Salute

Pochi giovani, tante donne over 45

La ricerca della Fondazione Roma Terzo settore su 1.423 volontari e 1.329 organizzazioni di volontariato

di Redazione

Un volontariato in transizione, al passo con la lenta ma inarrestabile trasformazione del sistema di welfare. Ma anche un volontariato dall’identità “dimezzata”, troppo dipendente dal settore pubblico e non ancora pienamente capace di fare rete con le amministrazioni e gli altri soggetti del territorio. È una fotografia a luci e ombre quella che emerge dall’indagine “Organizzazioni di volontariato tra identità e processi”, che la Fondazione Roma Terzo settore ha realizzato alla vigilia dell’Anno europeo del volontariato su una rilevazione condotta nel corso del 2008 (in allegato).

La ricerca è stata condotta su 1.423 volontari e 1.329 organizzazioni di volontariato in dieci aree del paese: le province di Biella, Trento, Modena, Treviso, Rovigo, Venezia, Belluno, Taranto, Cosenza e la regione Sardegna. «Un campione statisticamente non rappresentativo del volontariato italiano, ma sicuramente in grado di tracciare una tendenza sui cambiamenti generali attualmente in atto», spiega il curatore dell’indagine, Renato Frisanco, già responsabile delle ricerche periodiche su tutto il territorio nazionale svolte dalla Fondazione Italiana Volontariato fino al 2006. Si tratta dunque della ricerca più aggiornata oggi disponibile sulle linee di tendenza del volontariato italiano.

Innanzitutto chi sono i volontari? La fotografia scattata dalla Fondazione Roma Terzo settore ne traccia l’identikit: si tratta prevalentemente di donne, ultra quarantacinquenni e con un titolo di studio piuttosto elevato. Scarsa, invece, la presenza dei giovani: su 100 volontari continuativi soltanto 14 hanno fino a 29 anni e oltre 40 sono ormai sopra i 45. Ma dalla ricerca emerge anche che la maggiore presenza giovanile spetta alle organizzazioni dei comuni medio-piccoli, a quelle più recenti e indipendenti e alle unità che operano nei settori della partecipazione civica piuttosto che nel welfare. Piuttosto lento poi il turn over di quanti ricoprono le cariche di vertice: i presidenti sono per lo più di volontari di lungo corso in carica, mediamente, da sette anni. Anche se in quasi il 29% dei casi ricoprono la posizione presidenziale da 9 o più anni. Oltre a donare il proprio tempo, i volontari contribuiscono anche al sostegno economico dell’organizzazione, mentre nel 16% dei casi ricevono un rimborso delle spese sostenute per l’attività solidaristica, di cui nel 15,8% dei casi si tratta di un rimborso spese forfetario e non documentato, ovvero un piccolo compenso in “nero” da parte dell’organizzazione.

Quanto alle dimensioni delle organizzazioni poco meno di una organizzazione su due (46,1%) aggrega non più di 10 volontari continuativi, mentre pressoché un quarto del campione (24,6%) può contare su oltre 20 persone. La rilevazione registra, inoltre, che l’aiuto a chi si trova in condizione di bisogno (51 su 100) e la propensione ad occuparsi di “beni comuni” (35 su 100) rimangono le ragioni principali che determinano la nascita delle organizzazioni. Ma vi è anche una terza componente che, per quanto minoritaria, resta comunque significativa: 14 organizzazioni su 100 sono state fondate a scopo di auto-tutela o di auto-aiuto. Oltre la metà delle associazioni analizzate fa capo a una grande sigla nazionale, ma si tratta soprattutto di organizzazioni legate ai settori del socio-sanitario, mentre quelle indipendenti sono maggiormente presenti nei meno tradizionali comparti della partecipazione civica. Il 62% delle organizzazioni esaminate continua ad operare nel socio-sanitario e il 77,6% dichiara di occuparsi di particolari gruppi di cittadini in difficoltà.

(fonte: Redattore sociale)

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