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Politiche sociali,quanto pesanole Province “inutili”?

federalismo Enti locali protagonisti a EuroPA

di Redazione

Il tormentone è risuonato anche questa volta. Da un lato il Partito democratico che proponeva di eliminarle là dove sono previste le aree metropolitane, dall’altro il Popolo della libertà che annunciava: aboliremo quelle “inutili”. Quale migliore occasione, del resto, per minacciare la cancellazione delle Province, se non la campagna elettorale? Farla aleggiare dà un tocco di rigore ai programmi elettorali sul taglio della spesa pubblica.
Chiuse le urne, però, si torna a glissare sull’argomento e a dividersi. Lega, An e Forza Italia, ad esempio, hanno tre idee diverse sul destino di questo ente intermedio. Ma è proprio vero che le Province servono a poco e che si potrebbero suddividere i poteri fra le Regioni e i Comuni? Che funzioni hanno, soprattutto, nel settore delle politiche sociali?
A queste domande risponde una ricerca realizzata dall’Isfol in collaborazione con l’Upi – Unione delle Province italiane che viene presentata il 5 giugno a Rimini al Salone delle autonomie locali EuroPA e che Vita è in grado di anticipare. Uno studio importante per due motivi: perché ha un’ampiezza quasi da indagine censuaria e perché colma il ritardo nell’analisi del contributo delle Province alle politiche sociali.
Dalla ricerca emerge che le Province, a cui la 328 del 2000 affida un ruolo più circoscritto rispetto alle Regioni e ai Comuni, stanno compiendo uno sforzo per ritagliarsi uno spazio nel sistema disegnato dalla legge quadro. Pur non avendo, cioè, ampi poteri di programmazione, né tanto meno di finanziamento o di gestione degli interventi, stanno capitalizzando al meglio i pochi talenti a disposizione. E cioè: il coordinamento e l’assistenza nella stesura dei Piani di zona, l’analisi e la raccolta dei dati sulla domanda dei bisogni e sull’offerta dei servizi, la formazione degli operatori. Poteri minori, certo, ma non per questo irrilevanti. Basti pensare al ruolo che gli osservatori sociali potranno giocare nella valutazione dei livelli essenziali dei diritti sociali sul territorio.
Dal monitoraggio su 346 Piani di zona emerge che in più della metà dei casi l’analisi dei bisogni su cui poggia la programmazione del welfare locale fa riferimento ad informazioni elaborate da osservatori sociali provinciali. Una percentuale appena inferiore alla metà, invece, è quella che si riferisce all’effettivo coinvolgimento delle Province nelle procedure di consultazione messe in campo dai diversi ambiti territoriali per la costruzione dei Piani.
Un’incidenza che sfiora i due terzi del totale in Liguria e Veneto. «Già da questi dati si desume la consistenza dell’effettivo esercizio di una funzione significativa che sta a monte del processo di definizione delle politiche sociali», osserva Antonello Scialdone, dirigente dell’area Politiche sociali e pari opportunità dell’Isfol. Analogo rilievo si può attribuire al fatto che in alcuni territori le Province, accanto ad altri livelli istituzionali, hanno sostenuto finanziariamente attività di assistenza tecnica finalizzate alla redazione dei Piani, quali, ad esempio, l’organizzazione di seminari ed iniziative per la formazione degli operatori: si vedano le situazioni del Piemonte (56,3% dei Piani di zona) e del Friuli Venezia Giulia (41,2%).
Quanto all’attuazione, le Province risultano per la metà dei casi indagati coinvolte dalla sottoscrizione di accordi territoriali per la gestione di servizi definiti sulla base del Piano di zona. Gli accordi prevedono diversi strumenti quali tavoli di concertazione tematici ed équipe di valutazione tecnica delle problematiche. Le quote più elevate si registrano nelle Marche, in Toscana, in Friuli, salendo fino al 76% nel caso dell’Abruzzo.


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