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Porte aperte ai cervelli extracomunitari
Il permesso di soggiorno per motivi di studio sarà convertibile in permesso di lavoro. Ambrosini: siamo a una svolta
Il Belpaese si accinge, con due distinti provvedimenti, a inaugurare una diversa, più moderna politica dell’immigrazione di qualità. La prima iniziativa è una circolare che colma un vuoto della Bossi-Fini: d’ora in poi il permesso di soggiorno per motivi di studio sarà convertibile in permesso di lavoro. Potranno farne richiesta gli studenti stranieri che abbiano conseguito una laurea triennale, una specialistica, un diploma di specializzazione, un dottorato di ricerca o un master universitario di primo e secondo livello (in tutto circa 46mila persone all’inizio del 2008; per fare un paragone in Francia erano 213mila, in Gran Bretagna circa 369mila). Prima della circolare, questa possibilità era riservata solo ai laureati delle nostrane università: erano esclusi coloro che erano giunti in Italia per un master o un dottorato. «All’inizio non era previsto nemmeno per chi aveva conseguito una laurea», spiega Ouejdane Mejri, collaboratrice di Yalla Italia e docente al Politecnico di Milano, «poi con un percorso un po’ accidentato è stata resa possibile la conversione ma dimenticando coloro che, laureati altrove, venivano qui per la specializzazione». Il risultato, per molti aspetti paradossale, era che il Belpaese investiva risorse economiche nella formazione di specializzati o dottori di ricerca, i quali – una volta terminato il percorso di studi – erano costretti a ritornare a casa (e in questo senso opportunamente il Pacchetto Sicurezza potrebbe introdurre, con l’articolo 22, l’estensione di 12 mesi del permesso di soggiorno per cercare lavoro da parte di chi consegue il dottorato in Italia).
La seconda novità riguarda l’informatizzazione della presentazione della domanda d’ingresso per ricerca scientifica. Dal sito del ministero dell’Interno (www.interno.it con link a https://nullaostalavoro.interno.it) il ricercatore extracomunitario potrà avviare una procedura online, d’intesa con l’università o l’istituto presso i quali intende svolgere la sua attività. Non cambia la sostanza (una convenzione tra il ricercatore e l’ente, che approva il piano di ricerca e deve essere iscritto nell’elenco tenuto dal ministero dell’Università e della Ricerca). Ma i tempi dovrebbero essere sensibilmente più rapidi. «Sono buone notizie», commenta Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori a Milano, «fin qui l’Italia ha fatto poco per attrarre migranti altamente qualificati. Anzi ha frapposto molti ostacoli e barriere d’ingresso a coloro che intendevano studiare da noi. Viceversa sembra che ora si voglia aprire il Belpaese al mercato internazionale dei cervelli, come del resto chiedevano anche le imprese». «La parola adesso al mercato», aggiunge il professore, «vedremo come saprà accogliere questa nuova opportunità».
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