politico, considerando che era il feudo dell’attuale presidente del Governo federale di transizione, il moderato Sheikh Sharif Sheikh Ahmed. Stando a testimonianze dirette, pare che le forze lealiste, lì come altrove, si siano unite a quelle ribelli, consentendo agli Shabaab e ai loro alleati di penetrarvi senza incontrare alcuna resistenza. Una sconfitta molto pesante per Sheikh Sharif che suona quasi come una “campana a morto”, essendo ormai sempre più solo, asserragliato nei pochi scampoli di territorio che i suoi fedelissimi ancora controllano a Mogadiscio: Villa Somalia, sede della presidenza, il porto e l’aeroporto. Ieri nella capitale tra l’altro vi sono stati volenti combattimenti, con un bilancio provvisorio di una quindicina di morti e una sessantina di feriti: come sempre, quasi tutti civili. Dal mio punto di vista, sarebbe ora che la comunità internazionale uscisse dal letargo. A cosa serve mandare una flotta nel Golfo di Aden a caccia di pirati, quando il vero problema è sulla terra ferma? Una soluzione c’era, quella indicata strenuamente da Mario Raffaelli. L’ex inviato speciale del governo italiano, che in questi anni si è sempre distinto per sagacia e oculatezza, non solo aveva con largo anticipo previsto il fallimento dell’operazione militare etiopica, ma si era battuto nel sostenere la tempestività e concretezza politica nell’applicazione dell’accordo di Gibuti dell’anno scorso, il cui fallimento avrebbe aperto, secondo lui, la strada a scenari imprevedibili. E così è stato! Intanto, a pagare il prezzo più alto è come al solito la povera gente. In Somalia gli sfollati sono oltre tre milioni, circa un terzo dell’intera popolazione, costretti a vivere in condizioni disumane.
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