Formazione

portofranco: e gli ex somari si innamorano del sapere

Nato nel 2000, questo centro di aiuto allo studio accoglie 1.200 studenti

di Sara De Carli

Progetti personalizzati, dialogo costante con famiglie e insegnanti.
Ma soprattutto passione educativa e rapporto
uno a uno. Sono questi i segreti di un progetto esemplare. Che ha convinto anche il ministero
L’anno scolastico è passato, le aule sono semivuote: a Portofranco è la quiete dopo la tempesta. In giro ci sono 38 ragazzi: molti maturandi, qualcuno che già si è messo sotto per recuperare i debiti. In tutto l’edificio c’è una sola scritta sul muro. Nera, sobria, un tratto pen. Roba impensabile in qualsiasi altro luogo che, come questo, è stato frequentato per tutto l’anno, ogni settimana, da 700 ragazzi fra i 14 e i 19 anni.
Portofranco è un centro di aiuto allo studio. “Doposcuola” gli sta stretto. Un po’ perché sa di saletta d’oratorio, una manciata di ragazzini a rischio drop out e qualche volonteroso, mentre qua numeri (1.200 iscritti e 350 volontari) e organizzazione (tutti gli interventi sono registrati in un database informatico) sono degni di un dipartimento universitario; un po’ perché i ragazzi trovano molto più che qualcuno con cui fare i compiti.
Nato a Milano nel 2000, il modello ha destato tanto interesse che oggi in Italia si contano 28 centri che ne condividono i principi, pur nella libertà di mantenere nome e peculiarità. Niente franchising, qui, né copyright: altrimenti persino il tutor della riforma Moratti avrebbe dovuto pagar pegno. Ma il valore dell’esperienza il Miur lo conosce bene e ogni anno distacca qua due suoi docenti. Si chiamano “insegnanti comandati”, mantengono il loro posto nelle scuole statali e sono pagati dal ministero, ma lavorano in questa onlus, con ruoli di coordinamento.
La risorsa sei tu
«Tecnicamente Portofranco è un centro di aggregazione giovanile», sintetizza Alberto Bonfanti, il presidente. «Il suo punto di forza è il rapporto 1 a 1, dentro cui i ragazzi fanno esperienza di gratuità e di dedizione». Serenella Campo, dopo una vita in cattedra, è certa che il segreto è tutto lì: «Chi arriva da noi ha alle spalle un’esperienza scolastica negativa, frustrante. Al di là dei problemi di voto, i ragazzi si sentono spesso dei falliti, impotenti. Qui riscoprono la loro autostima: “la risorsa sei tu”, è quel che cerchiamo di fargli scoprire».
One to one, il sogno e l’utopia di moltissimi progetti educativi, solo che spesso, poi, la quotidianità manda in deroga. Qui non l’hanno fatto, a dispetto dei numeri. Le dimensioni delle aule riflettono le richieste di intervento: matematica è la più gettonata, poi alla pari inglese e italiano (un terzo degli iscritti sono stranieri, anche se non è un problema lessicale a rendere difficile rispondere a un cinese che chiede «Ma cosa vuol dire Dio?»). Filosofia e chimica hanno i loro adepti, e naturalmente le materie tecniche: ma qui ci sono insegnanti per il 95% delle materie curriculari delle scuole superiori d’Italia.
Il sogno è creare dei veri e propri dipartimenti, dove ragionare sull’innovazione della didattica di ogni disciplina e avviare una sorta di learning community.

Tutor, cuore e database
Dei 350 volontari, la gran parte sono studenti universitari. Una cinquantina sono adulti: molti ex insegnanti in pensione e qualche professionista, come un grafico che insegna storia. Valerio ha 24 anni, ha fatto la laurea breve in storia e sta facendo la specialistica. È arrivato qua nel 2001, quando «ripetevo per la seconda volta la seconda superiore. Sono arrivato perché un amico mi ha pagato un pranzo per accompagnarlo. E sono rimasto». Perché? «Per i frutti! Perché mia mamma piangeva di gioia ai miei primi 7 in matematica e per l’amicizia che ho trovato. Io facevo anche 6/7 mesi di occupazione l’anno e pensavo di avere degli amici in quel mondo: ho scoperto stando qui che l’ideale politico non aggrega, quello umano sì».
La parola d’ordine, a Portofranco, è responsabilità. Chi arriva, fa un colloquio che serve per individuare le sue lacune e i suoi bisogni: le materie “bestie nere”, banalmente, ma anche le sue difficoltà relazionali, cognitive, o una situazione familiare particolarmente complicata. Dopodiché è lui a prenotare, di volta in volta, il suo “pacchetto” di studio. Per esempio può scegliere di studiare sempre con quella persona. I casi più complessi vengono affidati a un tutor: di solito sono gli ex docenti, che non fanno lezione ma accompagnano il percorso del ragazzo, parlano con i suoi prof, hanno rapporti regolari con i suoi genitori.
La sera la scheda di ogni ragazzo viene aggiornata: che materia ha studiato, con chi, per quante ore. La voce più preziosa è quella relativa alle “note”: sono quelle che vanno a tracciare, un giorno dopo l’altro, il cammino di maturazione di ogni ex naufrago, ormai marinaio.

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