Mondo
Pontoglio, dove comincia o finisce l’Occidente
"Chi non rispetta la cultura e le tradizioni locali è pregato di andarsene", si legge nei cartelli affissi tra i campi concimati di fresco, all'ingresso del paese, dal sindaco di Pontoglio. Questo, si legge ancora, errori morfosintattici inclusi, è "un paese a cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana". Siamo andati a vedere
di Marco Dotti
Pontoglio, 6984 anime e, a sentire la predica di don Angelo Mosca, un po' di “sepolcri imbiancati”.
Inutile “lavarsi le mani con le tradizioni”, ha tuonato il prelato, nella sua omelia di ieri. Inutile, “ se il cuore è pieno di marciume”.
Da quando il sindaco PdL/Udc Alessandro Seghezzi ha affisso i “famigerati” cartelli a ogni ingresso del paese, qui è tutto un via vai di telecamere e giornalisti.
“Passerà”, mi racconta Mario, che non vuole essere ripreso. “Passerà anche questa e se non passa, la faremo passare noi”. Come? "Togliendo i cartelli? Adesso iniziamo a raccogliere le firme, ma voi piantatela di dire che la gente di Pontoglio è rozza e ignorante”.
Giovanni, che accompagna Mario, mi spiega che “qui, attorno a ognuno di noi girano almeno 3 immigrati. Io ho la badante di mia mamma, ho l’operaio e ho pure uno che si è preso in affitto un appartamentino che, altrimenti, sarei ancora lì a scrostare dalla muffa”.
Sepolcri imbiancati, cartelli, muffa. C’è tutto, qui. Solo la grammatica, latita un po’. Basta leggerli, i cartelli, e ti accorgi che il maestro Manzi per alcuni è solo un vago ricordo. Per altri, un emerito sconosciuto.
O, chissà, uno che attenta alla “cultura Occidentale” anche lui. E poi, poi c’è quella “profonda tradizione Cristiana”. Che le istituzioni suonino la "corda pazza", come diceva Sciascia, la dice lunga sulla musica che si apprestano a suonare.
“Sì, certo, e poi ci fanno un presepe che è uno schifo e ci regalano i cartelli per Natale”. Non è tenera nemmeno Maria, casalinga "per scelta, non per mancanza di lavoro, che qui il lavoro c'era prima che arrivassero loro". Anche tra i più solidali c'è sempre questo "noi" e questo "loro". Eppure, Pontoglio, al confine con la provincia di Bergamo, attraversata dal fiume Oglio, come dice il suo nome è città di ponti. E i ponti uniscono, non dividono. Almeno finora.
Chiediamo a Maria di parlarci del presepio e Maria – nomen omen – ci spiega: “il presepe se lo fai, lo devi fare come si deve, mica buttar lì due statuine nelle fontane del paese. E se vuoi bene al paese, non gli fai trovare sotto l’albero quei cartelli e tutto l’ ambaradan che si portano dietro. Una figura di …". Non per tutti, però. C'è chi è balzato agli onori delle cronache politiche nazionali con un costo pari a zero. Beh. non proprio a zero. Solo che paga Pantalone.
"Ecco, solo perché vuoi farti un po’ di spazio in TV e vedere il tuo nome sul giornale scateni questo finimondo. Sempre bravi i politici, ma con la faccia degli altri. E non dico altro”. Non dice altro, ma lo lascia intendere.
Già, ma quanto costa un cartello? “Costa metterlo, costerà toglierlo”. Preventivi, delibere o quant'altro. Operai specializzati, ditte, fatture elettroniche e non. Qualche migliaio di euro in fumo, Tradizione Occidentale anche questa: lo sperpero di risorse pubbliche.
Ma così va il mondo,in questa parte di mondo. “I valori cristiani? Un solo Dio e il rispetto di tutti”. Qui è Lino a parlare. Un solo Dio per tutti, "quindi basta mettersi d'accordo". Su cosa? Che è uno, nessuno, purché non centomila? Grande è la confusione sotto il cielo. Ma se le vie del signore sono infinite, a Pontoglio diventano anche particolarmente tortuose.
Devi scavare e non fermarti alle contraddizioni. Devi scavare tra le parole e attendere. Ci sono verità che affiorano, spesso sottovoce, in mezzo italiano e mezzo dialetto. Devi avere pazienza con questa gente dal volto solcato dalle rughe che sembrano scolpite nel legno. Qui, da sempre, bestemmia e preghiera sono un tutt’uno. È la provincia dura ma vera, bellezza.
Putin bombarda tutto, qui non in Siria: cartelli, politici, chiacchiere, tutto
Cittadino di Pontoglio
“I nostri figli ascoltano i rapper, gli immigrati parlano el dialett”. Già qui, nelle parole di Franco, si capisce che qualcosa si è inceppato tra le generazioni. Se tradizione significa, fin dall'etico, trasmissione (traditio), che cosa trasmettere quando non c'è più nemmeno una lingua comune tra genitori e figli? Una volta era il denaro – qui, ai tempi del boom edilizio, ne scorreva a fiumi: tutti carpentieri, tutti muratori, tutti a Milano a far soldi in nero a palate. Poi la festa è finita.
Vuole dire che lei coi suoi figli non ci parla e con gli immigrati sì? “Vede qualche giovane in piazza, questa mattina?”. È domenica, sono le 9 e di figli di tradizioni occidentali, ligi alla cultura del sangue e del suolo non ne vedo.
“Bevono, stanno fuori fino a tardi, poi alle 11,30 ricompaiono per l’aperol. La settimana lavorano se il lavoro ce l’hanno ancora, e ascoltano quella roba lì. Chi li capisce?”.
C’è un po’ di tristezza negli occhi di Mario. Ma poi passa. Passa sempre, la tristezza.
“Passerà anche ‘a nuttata”. Gennaro, 65 anni.
“Quando arrivai io, giravano voci che nei bidet noi napoletani ci coltivavamo il basilico. Io alla fine l’ho fatto davvero. A forza di sentirmelo dire… trovare casa per noi del sud era difficile, a me andò bene perché ero il classico terrone che lavorava alle poste. Ma per loro sono rimasto quello del basilico nel cesso”.
“Stipendio fisso. Un buon lasciapassare, ma non per tutto. Poi c'è la storia del basilico. E a forza di sentirtelo dire, poi lo fai. Alla fine, io il basilico l'ho piantato davvero. Mi chiedo: non è che a forza di dire a uno che è un terrorista talebano, non è che poi ce lo diventa davvero?”. Dal basilico nel bidet alle bombe nei sottoscala. Non c'è logica, certo. Ma la storia è questa.
Qualche rapper, però, lo ascoltano anche loro. Uno ha messo Dellino Farmer, un provinciale doc, di qualche km più dentro la bassa. Non roba da fighetti con jeans strappati purché di gran marca. Sane e sidur, dice, sangue e sudore. Un po' di retorica, un po' di realtà. Ma la vita in provincia è questa qua, prendere o lasciare.
“Putin, tira so töt [tira giù tutto]: cartelli, madonne, santi e mica santi”. Dice uno che passa di qua. Un piccolo anticipo della fine del mondo che verrà. Se verrà.
In tempi oscuri, diceva un vecchio proverbio russo, il fratello non giudichi il fratello. Forse è giusto così. Pontoglio, bassa bresciana, settemila anime, qualche cartello e molte parole di troppo.
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