Formazione

Politica, avanti fra gli insulti. Trionfa Razza rozza

Finita l’epoca delle discussioni e del dialogo. Ovunque s’impone lo stile guerrafondaio o forcaiolo. Uomini di governo e politici parlano come dei gangster anni 30.

di Ettore Colombo

Dick Cheney è sbarcato a Treviso, circondato dai suoi marines, per l?occasione ribattezzati ?Padania Old Guard?, e ha circondato il Duomo, scacciando a suon di bombe intelligenti quei maledetti «fucking bastard» di immigrati che avevano abusivamente occupato il suo sacro suolo. Paolo Flores d?Arcais, invece, è volato nelle valli del Panshir con la scusa di portare dei non meglio precisati ?aiuti umanitari? alle martoriate popolazioni afghane e, a un certo punto, come colto da un demone asiatico, ha gettato il turbante e ha improvvisato un girotondo contro Silvio Berlusconi.
La rozzezza, intesa come categoria dello spirito, è legittimamente entrata a far parte della politica interna e internazionale diventandone un postulato di geometrica potenza.

Regolamenti di conti
Rozzezza vuol dire anche volgarità, certo. Ma soprattutto vuol dire violenza verbale e concettuale, legge del più forte espressa prima a parole e, quando queste non bastano più (il che di solito avviene abbastanza rapidamente), con gli atti. Bellici, omicidi, razzisti. Ma anche con urla, insulti, offese. La politica, dunque e specialmente (non serve certo spiegare perché) la politica post 11 settembre è diventata un puro concentrato di minacce e regolamenti di conti degni di un gangster anni 30. Il messaggio è chiaro: l?arte del compromesso, che una volta era considerata la virtù per eccellenza dell?uomo politico, si è perduta nel frastuono delle urla, è stata sepolta sotto il rombo del cannone, e la politica è oggi solo una frusta continuazione della guerra con altri mezzi, illegittimi e immorali.
Giulietto Chiesa, già corrispondente della Stampa dall?Unione Sovietica e inviato in Afghanistan, s?indigna e ammonisce: «La violenza verbale serve a preparare l?opinione pubblica occidentale alla guerra, quella nuova, contro l?Iraq, ma anche allo stato di guerra permanente in atto. La nuova guerra che si prepara sarà su grande scala e sarà violenta, devastante e sanguinosa, forse anche peggiore delle precedenti. I politici dell?amministrazione Bush in particolare, da Cheney a Rumsfeld, sembrano tanti gangster pronti a sparare: sono di una rozzezza che non conosce eguali, mentre Bush junior mi ricorda solo un giovanotto stupido che fa fatica ad articolare un discorso, ma non per questo è meno pericoloso». «Nei dirigenti politici europei», prosegue Chiesa, «vedo maggiore eleganza formale, che corrisponde però a un minor peso politico specifico, mentre l?unica nota positiva arriva dalla Russia: Putin, rispetto ad Eltsin, è un passo in avanti gigantesco sulla via della civiltà e delle forme. Ma a mettermi paura è anche il sistema mediatico occidentale che strologa di ?nuovi Hitler?. I fondamentalisti non fanno altro che rispondere con pari violenza alla virulenza degli attacchi del ?mondo libero?. Le parole pesano come pietre e uccidono prima ancora che la guerra cominci».
In totale disaccordo con Chiesa il corrispondente da New York del Sole 24 ore, Alessandro Platero, per il quale «l?attuale amministrazione Bush, al di là della consueta divisione tra falchi e colombe, non presenta alcuna caratteristica di rozzezza né di volgarità: qui si discutono questioni politiche vitali per la sicurezza dell?America, una nazione che ha, giustamente, paura, che è stata colpita e ferita nel suo intimo e che non può permettersi le timidezze e i bizantinismi degli alleati europei. Ma ci tengo a ribadire che, sul piano ufficiale, nulla è stato deciso e che, se è vero che le parole sono importanti, Bush e i suoi chiedono solo la ?rimozione di un regime ostile?. Nient?altro, per ora. La retorica, la diffusione e l?evocazione delle paure le creano i mass media».
Passando dal deprimente e angoscioso quadro internazionale al cortile di casa nostra ,le cose al solito da un lato si fanno più grottesche e semiserie, dall?altro fanno rimpiangere i tempi andati. Colpisce, in particolare, che due dei più acuti e brillanti osservatori della politica italiana, Filippo Ceccarelli, notista politico della Stampa e Gian Antonio Stella, inviato del Corriere della Sera, rimpiangano la Prima Repubblica, i suoi riti e miti, spesso oscuri persino a loro, agli addetti ai lavori, un tempo ormai trapassato nella memoria in cui, però, la politica aveva ancora cuore e volto umano. Stile e dignità. Ricerca del compromesso e correttezza di rapporti non solo formale, ma profonda. Per Ceccarelli «la rozzezza e la grossolanità della politica italiana è figlia della semplificazione e della fine dell?antica divisione tra sfera pubblica e sfera privata. Una volta la politica era fatta di sottigliezze e di complessità, di sfumature da interpretare, ma anche di grandi ideali e buone letture. Oggi è fatta solo di volgarità e superficialità, di banalità e di violenze gratuite in una gara continua a chi la spara più grossa che accomuna Di Pietro e Berlusconi, Cossiga e Rutelli. Le parolacce come le frasi ad effetto, le ingiurie come le risse verbali sono all?ordine del giorno, ma contano di più i gesti e le frasi ad effetto che le parole e il loro significato. Nuova stella polare, l?ansia di sedurre».

La volgarità è solo un alibi
Stella è ancora più duro: «La cifra della contemporaneità, in politica, è il servilismo e la piaggeria, nel berlusconismo come nel dalemismo. La volgarità dei politici della Seconda Repubblica, ormai, è tracimata: sembrano tutti tanti ?scorreggioni? (uso volutamente la volgarità, che loro amano) ma sono solo protervi, la volgarità è solo un alibi. Quello che mi fa veramente paura, piuttosto, è l?uso improprio e violento delle parole, come ?regime?, ?traditore?, ?nemico?. Le parole fanno male, le parole uccidono».
L?asse Washington-Treviso, Dick Cheney-Giancarlo Gentilini, ne sa qualcosa.

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