Grandi e piccoli, tutto il terzo settore sarà azzoppato dall’impennata delle tariffe. Un non senso che penalizza chi porta benefici all’intera comunità. Senza considerare che la nuova norma vìola una legge in vigore «Se fino al 31 marzo spendevamo 5mila euro per spedire il nostro notiziario, ora dobbiamo preventivarne 22mila», commenta sconsolata Marilena Albanese, responsabile della raccolta fondi di Amnesty. Ripensare il budget annuale è inevitabile. Di più: è doloroso in un momento in cui ci si sta preparando a sensibilizzare i contribuenti in vista del prossimo 5 per mille.
Del resto impossibile sottovalutare un’impennata tariffaria di queste proporzioni. Si capisce perché moltissime organizzazioni si siano subito attivate chiedendo il ripristino delle agevolazioni (e il loro numero continua a crescere, anche grazie alla petizione lanciata da Vita). «Questo aumento per noi significa 800mila euro di costi aggiuntivi per i prossimi mesi», spiega Giangi Milesi, presidente del Cesvi, «si colpisce il capitale relazionale di comunità che lavorano insieme ma non a contatto fisico e che perciò hanno bisogno di poter dialogare». «Il 50% delle donazioni che raccogliamo proviene da sostenitori regolari con i quali comunichiamo tramite posta. Ma un fatto è certo: siamo tutti danneggiati» gli fa eco Daniela Fatarella di Save the Children.
Doppia scure
La faccenda è del resto molto semplice: le associazioni non scrivono per il piacere di farlo, ma per promuovere, sollecitare il sostegno e rendicontare il proprio operato. Dunque per loro comunicare è una necessità. Un conto è farvi fronte potendo contare su tariffe in qualche modo di favore (doverose, visto che i benefici delle attività realizzate riguardano l’intera collettività). Un altro è sostenere costi sensibilmente più alti dei previsti. E da questo punto di vista la scure del governo colpisce due volte: impedisce di cercare nuovi sostenitori, rende più difficile rapportarsi con quelli abituali. «Anche noi lanciamo appelli di raccolta fondi per posta», spiega Alessandra Corrias, direttore della Fondazione Operation Smile Italia (presieduta da Santo Versace, realizza interventi di chirurgia plastica ricostruttiva a favore di bambini con malformazioni facciali), «è chiaro che saremo costretti a farne meno».
Le proteste di don Verzè
«È un colpo mortale», insiste Rossano Bartoli, segretario della Lega del Filo d’oro, «avere tariffe contenute permetteva alle organizzazioni prive di patrimoni di prendere contatto con milioni di cittadini senza fare investimenti enormi». Non è un caso che ad essere preoccupate non siano solo le “piccole” organizzazioni: tra coloro che chiedono il ripristino c’è, ad esempio, la Fondazione Aretè del San Raffaele di Milano, la creatura di don Verzè. «La fonte principale dei fondi necessari per le nostre nove linee di ricerca scientifica è il 5 per mille. Le donazioni dirette rappresentano circa il 15% ma sono egualmente essenziali. Tant’è che stavamo preparandoci a espandere questa forma di raccolta», sottolinea Lisa Orombelli, responsabile marketing della fondazione.
Tutti insomma, al di là del maggiore o minore uso del direct marketing (che prevede il ricorso ai servizi postali), evidenziano le nefaste conseguenze di una scelta che giustamente Bartoli definisce «affrettata». Anche «perché», prosegue, «la stragrande maggioranza delle organizzazioni si serve di un conto corrente postale: le donazioni dei singoli cittadini transitano negli uffici postali. Le Poste dovrebbe quindi avere interesse a far sì che non si riducano». Parole sante.
Il decreto del 95
L’ad Massimo Sarmi farà pure un “sacrificio” accettando le agevolazioni, ma in cambio può contare su flussi finanziari significativi derivanti dalle attività dei suoi clienti non profit. Ammesso che poi il sacrificio lo facciano davvero le Poste. Cosa di cui dubita Vittorio Volpi, direttore dell’Uspi – Unione stampa periodica italiana, anch’essa in prima linea nel contestare il decreto. Secondo lui «questo decreto svuota la legge del 2004 che prevede le agevolazioni». La legge infatti stabilisce le facilitazioni e poi rinvia al rimborso entro i limiti del bilancio: «Dunque è sbagliato subordinare, come è stato fatto, le agevolazioni alla disponibilità dei fondi». Penalizzando oltretutto in maniera più pesante il terzo settore: «Un decreto ministeriale del 1995 che non essendo stato abrogato è ancora in vigore», spiega Volpi, «prevede che le tariffe applicate al non profit siano inferiori del 25% rispetto a quelle dei soggetti profit. Adesso invece sono equiparate».
Come a dire, ingiustizia che si aggiunge ad ingiustizia. È facile prevedere che anche su questo fronte si muoveranno le associazioni che per ora auspicano il ritorno alle agevolazioni precedenti e chiedono in ogni caso un tavolo di confronto specifico.
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