Politica
Più Repubblica meno Stato
È lo slogan di Savino Pezzotta alle Giornate di Bertinoro per leconomia civile: una discussione sulle identità del Terzo settore. Anteprima dell'editoriale in edicola da oggi con VITA Magazine
Sarà stata la suggestione del luogo, la bellissima costruzione della Rocca dei Conti di Bertinoro, risalente ai primi decenni del X secolo con i suoi importanti affreschi dei secoli XV, XVI e XVII recentemente restaurati. Sarà perché ormai da sei anni, in questa Rocca, si riuniscono i migliori cervelli e i leader dell?economia sociale del Paese. Fatto sta che proprio nella sessione inaugurale della sesta edizione delle Giornate di Bertinoro per l?economia civile, in una discussione sulle identità del terzo settore, Savino Pezzotta se n?è uscito con uno slogan che ha colpito tutti, compreso il sottoscritto, per la sua efficacia e attualità. « Qui ci vorrebbe più Repubblica e meno Stato», ha detto l?ex leader della Cisl riferendosi alla necessità di valorizzare ciò che di buono emerge dalla società civile e al bisogno di risentire tutta l?articolazione d?identità e di funzioni nella discussione pubblica che sembra sempre più unidirezionale, grigia, appiattita. «Più Repubblica e meno Stato» non è un aggiornamento di quel che resta di un fortunato slogan di una decina d?anni fa – «Più società e meno Stato» -, slogan passato nel frullatutto berlusconiano che ha fatto della fiducia nella capacità della società di autoregolarsi uno dei segreti del suo successo. Invocare un più di Repubblica significa dire qualcosa in più e di più forte del semplice lisciare il pelo alla società, spesso più incivile che civile. Significa chiedere che si riparta da quello spazio pubblico deliberativo disegnato dalla Costituzione repubblicana. Uno spazio pubblico di cui, di fronte all?autismo di un Parlamento nominato dai partiti grazie ad una legge elettorale nefasta e di fronte a un governo che con la Finanziaria 2007 ripropone uno Stato meticoloso intermediatore di fondi e di consenso, chi a cuore una democrazia effettiva sente oggi assoluta necessità.
Uno spazio pubblico come quello disegnato dalla nostra Costituzione nei suoi due primi articoli: all?articolo 1, «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» e all?articolo 2, «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell?uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l?adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Uno spazio pubblico che la revisione costituzionale del 2001 sulla Parte II ha così rilanciato all?articolo 118: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l?autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Ecco, è il tradimento del patto descritto in questi tre articoli e gli arretramenti sul terreno della sussidiarietà che oggi fanno dire «Vogliamo più Repubblica e meno Stato».
Del resto, spesso i dizionari aiutano. Se lo Stato è «entità giuridica e politica e struttura gerarchica e burocratica di un Paese politicamente organizzato che esercita la sovranità», la Repubblica è «forma di governo in cui la sovranità appartiene ai cittadini». Più coscienza diffusa della cosa pubblica e meno Stato sono le condizioni affinché non si avveri la terribile profezia di Hannah Arendt, di cui è appena ricorso il centenario della nascita. Scriveva la Arendt nel 1951 ne L?Origine del totalitarismo: «Il male radicale risiede nella volontà perversa di rendere gli uomini superflui. È come se le tendenze politiche, sociali ed economiche di quest?epoca congiurino segretamente per maneggiare gli uomini come cose superflue». Loro e le loro libere associazioni.
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