Politica

PNRR? Il 20% delle risorse sia destinato direttamente al Terzo settore

Vita ha organizzato un confronto in diretta su Facebook tra esperti e leadership del Terzo settore dal titolo “Il terzo settore protagonista della rinascita del Paese” per ragionare del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” che nelle sue molteplici stesure continua a relegare il Terzo settore in una posizione subordinata rispetto alla pubblica amministrazione

di Redazione

Perché, come hanno fatto altri paesi (la Francia ad esempio) e come sta facendo l’Unione Europea, non affermare in premessa e nello svolgimento del Recovery Plan il ruolo chiave del Terzo settore e così finalmente rendere pieno riconoscimento al ruolo dell’economia sociale per la ripresa e la resilienza? È da questa domanda che ha preso le mosse l'evento online di Vita.

Il primo a misurarsi con la questione è stato Stefano Zamagni, tra le altre cose presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. « Parto dalla constatazione di un paradosso che concretizza la nostra fase storica. Come si evince dai dati di un recente ricerca di Ipsos risulta che il 60% degli italiani considera il ruolo dei corpi intermedi decisiva. E il 41% considera che l'Italia non potrà uscire dalle secche nelle quali si trova senza un rilancio del Terzo settore. Nonostante tutto questo il paradosso sta nel fatto che non solo nel cosiddetto Recovery Fund il Terzo settore è abbandonato al proprio destino. Ma subisce un costante boicottaggio da parte della politica, basta guardare quello che sta avvenendo nei confronti del codice del Terzo settore. Non se ne capiscono le ragioni. Come mai c'è questo scarto tre il sentire delle persone e l'azione politica? In primo luogo questo si deve alla difficoltà nel comprendere la rivoluzione in cui siamo, con il passaggio dal modello bipolare stato-mercato a quella tripolare stato-mercato-comunità. Una società avanzata com'è la nostra non può reggersi unicamente su stato e mercato. Ed è chiaro che, a seconda delle simpatie ideologiche, c'è chi dà più peso allo stato piuttosto che al mercato. In qusta situazione il Terzo settore ha il ruolo di correttore degli errori di stato e mercato. Questo è un modo semplicemente offensivo di intendere la questione. Il Terzo settore insomma esiste solo nella misura in cui stato e mercato sbagliano. Non sbagliassero più il Terzo settore non sarebbe più utile».

Per Zamagni il punto è in particolare uno: «Se vogliamo il modello tripolare non possiamo non volere rafforzare i soggetti di Terzo settore. Perché la categoria di beni di cui oggi abbiamo massimamente bisogno è quella dei beni comuni. Se i beni che migliorano la nostra vita fossero solo beni privati e pubblici potremmo rimanere nel sistema precedente. Ma la novità di questa fase storica è la rilevanza dei beni comuni che non sono né privati né pubblici. E quindi in termini di governance non possono vedere modelli di gestione privatistici o pubblicistici. Per capirci l'acqua è un bene comune tanto quanto la conoscenza, e quanto lo sono i vaccini di cui parliamo oggi. E non sono beni pubblici. Lo scarto di cui parlavo all'inizio me lo spiego con il fatto che la categoria dei beni comuni è destinata a diventare sempre più rilevante».

«C'è infine un'ultima dimensione», conclude Zamagni, «da un punto di vista storico gli enti del terzo settore sono nati prima sia degli attori del mercato che degli attori pubblici. Nessuno lo ricorda mai. Un soggetto che nasce per primo viene rubricato come terzo. Dice molto dello scollamento di cui stiamo parlando. Non ci vuole molto per capire come questa sottovalutazione abbia determinato errori a catena nella stesura del Recovery Fund».

Per Mario Calderini, professore del Politecnico di Milano «una delle tante critiche che si possono fare al Piano è che mancava di qualunque empatia e forma di ingaggio con la società. Continuo a pensare che verrà riscritto perché c'è un problema di metodo: trovo incredibile che un Governo non riesca a scrivere 130 pagine in un italiano decoroso». Per Calderini «c'è poi da fare un discorso relativo all'impatto e alla rendicontazione in senso ampio. Certamente dovremo fare molta attenzione all'esecution e rendere conto alla Commissione Europea. Su questo farei un riflessione: la commissione europea non è che sia stata il campione mondiale della rendicontazione. Immaginando la questione solo come un tema di carattere meramente quantitativo. Speriamo che non sarà questa l'idea di rendicontazione che useremo per il Recovery Fund. Non trasformiamoci in ragionieri». Sulla valutazione d'impatto per Calderini «bisogna dire che la prima sfida l'abbiamo persa. Quello di cui abbiamo bisogno è l'articolo zero: quello che spiega bene il perché un provvedimento viene preso e il metodo che usa. La sciatteria di questo piano è assoluta. Parlando ad esempio di politica industriale, non si possono scrivere frasi vaghe evocando slogan. La valutazione di impatto vuol dire spiegare bene qual è la teoria del cambiamento che si ha in mente come modello. Serve la regola dell'articolo zero. La valutazione d'impatto serve per capire il perché delle scelte. Un esercizio ex ante che dia evidenze concettuali e logiche di quello che si fa. Quello che manca è la nozione di impatto come meccanismo transnazionale. Il Recovery Plan avrà successo se definirà meccanismi di ingaggio pubblico-privato differenti da quelli che abbiamo visto fino ad oggi. È chiaro che c'è poi un problema di rendicontazione ex post, che è importante. Nella complessità gigantesca cui ci troviamo difronte è difficile immaginare che qualcuno abbia la ricetta che risolve tutti i problemi. Per questo è un processo che si evolve nel tempo. Ecco perché è importante una valutazione passo passo». In conclusine il professore sottolinea come «ho visto nella stesura del piano, come diceva Zamagni, un pendolo che oscilla tra stato e mercato e manca completamente la visione tripolare. Dobbiamo capire che la pandemia ha introdotto il valore della reciprocità. E solo attraverso la contaminazione tra stato e mercato con la presenza di un terzo polo di regolazione che troveremo un nuovo equilibrio. Non si può progettare il futuro senza tenere in mente questo triangolo».

Sempre sul tema della valutazione è intervenuta anche Sabina De Luca del Forum Disuguaglianze e Diversità secondo cui «l'articolo zero di Calderini è un tema sostanziale. Dal piano non si capisce qual è la ratio generale e in che modo e per che motivi si allocano le risorse. Quali sono le missioni strategiche, cosa si vuole cambiare? Il lavoro da fare è usare la questione dei risultati attesi, che ci aiuterebbe molta nel venire fuori da tutte queste carenze».

Un modello che secondo De Luca «ci aiuterebbe ad evitare la mera rendicontazione finanziaria ad esempio. Non avere un piano chiaro rispetto ai risultati attesi non ci permette neanche di immaginare un percorso a tappe che ci aiuterebbe a assumere impegni concreti e a centrarli attraverso anche le riforme necessarie. È per altro l'unico modo che ci consentirebbe di selezionare i progetti sulla base del filtro dell'efficacia. Altrimenti non si capisce su quale base si prendono le scelte allocative. Il sistema del Piano di allocazione delle risorse per altro manca di una vera programmazione demandando agli enti locali la selezione di progetti attraverso bandi. Il che significa che l'attuazione del Piano è a carico della PA ma i dirigenti pubblici non hanno chiaro quale siano le linee guida e la ratio generale del piano. Serve un piano di rigenerazione delle amministrazioni pubbliche».

Sul tema dell'economia civile e delle imprese sociali il primo ad intervenire è stato Gianluca Salvatori, segretario generale Euricse. «Il punto di partenza della riflessione di Euricse è che, nonostante l’Italia sia tra i primi in Europa per rilevanza del Terzo settore, nella versione attuale del PNRR il suo potenziale effettivo non emerge. L’economia sociale non viene nemmeno menzionata nel documento mentre le citazioni riservate al Terzo settore sono per lo più incidentali, limitate alle funzioni di carattere assistenziale o riparativo. Invece», ha proseguito nel suo intervento, «si tratta di un insieme di attori civili, sociali ed economici già impegnati, e ulteriormente impegnabili, in molti degli interventi previsti dal piano».

Tra gli esempi citati, oltre ai più noti asili per l’infanzia e servizi di cura degli anziani e dei portatori di handicap, ci sono l’housing sociale, l’inserimento lavorativo, il servizio civile per i giovani e l’economia circolare.

Salvatori ha poi messo sul piatto quattro proposte di valorizzazione di Terzo settore ed economia sociale:

  • la necessità di trasformare il rapporto tra amministrazione, cittadini e imprese a partire dall’amministrazione condivisa, dalla co-programmazione e dalla co-progettazione

  • la creazione di un fondo unico per sostenere lo sviluppo del comparto

  • il riconoscimento delle organizzazioni dell’economia sociale come facenti parte dell’ecosistema dell’innovazione

  • la creazione di un’iniziativa nazionale per incoraggiare la progettazione di corsi dedicati al Terzo settore e all’economia sociale in tutti gli atenei italiani.

Per la presidente di Legacoopsociali, Eleonora Vanni «per le imprese sociali essere un soggetto centrale non è tanto partecipare alle audizioni o essere destinatari di incentivi temporanei. È importante essere a pieno titolo autori delle macro aree in programmazione in grado di coniugare economico e umano. E di attivare insieme a risorse proprie delle persone quelle delle comunità. Il fatto di non essere solo attuatori di progetti. In quale posizione ci vediamo all'interno di un piano di ripresa? Una posizione che pur riconoscimento uno dei tratti principali del Terzo settore vengono relegate nell'area della coesione sociale. Un errore di fondo che misconosce l'azione imprenditoriale ed economica che si è manifesta anche durante la pandemia quando competenza, creatività e flessibilità delle imprese sociali sono emerse anche in questi contesti che si davano per congelati sotto il peso delle routine». La presidente si è chiesta retoricamente «come si può parlare di sanità di prossimità senza avare presente la massiccia presenza dell'impresa sociale e del terzo settore in questo ambito? O come si può pensare di investire risorse, seppur insufficienti, destinate alla creazione dei servizi per l'infanzia senza immaginare una programmazione condivisa con questi soggetti che hanno fattivamente contribuito alla creazione di questi servizi?».

Per il capitolo Istruzioni e Minori è intervenuta Chiara Saraceno, sociologa ed esperta dell'Alleanza per l'Infanzia che ha sottolineato come «il ruolo del Terzo settore nel campo dell'educazione è minimo all'interno del PNRR. L'associazionismo ha una funzione di antenna pubblica sul territorio imprescindibile, soprattutto nell'ambito scolastico. Ormai non possiamo pensare alla scuola pubblica come un'isola a sé stante che ovunque venga catapultata funziona allo stesso modo. Occorre rafforzare la comunità educante e le sinergie. La scuola da sola non ce la fa». Circa al pinao Saraceno spiega che «occore uno sguardo più integrato nell'affrontare questi temi. Mi colpisce che nel PNRR l'unico attore rilevante nominato nei rapporti con la scuola sono le aziende. Nell'ottica della transizione scuola-lavoro. Tutte cose bellissime, ma sembra così che la scuola abbia solo questo scopo e che l'azienda sia l'unico interlocutore valido. Non emerge che l'istruzione è qualcosa di più ampio della preparazione al mercato del lavoro. Non c'è traccia del tema educativo. E quindi di tutti quegli attori e soggetti che collaborano a questo fine sono dimenticati».

Marco Leonardi, economista dell'Università dell'Università Statale di Milano e consulente del Governo ha difeso il lavoro ancora in corso sul PNRR. «Ho partecipato per il Ministero del tesoro alla riscrittura del Recovery Fund. Il contributo che posso dare è sottolineare qualche elemento in più di valutazione rispetto al PNRR». «Il tema che viene lamentato è rispetto al disegno», spiega Leonardi, «a parziale giustificazione dello stato in cui è adesso il documento c'è la sua genesi. Tutti sappiamo com'è nato, sei mesi fa, con l'invio da parte di tutti i Ministeri di diversi progetti. È quindi cresciuto come una somma di progetti di diverse amministrazioni. Qualcosa che era un ingrediente necessario. Il modo in cui è stato costruito fa però emergere una mancanza di trasversalità non solo sul Terzo settore ma anche su altri ambiti. Nella ultima riscrittura ovviamente, parte dell'ordine che abbiamo messo, è stata proprio l'uniformare e omogeneizzare il tutto per avere un testo più coerente». L'altro punto su cui Leonardi ha risposto «è sul fatto che mancano soggetti attuatori, tempi modi e rendicontazione. Certamente la versione che è pubblica è una versione di sintesi che nella versione estesa ha in alcuni casi queste informazioni. Ma non era possibile pubblicare anche le parti di dettaglio, che pure sono fondamentali e che sono stati discusse. C'è tempo ancora per correggere quello che va corretto. Per quello che riguardare i singoli progetti su cui può e deve essere coinvolto il Terzo settore io ne ho fatto una lista. E ce ne sono molti altri in cui questo coinvolgimento non solo è auspicabile ma necessario. È un bicchiere mezzo pieno che va riempito velocemente».

Durissimo Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi, che ha attaccato «penso che lo Stato italiano sia tecnicamente fallito. È un'affermazione forte ma non distante dal vero. Non dal punto di vista finanziario. Ma sul fornire i servizi essenziali ai cittadini. Basta guardare la gestione della pandemia. Per li più le cose non vengono fatte. E quando riesce a fare le cose le fa tardi, male e spendendo molto. In questa pandemia il Terzo settore si è dimostrato resiliente e non si è fermato. Noi oggi dobbiamo valorizzar chi non si è fermato. Sono contrario alla logica della ripresa. Dobbiamo ripartire da chi non si è fermato. La pubblica amministrazione si è fermata, noi no. Lo Stato non ce la farà mai a spendere questi soldi. Hanno un anno e mezzo per impegnarne il 70%. Sfido chiunque a dire il contrario. Se vogliamo che questi soldi siano spesi bene, a abbiano un impatto positivo, dobbiamo dire con forza che il Terzo settore deve avere un ruolo fondamentale nella gestione di questi fondi. Ma non solo per le briciole dedicate al recinto dei buoni. No: in maniera trasversale. Su tutto dobbiamo avere un ruolo e lo dobbiamo avere nella gestione diretta. Superare la logica dell'appalto e del bando. Noi come Terzo settore dobbiamo inventarci nuovi modi. Dobbiamo essere proattivi. Dovrebbero destinarci direttamente la gestione del 20% delle risorse del Piano»

A dargli manforte Carlo Borgomeo, presidente Fondazione con il Sud che sottolinea «sono totalmente d'accordo con Silvestri. Le sue non sono provocazioni. Ma vorrei suggerire al Terzo settore una logica ambivalente. C'è una logica generale che rivendica dei principi. Ma attenzione che il documento che abbiamo letto ha improvvise specificità che rimandano ad interessi precisi. Quindi oltre all'impostazione bisogna lavorare ad una logica di emendamenti al testo. Altrimenti si corre il rischio che si arrivi alle pacche sulle spalle ma stringendo un pugno di mosche. Ci sono due capitoli importantissimi che riguardano il Terzo settore: educazione e sanità. In entrambe bisogna prevedere che le risorse vadano ad organizzazioni di Terzo settore».

Anche per Claudia Fiaschi, portavoce Forum del Terzo Settore la destinazione diretta del 20% delle risorse «è un'idea che si può perseguire», aggiungendo poi che «per quanto ci rigaurda il tema del PNRR è un appuntamento che vedrà lavorare punto per punto per arrivare a costruire un pacchetto di emendamenti molto precisi».

A concludere l'incontro Luigi Bobba, presidente del think tank Terzjus. «Provo a sintetizzare in cinque telegrammi questo incontro. Il primo lo prendo dalle parole di Mario Draghi: abbiamo le risorse messe a disposizione dall'Unione Europea e abbiamo la possibilità di fare cose buone per il Paese con particolare attenzione ai giovani e all'economia sociale. Dobbiamo evitare di farci chiudere in steccati. Siamo trasversali, generativi e trasformativi e così dobbiamo essere considerati», spiega l'ex sottosegretario.

La seconda cosa «che voglio dire è presa dalle parole di Silvestri: c'è una comunione di scopo tra gli ets e le amministrazione pubbliche che genera pari dignità. C'è un punto chiave: l'attore Terzo settore può diventare decisivo nella governance. È una rivoluzione culturale». Il terzo punto ha a che fare col fatto che c'è poco tempo per intervenire sul PNRR. «Ma c'è anche un'azione di medio periodo che riguarda l'action plan europeo sull'economia civile. Una partita ancora tutta da giocare e su cui bisognerà impegnarsi», continua a Bobba che conclude «questo piano anaffettivo mi ha ricordato le parole di Massimo Recalcati quando diceva del bisogno di cedere un futuro del quale innamorarsi. È così, altrimenti è difficile che questa rinascita prenda una forma e appassioni le persone. Siamo di fronte ad un lavoro che parte dall'immediato ma che continuerà nel medio periodo».

Qui la registrazione dell'incontro

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