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Politica. Una crisi lunga un giorno

La direzione dell'Udc ratifica l'uscita dal governo, Berlusconi cerca di recuperare Follini che chiede "nuovo governo e nuovo programma" ma non ci riesce. Cronaca di un giorno convulso

di Ettore Colombo

Un nuovo governo, un nuovo programma. A sostegno di questa richiesta ratificata dalla direzione dell’Udc, Marco Follini pone il gesto politico più forte: via dall’esecutivo, lui e l’intera delegazione, e appoggio esterno a quel che resta dell’esecutivo Berlusconi. Per il premier quella di oggi è stata forse la giornata più difficile, ma ostenta l’ottimismo dei momenti critici: “Non vi libererete facilmente di me. Sono aperto ad ogni soluzione”. Il presidente del Consiglio tenta un recupero in extremis dell’Udc, offrendo un Berlusconi bis o, come dice di preferire, un Berrlusconi ter, contando anche il governo del 1994. Ma in cambio di un “patto di fine legislatura”. Al no del leader centrista, Berlusconi in serata rivela: “Follini era d’accordo, poi ci ha ripensato. Se non c’è l’accordo, anche se non ne vedo il motivo, si va a elezioni anticipate”. Lui, comunque, non si dimetterà: “Sono una persona responsabile”, dice il premier, che non esclude che Follini ci ripensi: “Non vedo fatti ragionevoli che si oppongano ad un accordo su cui aveva già aderito”. La replica del leader Udc è secca: “Non alimento polemiche”. Nel pieno degli sforzi per sbrogliare la matassa della crisi, Berlusconi invia il sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta al Quirinale, dove preannuncia al segretario generale Gaetano Gifuni che, una volta chiarita la situazione nella Cdl, il premier si recherà da Carlo Azeglio Ciampi. La crisi politica si materializza di prima mattina con un Consiglio dei ministri senza il vice premier e i ministri Udc. Sono da poco passate le 10 e a poche centinaia di metri di distanza da palazzo Chigi, dove Silvio Berlusconi apre la seduta dell’esecutivo, il leader centrista Marco Follini riunisce, all’hotel Minerva, la direzione del partito per avere la ratifica della linea dura: fuori la delegazione dall’esecutivo, cui si assicura solo l’appoggio esterno, e richiesta di un nuovo governo Berlusconi. Partendo dal voto regionale, e riferendo del burrascoso vertice di maggioranza di ieri, Follini spiega ai suoi: “Di fronte a una sconfitta elettorale e a una difficoltà politica, abbiamo chiesto una novità. Questo significa nuovo governo e nuovo programma. Nuovo governo come condizione per rendere realistico e credibile un nuovo programma. Abbiamo chiesto e chiediamo un cambiamento profondo. Ovviamente per noi restano un punto fermo questa coalizione e la sua guida”. “La mia proposta – dice Follini – è di ritirare la nostra delegazione al governo e di chiedere ai ministri e sottosegretari, a cominciare da me, di lasciare il loro incarico garantendo al governo la nostra leale collaborazione parlamentare”. Non è un colpo di scena, è quanto l’Udc fin da subito aveva fatto balenare, nella convinzione che “questa maggioranza può vincere se cambia. Perde se si arrocca. Una maggioranza ferma, immobile, uguale a se stessa sarebbe il regalo più generoso al centrosinistra. Questo regalo non lo vogliamo fare. Anche per questo considero risibili e offensive tutte le interpretazioni che con molta malizia e nessuna verità ci vorrebbero collocare in una posizione ambigua o trasversale”. Ma dal presidente del Consiglio non è arrivata la valutazione attesa: “C’è stato risposto diversamente. C’è stato posto -ricorda Follini- il valore della continuità del governo e un certo minimalismo rispetto al risultato elettorale. Abbiamo un’opinione diversa. Abbiamo il dovere di assicurare la governabilità”, ma “abbiamo anche il diritto, e prima ancora il dovere di cercare di rendere incisiva la nostra opinione, ha argomentato il vicepremier invitando alla “approvazione in tempi rapidissimi, anche con voto di fiducia, del provvedimento sulla competitività”. In conclusione: “Ora tocca a noi scegliere con un gesto. O noi esprimiamo una delega in bianco al leader della coalizione oppure ci assumiamo la nostra responsabilità. Io dico che una chiara assunzione di responsabilità fa parte della logica di un governo di vera coalizione. E fa parte anche, dal mio punto di vista, di un’interesse generale del Paese che dobbiamo cercare di coltivare”. Una linea che viene messa ai voti e passa con 57 sì e l’unico no di Carlo Giovanardi. Così l’uscita dal governo di un vice premier, tre ministri (Rocco Buttiglione, Carlo Giovanardi, Mario Baccini) un vice ministro e cinque sottosegretari è l’atto primo di un drammà ancora tutto da scrivere. Al quale si aggiunge il capitolo Nuovo Psi, la cui segreteria, malgrado il dissenso del capogruppo alla Camera Chiara Moroni, decide anch’essa il ritiro della delegazione al governo. Anche se il segretario Gianni De Michelis precisa che “non chiediamo la crisi ma un Berlusconi bis, con nuovi ministri” cui votare la fiducia, perchè il nostro è un impegno “costruttivo e non distruttivo. Vogliamo mantenere fede agli impegni presi dal congresso e quindi confermiamo la scelta di campo compiuta in quell’occasione”. A palazzo Chigi, intanto, al termine del Cdm si brinda al 70° compleanno del sottosegretario alla Presidenza del consiglio Gianni Letta. Il premier Silvio Berlusconi, rientrando a palazzo Grazioli non si mostra per nulla turbato: “Temo che non vi libererete troppo facilmente di me … Vi posso dire che quello che mi guida è il senso di responsabilità nei confronti del paese. Sono sereno, perchè le decisioni che prenderò saranno sempre rivolte all’interesse del paese”. In concreto, però non esclude alcuna possibilità: di fronte alla decisione dei centristi dice semplicemente che “da parte mia non ci sono preclusioni a nulla. Faccio quello che riterrò per il bene del Paese. State tranquilli che farò così”. Un Berlusconi bis? “Vediamo, vediamo nelle prossime ore perchè la soluzione è tutta in movimento. Io guardo alla sostanza delle cose”. Poco dopo, Marco Follini ufficializza, leggendo un comunicato in sala stampa alla Camera davanti a una selva di microfoni e telecamere quanto deciso, a questo punto, dall’intero partito: “Sta al presidente del Consiglio cogliere l’opportunità della nostra scelta, per rinnovare il patto di fiducia con gli italiani”. Confermando la decisione del ritiro della delegazione e di un “sostegno alla Cdl senza equivoci, convintamente, e senza condizionamenti di potere”. Una scelta dettata dal fatto che “le elezioni hanno chiesto al centro destra un profondo cambiamento. L’Udc ritiene doveroso non far finta di niente. Lasciare così le cose come stanno non aiuterebbe nè la Cdl nè il Paese”. Berlusconi, nel frattempo, non si dà per vinto e con l’aiuto di Letta e del ministro Beppe Pisanu, intesse per tutto il pomeriggio una frenetica serie di consultazioni e contatti con An, Lega, Nuovo Psi, Pri (ma anche Follini fa più volte avanti e indietro da palazzo Chigi) nella speranza di rimediare in extremis, magari aprendo all’ipotesi di un nuovo governo, ma solo dopo aver ottenuto un impegno di fine legislatura da parte di tutti. Il premier incassa una cauta apertura da Mario Baccini, secondo il quale quello di stringere un patto di legislatura, prospettato dal presidente del Consiglio, è un obiettivo “auspicabile”, ed è “opportuno che in questa fase il premier avanzi delle proposte, questa del patto di legislatura mi pare una buona proposta”. Ma in serata arriva la nuova doccia fredda. Il leader dell’Udc Marco Follini dice no alla firma di un nuovo patto di legislatura proposto dal premier come “pegno” di un appoggio al Berlusconi bis. Un segnale di guerra che non lascia indifferenti i leghisti: “A questo punto o rientrano nella compagine di governo o si va a elezioni anticipate” proclama Roberto Calderoli. Al quale è di nuovo Baccini a replicare, stavolta a muso duro: “Le minacce leghiste non ci fanno nè caldo nè freddo”. Di fronte alle lacerazioni della maggioranza, l’opposizione chiede praticamente all’unanimità l’apertura formale della crisi di governo. Il primo è il segretario dei Ds, Piero Fassino: “La decisione della direzione dell’Udc di ritirare i propri ministri apre una crisi politica che non può più essere nascosta o mascherata. Il Presidente del Consiglio -dice il leader della Quercia- deve oggi stesso rassegnare le dimissioni e aprire formalmente la crisi di governo. Ogni ulteriore dilazione aggraverebbe soltanto la crisi del Paese e incrinerebbe ancora di più la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni”. “Credo che siamo entrati in una fase di profonda crisi” afferma da Bologna il leader dell’Unione Romano Prodi: “Bisogna prenderne atto -aggiunge- la crisi è già stata dichiarata stamattina dall’Udc e quindi credo che si sia entrati in una nuova fase”. Prodi mette subito da parte l’ipotesi di un esecutivo istituzionale: “C’è stata una votazione che ci ha dato una maggioranza e un primo ministro politici”. Quel che preme, fa capire il Professore, sono i tempi: “Questa crisi si deve risolvere in fretta. E presto deve esserci un dibattito in Parlamento”. Con una nota ufficiale Francesco Rutelli scandisce la grammatica istituzionale di questi casi: “L’Italia è una Repubblica parlamentare. In base alla Costituzione e a una prassi cinquantennale, il governo è in crisi, Berlusconi deve rimettere il mandato nelle mani del capo dello Stato e successivamente presentarsi alle Camere. L’agonia del governo non deve trasformarsi in una agonia del Paese”. Il centrosinistra, sottolinea il presidente della Margherita, “ha una grande responsabilità nel proporre soluzioni per l’economia nella drammatica congiuntura cui il Paese è stato ridotto e nel preparare, con la guida di Romano Prodi, il programma per il governo futuro che da oggi è senz’altro più vicino”. Rifondazione comunista non stecca in questo vero e proprio coro fell’opposizione perchè si arrivi al passaggio parlamentare: “Al punto in cui siamo -dice il segretario Fausto Bertinotti- la situazione politica italiana mostra troppi elementi di oscurità a causa di una evidente crisi, nascosta però dal governo Berlusconi. Si rende sempre più necessario per il Paese un elemento di chiarificazione. In questo momento, l’unica via d’uscita è la formalizzazione della crisi attraverso un passaggio parlamentare”. Se Berlusconi non lo facesse, rincara la dose il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, “commetterebbe un grave abuso e sopruso”. Il paese, aggiunge Di Pietro “non può aspettare i bizantinismi della prima repubblica soffocando l’economia del paese e la credibilità internazionale. Nel giro di qualche giorno si sappia se ci sono le condizioni per una maggioranza per un governo oppure si vada alle elezioni”. Dalla maggioranza è in particolare Forza Italia a spendersi nella difesa di Silvio Berlusconi. Il coordinatore Sandro Bondi indica la prospettiva di una evoluzione federale della Cdl, ma prima avverte: “In questa difficile, e per certi aspetti caotica, situazione politica, l’unica ragione di speranza è riposta nel leader della Casa delle Libertà, nell’investitura diretta che Silvio Berlusconi ha ricevuto dagli elettori e nelle sue capacità politiche di rappresentare e di garantire l’unica prospettiva di cambiamento e di rinnovamento della politica che in questi anni si è fatta strada, pur tra innumerevoli difficoltà”. “Una prospettiva -prosegue Bondi- che non ha alternative credibili. Un’altra ragione di fiducia potrebbe scaturire dalla volontà delle forze politiche della Cdl, a partire da quelle più affini, di dare il via ad un processo di aggregazione e di federazione: condizione imprescindibile per indicare una prospettiva politica all’Italia fondata sul mantenimento del bipolarismo e la conclusione della transizione ad una democrazia normale”. Punta dritto sui centristi, invece, il vice coordinatore Fabrizio Cicchitto: “La decisione dell’Udc costituisce un grave errore politico perchè introduce un serio elemento di difficoltà nella Cdl e sposta su un terreno improprio quella che deve essere la risposta da dare alla sconfitta elettorale alle regionali. Infatti questa risposta va data innanzitutto sul terreno dell’azione di governo nei confronti delle forze sociali”. Il vicecoordinatore di Fi ricorda anche come “nella riunione di ieri con An, la Lega, il Pri e anche con l’Udc e il Nuovo Psi erano stati identificati i nodi programmatici da affrontare e da sciogliere: la famiglia, la competitività delle imprese, il pubblico impiego, il Sud erano stati identificati come le questioni prioritarie da risolvere”. Infine, l’esortazione: “L’iniziativa del governo sui contenuti deve essere prioritaria. È un errore -insiste Cicchitto- aprire una controversia sul terreno di nuove edizioni e versioni del governo Berlusconi provocando un contenzioso su un terreno sbagliato che l’opinione pubblica non capisce”.


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