Nonostante tutto, inzia a delinararsi quello che nel Disegno di Legge (DDL S. 497 del gennaio 2023) è stato defintio come il Liceo del Made in Italy. Sembra che si voglia accelerare l'obiettivo di “formare una classe dirigente in grado di mettere a sistema opportunità e criticità con metodo, capace di puntare su solide competenze in economia, marketing, comunicazione, così come nel digitale, ma allo stesso tempo una classe dirigente che conosca il tessuto storico, sociale e culturale forgiato da storia millenaria.”
Ma guardandosi bene intorno, i posti previsti per questa nuova classe dirigente made in Italy sono vuoti.
Infatti, non si sono compresi ancora quali siano i settori perduti e quali siano le novità rispetto a una cosa che più passa il tempo e più sembra molto simile all'attuale istituto agrario. Se così fosse, partendo dai dati e non dalle ideologie, non si capirebbe bene il motivo dato che l’agroalimentare è il primo settore in Italia per occupazione, valore della produzione, valore aggiunto, investimenti fissi lordi e in impianti e macchinari.
In compenso, secondo i dati dell'Eurosta, l’Italia è al penultimo posto per giovani laureati in Unione europea, con il 28% delle persone tra i 25 e i 24 anni ad aver ricevuto una formazione universitaria.
Il problema, con questi numeri alla mano, non può essere ricercato solamente nella creazione di un indirizzo di studio perché non serve una maggiore aziendalizzazione ma soluzioni integrate per affrontare la precarietà e lo sfruttamento dei giovani. Dovremmo avere ben presente i risultati ottenuti con l’alternanza scuola lavoro che sembra porre un rimedio alla disoccupazione giovanile ma che in realtà ha portato pochi effetti significativi.
Proprio nell'alternaza scuola lavoro, forse, cè stato primo errore di prospettiva che ci ha portato alla proposta del Liceo del Made in Italt, perché la scuola non poteva e tuttora non può essere concepita come una semplice "alternativa"al mondo del lavoro, e anche in questo caso non è solo una questione di parole.
Come già ricordato in un altro articolo, bisognerebbe parlare sempre di più di convergenza scuola-lavoro e ripartire dalla brillante analisi fatta da Stefano Zamagni diversi anni fa, quando introdusse il principio della conazione. Aristotele fu il primo ad aver applicato questo termine, frutto della crasi tra conoscenza e azione, fino al 1700. In pratica, senza perderci troppo in ragionamenti astratti o rievocazioni storiche, abbiamo bisogno di considerare la conoscenza come finalizzata all’azione e l’azione non può essere esperita se non a partire da una base solida di conoscenza (conosco per agire e agisco perché conosco).
Per questo motivo prima di parlare di qualsiasi nuovo indirizzo scolastico è necessario prima cambiare l’impatto delle politiche scolastiche e poi aggiungere o integrare le materie.
La scuola potrebbe inziare con il replicare quanto fatto dall'università e iniziare intanto a introdurre la "missione comunitaria" così come la riforma universitaria ha introdotto la “terza missione”, ossia la missione che si aggiunge a quella della ricerca e a quella dell’insegnamento e che consiste nel mettere il sapere a disposizione della società e in questo caso dell'intera Comunità Educante.
Ma anche se questa replica, con i dovuti adattamenti rispetto ai meccanismi e ai funzionamenti scolastici, sarebbe un ottimo punto di partenza questo non basterebbe per cambiare l'impatto. Bisognerebbe introdurre altri due correttivi:
- Da una parte, a livello culturale, dovremmo mettere in discussione apertamente il modello taylorista che negli anni è stato trasferito dalla fabbrica alla scuola senza incontrare particolari ostacoli se non professoresse e professori particolarmente sensibili e capaci.
- Dall'altra, integrare la nuova missione scolastica con il modello delle “classi rovesciate” dove gli studenti sono in grado di interrogare i professori.
Con il PNRR, nel contesto italiano, si parla tantissimo e forniscono tantissime risorse per favorire l'innovazione digitale e archiettonica nelle scuole e anche se sono importanti poco o nulla si concentra sui modelli formativi che riescano a mettere al centro i principi e i valori dell'economia sociale e civile.
La bella notizia è che già esiste un modello scolastico che ha funzionato bene in questi anni, nonostante le poche risorse a disposizione, ed è il cosidetto LES – Liceo Economico Sociale.
I LES nascono dal riordino dei corsi di istruzione secondaria di secondo grado del 2010 che è riuscita a semplificare i percorsi di istruzione superiore sia di istruzione tecnica e professionale sia liceale, riempiendo un grande vuoto nella scuola italiana e introducendo una nuova possibilità di scelta per studenti, dato che mancava un indirizzo che riuscisse a integrare le discipline giuridiche e tecniche con quelle economiche e sociali.
Guarda questi del LES Maria Ausiliatrice di Padova che è stata uno dei primi LES ad aver costruire un progetto di economia civile eccezionale e che già ricomprende gli obiettivi generici che il Liceo del Made in Italy promette di voler realizzare. Il progetto in questione si chiama “Innovazione e Tradizione” e vuole accompagnare i giovani a una nuova cittadinanza economica, affinché possano diventare cittadini del mondo attivi e responsabili.
Per poter raggiungere questi obiettivi, la scuola ha già applicato il modello della scuola rovesciata richiamata prima, permettendo ai giovani di diventare protagonisti del proprio apprendimento attraverso un sistema di service learning che consiste in una proposta educativa che coniuga i processi di apprendimento e di servizio alla comunità in un unico progetto di sviluppo individuale e di Comunità.
Proprio per l'esistenza di queste buone pratiche maturate da diversi anni su tutto il territorio nazionale è importante ripartire dal ragionamento svolto dalla Cabina di Regia della Rete nazionale dei Licei Economico-Sociali.
Nel documento che si può trovare nella sua versione integrale attraverso questo link (https://www.liceoeconomicosociale.it/documento_cabina_regia_LES.pdf) si auspica il conferimento dell'autonomia al Liceo Economico-Sociale e l’istituzione dell’opzione Made in Italy in quanto dimensioni diverse ma complementari di un unico liceo di ambito giuridico ed economico. I due percorsi valorizzerebbero ed arricchirebbero ulteriormente un’offerta formativa al passo coi tempi, in un contesto didattico che ha dimostrato ampiamente di essere capace di cogliere le trasformazioni sociali ed economiche e di tradurle in progettualità sfidanti e in competenze interdisciplinari.
In sostanza la Cabina di Regia suggerisce dunque l’affiancamento del Made in Italy al LES e non un’improvvisa sostituzione che sarebbe un errore enorme.
Il mio appello, invece è rivolto al ministro Ministero dell'Istruzione e del Merito perché siamo ancora in tempo per capire come poter integrare esperienze di successo come i LES con un modello, quello del Made in Italy che deve puntare su una nuova visione dell'economica e sul modo in cuis si valorizzano le eccellenze e non sull'essere eccezionali. Basterebbe avviare un vero e proprio percorso di co-programmazione e co-progettazione con la Comunità Educante che già da anni di occupano di formazione ed economia civile, composta da scuole, enti del terzo settore e università che sicuramente è in grado di fornire spunti, idee e riflessioni significative.
La domanda che dobbiamo porci nel mondo della scuola non è solo se è possibile questa integrazione, ma se attraverso gli indirizzi e gli insegnamenti di oggi, si possono trasmettere i principi, le competenze hard e soft e i legami insiti dentro un nuovo paradigma economico, più sostenibile, civile e inclusiva. Io ne sono fermamente convinto.
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