Volontariato

Polanski, grande sonata ma senza prodigi

Recensione del film "Il Pianista" di Roman Polanski.

di Giuseppe Frangi

Chi vedesse Il Pianista (Palma d?Oro all?ultimo festival di Cannes), senza conoscere il nome del regista, difficilmente arriverebbe a fare il nome di Roman Polanski. Nella penuria di grandi talenti di cui soffre questa stagione del cinema, non è una grande notizia. Polanski, alle prese per la prima volta con un film storico, con la sua Polonia e con l?olocausto, si tira indietro, quasi spaventato. Si lascia sovrastare dalla materia e guida il film con l?abilità di una grande mestierante ma senza immettere nulla di sé. Accade così che il film più personale di Polanski (nella trama ci sono anche elementi autobiografici, come la fuga dal ghetto di Cracovia), sia in realtà il più impersonale. La storia naturalmente è bellissima, la narrazione dei fatti sconvolgente, il protagonista – un grande pianista sfuggito per caso e attraverso allucinanti vicissitudini al massacro – è un personaggio indimenticabile. Ma tutti questi elementi, così giusti eticamente e così corretti storicamente, anziché ricevere dalla fantasia di Polanski un taglio imprevisto, ricadono nello stereotipo (in particolare quei tedeschi tutti biondi o mascelloni). Come se lo spregiudicato regista di alcuni tra i più grandi capolavori del cinema moderno, si confessasse intimidito davanti al peso della storia trattata. Comunque il film è da vedere e da far vedere: per toccare con mano come nessuna civiltà è garantita dall?assalto del principe del male.


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