Salute

Pochi organici.e al sudnon esistono

Consultori Una scommessa fallita

di Redazione

Sono da più parti indicati come l’anello debole del sistema. I consultori, chiamati in causa dalla legge 194 come attori in grado di contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza», a distanza di trent’anni non hanno ancora potuto realizzare pienamente il loro ruolo. Appaiono marginali non solo nel processo di counselling che conduce a un ripensamento della donna, ma persino nel rilascio della certificazione di Ivg. Appena un terzo di queste (il 35,7%), infatti, è oggi predisposta in consultorio; il resto proviene dagli studi medici o dagli ospedali, dove la possibilità di effettuare una scelta consapevole e informata è più bassa.
I problemi dei consultori sono «di ordine numerico, ma non solo», sostiene Michele Grandolfo, del reparto Salute donna dell’Istituto superiore di sanità, un tecnico il cui contributo è fondamentale nella redazione delle relazioni e delle linee guida del ministero della Salute sull’argomento. «La carenza di strutture al Sud è tuttora clamorosa», prosegue, «e i numeri del Nord non devono ingannare: se un consultorio c’è, non è detto che abbia organici sufficienti a garantire il servizio».
Poi c’è una questione strategica: il consultorio non è il canale esclusivo per affrontare l’iter di interruzione della gravidanza. Se lo fosse, sostiene Grandolfo, la percentuale di scelte abortive sarebbe ridotta: «In uno studio pilota dell’Iss abbiamo rilevato che, grazie alla prassi dei colloqui con lo staff qualificato e multidisciplinare, il 5% delle donne che si era rivolta ai consultori per abortire è ritornata sulla sua decisione ed è stata poi sostenuta per il proseguimento della gravidanza».
Sul fronte del counselling c’è anche chi, come il presidente del Movimento per la vita Carlo Casini, chiede un passo oltre: «Risorse e numeri in più non bastano», commenta, «se non si effettua un cambiamento nella struttura del consultorio, una riforma del personale e delle prassi, anche attraverso accordi, oggi ancora inesistenti, con il privato sociale, che è in grado di contribuire a un reale accompagnamento delle donne in difficoltà».
Alla base del declino dei consultori c’è anche il cortocircuito tra politiche nazionali e regionali. «Negli anni c’è stata resistenza a far decollare i consultori secondo le linee espresse dai ministri, disattendendo persino il progetto Obiettivo materno infantile che fa parte dei Livelli essenziali di assistenza», aggiunge Grandolfo. «Prova ne sono gli investimenti per il rilancio della rete consultoriale, dal 1989 ad oggi: oltre 200 miliardi di lire che o non sono stati spesi o sono stati spesi per scopi diversi da quelli previsti». Sarà il destino dei 20 milioni di euro appena liberati dal ministero della Famiglia per la riqualificazione dei consultori? «Non so», conclude Grandolfo, «di certo per realizzare un obiettivo bisogna anche mettere in campo sistemi di verifica dei risultati, altrimenti il sistema non cambia».

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