Trovo davvero frustrante seguire sulle agenzie on line la guerra civile che sta insanguinando la Libia. Dall’ultimo giorno di marzo alla fine di maggio, a leggere le statistiche pubblicate dal britannico Guardian, gli aerei della Nato hanno compiuto oltre tremila missioni sulla Libia. Sono stati colpiti 989 obiettivi. Ma scusate, Sarkozy non aveva detto che sarebbero bastati meno di due mesi, con le bombe intelligenti, per mandare via il colonnello Gheddafi? Il Rais, lo si voglia o no, è il simulacro di un sistema che non vuole mollare. Deve vivere un momento di folle esaltazione di cui la metafora più eloquente è Assaray al-Hamra, il Castello Rosso di Tripoli, sulla piazza Verde. Come ha scritto l’amico Andrea Semplici sul suo Blog, è un luogo shakespeariano. Quel maniero è davvero il simbolo della precarietà del potere. Ma per quanto feroce possa essere, valeva davvero la pena fare la guerra? A parte le mediazioni dell’Unione Africana e del governo di Mosca che stanno facendo di tutto per offrire a Gheddafi un esilio dorato, bisogna ammettere che se nel deserto libico non ci fosse l’oro nero, non vi sarebbe stato tutto questo dispiegamento di forze alleate. Si ha quasi l’impressione che la decisione di bombardare la Libia sia stata presa dalle grandi multinazionali petrolifere e non dagli stati sovrani fautori della democrazia. Ancora una volta le cancellerie si dimostrano inconcludenti, anche perché la rivolta libica è un po’ diversa da quella dei vicini di casa egiziani e tunisini. In Libia è in atto una guerra civile tra Tripolitania e Cirenaica che, comunque andranno a finire le cose, lascerà i suoi strascichi per lunghi anni. E come al solito in ogni guerra, nonostante le legioni di giornalisti inviati sul fronte, non si riesce ancora a capire come effettivamente stiano andando le cose. A parte che ogni tanto Gheddafi viene dato per morto, per poi miracolosamente rispuntare da qualche parte, il presidente sudafricano Jacob Zuma è stato ricevuto nella caserma di Bab al-Zaziya, una delle residenze simboliche del regime. Ma non era stata ripetutamente bombardata dalla Nato? Chi ha avuto modo di visitare quel fortilizio, sa bene che non è affatto smisurato come qualche improvvido cronista anglosassone vorrebbe far credere. D’altronde a Gheddafi piacciono le finzioni. Forse non tutti sanno che l’ora legale è perenne in Libia: pare per volere del Rais che ha sempre avuto il tempo per le minuzie stravaganti anche quando è in gioco la religione. Le feste islamiche, in Libia, hanno un calendario diverso. A riprova dell’ostilità che divide il colonnello dai regnanti sauditi, custodi dell’ortodossia musulmana. Certo, lui è il “qaid”, il Capo. Colui che dovrà rispondere per le nefandezze commesse dal suo grottesco regime in cui a pagare il prezzo più alto è la povera gente. Sì quella che fugge, disposta a passare il mare con ogni tipo d’imbarcazione per salvare la pelle. E che noi chiamiamo impropriamente “clandestina” ignorando l’ammonizione della lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli”. (13:2)
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