Cultura
Più profughi che afghani. Come aiutarli
In Afghanistan è emergenza profughi. Sono decine le ong e agenzie umanitarie in loco per dare aiuti alla popolazione. Ecco la situazione e gli indirizzi
È un?emergenza umanitaria nell?emergenza umanitaria quella che Onu e società civile affrontano in Afghanistan. Il milione e mezzo di persone in fuga dal paese per paura di un attacco americano si somma ai 2 milioni e mezzo di afghani che già vivono nei campi profughi in Pakistan e al milione e mezzo scappato in Iran. I 320mila civili che rischiano di morire di fame nelle prossime settimane si aggiungono ai 5 milioni di cittadini che già prima degli attentati sopravvivevano solo grazie agli aiuti del Programma alimentare mondiale.
La nuova guerra degli Stati Uniti contro il terrorismo si aggiunge a 22 anni di guerra civile e contro gli invasori. Il blocco dei voli umanitari e l?evacuazione delle ong occidentali, imposto il 12 settembre, arriva al termine di tre anni di siccità.
I fondi a rilento
Come se questa moltiplicazione di emergenze non bastasse, alla cronica mancanza di denaro per progetti umanitari in Afghanistan da tre settimane si aggiunge la difficoltà di raccogliere fondi per un paese ritenuto responsabile di 6mila morti innocenti.
L?ong AfghanAid l?ha spiegato ai suoi sostenitori con un comunicato online ( afghanaid.org.uk ) invitandoli a non discriminare fra le vittime americane e quelle afghane con un?aspettativa di vita media che non supera i 44 anni. Ma senza grandi risultati. E se un po? più fortunata si è rivelata la raccolta fondi di Oxfam, 24mila dollari in una settimana, per il momento l?unico sostegno economico su cui possono contare i profughi afghani, i paesi che li ospiteranno e le ong che si stanno preparando ad accoglierli, sono i 4 milioni di euro donati dall?Unione europea e i 16 milioni di dollari con cui, al 2 ottobre, numerosi governi (la generosa Italia in testa, con una donazione di 7 milioni di dollari) avevano risposto alla richiesta di 268 milioni lanciata dall?Acnur. Le operazioni più urgenti da finanziare?
Per le quattro agenzie Onu e le dodici organizzazioni non governative impegnate nell?emergenza (vedi mappa) a dettare la lista delle priorità sono il clima e la geografia della terra dei Talebani. I meno 25 gradi dell?inverno afghano ormai alle porte, che l?anno scorso nella sola Herat hanno ucciso centinaia di persone ogni notte, rendono più che mai urgente la costruzione di ripari per i 7 milioni e mezzo di persone a rischio in Afghanistan. «Nel 20 per cento dei casi sono bambini sotto i cinque anni gravemente denutriti», spiega Roberto Salvan, direttore di Unicef Italia, il Fondo delle Nazioni unite per l?infanzia che il 2 ottobre, dopo 20 giorni di interruzione degli aiuti, ha portato a Faizabad, nella zona controllata dall?Alleanza del nord, 200 tonnellate di alimenti ad alto contenuto proteico e vestiti per ripararsi dal freddo.
Le peripezie dei camion
Il percorso seguito dai 19 camion dell?Unicef e delle altre agenzie Onu per raggiungere Faizabad spiega chiaramente come la geografia del paese stia condizionando le operazioni umanitarie. Partito sabato 28 settembre dalla città pakistana di Peshawar, il convoglio ha percorso 450 chilometri verso nord fino a raggiungere Chitral, a 3mila metri di altezza.
Qui, il giorno dopo, il carico di tutti i camion è stato trasferito su un centinaio di jeep a quattro ruote motrici che hanno raggiunto il passo Shah Saleem, a 4mila metri, e quindi consegnato gli aiuti a 500 portantini che li hanno distribuiti su 4mila asini cui ci sono voluti due giorni per compiere i 40 chilometri che separano il passo dalla pianura afghana di Zeebak. Dove il carico umanitario è stato nuovamente caricato su dei camion diretti a Faizabad. E se trasportare generi di soccorso in territorio afghano è difficile, praticamente impossibile è farci entrare operatori occidentali specializzati in guerre e assistenza ai profughi.
Le difficoltà dei profughi
Al chirurgo Gino Strada, unico italiano che si trova ora in Afghanistan con due espatriati di Emergency, cinque di Medici senza frontiere e due della Croce rossa internazionale, ci sono voluti quattro giorni di cammino, jeep e cavallo fra le montagne per raggiungere il suo ospedale di Anabah, nel Panshir. Un viaggio che, in senso inverso, dall?11 settembre al primo ottobre hanno già compiuto in 15mila. Secondo l?Acnur, in caso di attacco armato, potrebbe seguire le loro tracce un altro milione di profughi.
Sempre che ci riescano: martedì 2 ottobre, vinti dalla sete, dalla mancanza di cibo, dalla stanchezza e dalle frontiere sbarrate, 20mila afghani che cercavano di entrare in Pakistan hanno fatto marcia indietro e sono tornati a casa. È difficile anche essere profughi, oggi, in Afghanistan. Già prima che sul confine col Pakistan e nei suoi nuovi campi di accoglienza mancasse l?acqua, solo il 12 per cento della popolazione aveva accesso a quella potabile. Già prima che mancassero le medicine, solo il 2 per cento degli afghani aveva assistenza sanitaria. Già prima di questa emergenza, il Paese era al tracollo.
La geografia della disperazione
Regione: Mazar I Sharif
500mila profughi interni
900mila persone a rischio
Nella zona operano:
Oxfam
Il 21 settembre è riuscita a portare 1.500 tonnellate di cibo,i primi aiuti da quando il Programma alimentare mondiale aveva sospeso i voli umanitari in seguito agli attentati, nella zona di Mazar I Sharif dove oltre 18mila profughi vivono nel campo di Aq Kupruc. Tutto il personale straniero è stato evacuato in Pakistan. Prima dell?11 settembre era una delle ong incaricate di distribuire gli aiuti del Programma alimentare mondiale. Contava su numerosi operatori occidentali e personale afghano in grado di aiutare 750mila persone.
oxfam.co.uk
Save the children
A coordinare gli aiuti umanitari e i progetti di educazione dei bambini di Mazar sono rimasi solo 10 operatori e volontari afghani di questa ong impegnata nel paese dal 1976. Il personale occidentale, evacuato in Pakistan dopo gli attentati, sta raccogliendo coperte da campo, tende e generi di prima necessità per accogliere i profughi in fuga.
savethechildren.org
Regione: Hazaradjat
200mila profughi interni
50mila persone a rischio
Nella zona operano:
Action contre la faime
Lavora in Afghanistan dal 1995 coinvolgendo nei suoi progetti umanitari operatori locali. Tra cui 90 donne del ministero della sanità impiegate nei suoi 35 centri di nutrizione e cura di Kabul. Dall?11 settembre personale locale manda avanti il suo programma ?Food for work? basato sulla distribuzione di viveri in cambio di aiuto per costruire sistemi di irrigazione, case e infrastrutture.
ac-fr.org
Aide Medical International
Grazie al personale locale, continua a garantire cibo e assistenza sanitaria a 115 mila persone povere che vivono in quest?area. Spera di poter portare nella zona quattro cliniche mobili per la cura dei feriti. In Afghanistan dal più di 20 anni, prima degli attentati contro l?America era impegnata in otto province dell?ovest con 15 espatriati e 500 impiegati afghani dislocati in quattro ospedali e 11 dispensari.
amifrance.org
Regione: Panshir
350mila persone a rischio
Nella zona operano:
Emergency
Gino Strada e due colleghi si trovano in questo momento nell?ospedale di Anabah creato dall?organizzazione. In Afghanistan dal 1999, prima dell?11 settembre Emergency era impegnata nell?assistenza di malati e feriti a Kabul e in posti di primo soccorso sul territorio.
emergency.it
Regione: Faizabad
Nella zona operano:
Croce rossa internazionale
Due espatriati e personale locale mandano avanti il centro ortopedico di Faizabad e quello della vicina Gulbahar. In totale ha mille afghani impegnati in operazioni di solidarietà in tutto il paese. In seguito agli attentati dell?11 settembre, la maggior parte del personale espatriato si è trasferito in Pakistan: a Islamabad è stato fissato il quartier generale in cui operano 27 persone, mentre Peshawar serve come base logistica. Sta cercando di riportare il personale espatriato nel paese e intanto ha inviato squadre di soccorso in Iran e Turkmenistan. cicr.org
Medici senza frontiere
5 espatriati di varie nazionalità mandano avanti i progetti di assistenza sanitaria. Qui l?organizzazione fa arrivare i camion di aiuti dall?estero. msf.org
Regione: Herat
300mila profughi interni
700mila persone a rischio
Nella zona operano:
Christian aid
Nel suo ufficio di Herat è rimasto solo personale locale impegnato in progetti di prima assistenza ai profughi. L?11 settembre, 60 espatriati si sono spostati in Pakistan e squadre di volontari attendono in Iran, Turkmenistan e Tajikistan milioni di afghani in fuga dalla guerra. A giugno di quest?anno ha organizzato a Kabul un incontro fra la società civile internazionale e quella afghana.
christianaid.org.uk
Tear fund
Staff locale sta mandando avanti la costruzione di 4.200 ripari di fango per i profughi in fuga dalle città che, con l?approssimarsi dell?inverno, rischiano di morire di freddo. Il personale straniero di questa charity inglese è stato costretto a lasciare il paese. Oltre ai rifugi, prima dell?11 settembre si occupava di programmi di scolarizzazione per i bambini.
tearfund.org
Medicins du monde
Volontari afghani mandano avanti il suo dispensario di Herat da cui dipende la salute di 12mila profughi ammassati nel vicino campo di Maslakh. In Afghanistan fin dal 1982, prima dell?11 settembre lavorava soprattutto nella zona occidentale del paese con programmi di sostegno alle donne e bambini. Dopo gli attentati sull?America, tutto il suo personale straniero ha lasciato il paese. medecinsdumonde.org
Coopi
In Afghanistan dall?inizio dell?anno, opera grazie a personale locale e ha spostato i suoi espatriati in Pakistan dove sta allestendo campi per i profughi. coopi.it
Regione: Kandahar
200mila profughi interni
50mila persone a rischio
Nella zona operano:
Waafa, Al-Rasheed trust
Nel quartier generale dei Talebani, dove probabilmente si nasconde il Mullah Omar, operano le ong locali cui Bush ha tagliato i fondi perché sospettate di sostenere il terrorismo fondamentalista islamico.
Regione: Kabul
100mila profughi interni
900mila persone a rischio
Nella zona operano:
Croce rossa internazionale
Il 29 settembre, un camion dell?organizzazione carico di medicine ha raggiunto Kabul. Contiene anche kit igienico sanitari per curare fino a 500 feriti di guerra. Nell?area controllata dai Talebani, continua il supporto agli ospedali e a quattro centri ortopedici. Mantiene un contatto radio giornaliero col personale locale a Kabul.
Caritas internazionale
Personale locale manda avanti i soccorsi per cui ha stanziato 167 mila dollari. Gli espatriati attendono i profughi nei Paesi confinanti. catholicrelief.org
Nei Paesi confinati e a rischio profughi ecco la situazione
Arrivi nella provincia pakistana del Baluchistan
L’UNHCR è in attesa dell’autorizzazione governativa per poter poratre assistenza alle oltre 3.500 persone entrate il giorno 19 ottobre in Pakistan dalla regione afghana di Kandahar, attraverso la frontiera di Chaman.
Gli osservatori hanno descritto la situazione alla frontiera di Chaman come caotica. Fuggendo in situazione di panico, i rifugiati sono arrivati senza cibo e senza i loro averi. Nella confusione, alcune famiglie si sono divise. Molte oggi pomeriggio erano ancora in attesa dal lato pakistano della frontiera, sperando di poter ricongiungersi agli altri membri della famiglia fuggiti con loro. I nuovi arrivati riferiscono di fuggire dagli intensi bombardamenti della scorsa notte e di questa mattina su Kandahar.
L’UNHCR ha richiesto alle autorità di poter fornire acqua e cibo ai nuovi arrivati a Chaman. Gli arrivi del 19 ottobre fanno seguito all’arrivo, negli ultimi sei giorni, di circa 10mila afghani nella provincia del Balochistan. Di questi, 2.700 erano arrivati a Chaman tra mercoledì e giovedì. Molti degli afghani arrivati recentemente in Pakistan hanno pagato i trafficanti per farsi trasportare dalla regione di Kandahar fino alla frontiera e oltre il confine con il Pakistan. Altri provvedono con mezzi propri.
Coloro che sono arrivati nel Balochistan negli ultimi giorni sono stati trovati in condizioni di salute e nutrizionali peggiori rispetto a quelli arrivati nelle settimane precedenti. Tra i nuovi arrivati ci sono molte famiglie di donne, bambini e anziani. Questi hanno riferito agli operatori dell’UNHCR che gli uomini lasciano andare le loro mogli e i loro i figli in Pakistan, mentre loro restano a Kandahar per proteggere la casa da saccheggi. Per pagare il viaggio – che costerebbe fino a 2.000 rupie, circa 30 dollari – sono costretti a vendere la maggior parte dei loro averi.
Registrazione dei nuovi arrivi nella Provincia della Frontiera del Nord-Ovest (NWFP)
L’UNHCR a Peshawar ha dispiegato 9 team per identificare i nuovi arrivati e per valutare le loro necessità. La media degli arrivi nella NWFP si attestava in precedenza su circa 1.000 arrivi al giorno.
I team hanno identificato 260 famiglie afghane arrivate di recente nel disastroso accampamento di Jalozai, presso Peshawar. Le famiglie – circa 2.300 persone – si sono sistemate in un angolo di questo sito, dove vivono in condizioni miserabili. alcuni di loro hanno dei parenti a Jalozai, ma questi dispongono di risorse già scarse per se stessi. Molte delle famiglie arrivate di recente sono guidate da donne, i cui mariti sono rimasti in Afghanistan o sono morti.
I nuovi arrivati nella NWFP riferiscono di aver dovuto pagare 3.000 rupie – circa 50 dollari – per arrivare in Pakistan. Essi hanno viaggiato con dei veicoli da Kabul a Jalalabad per poi intraprendere, con i trafficanti, un cammino di 15 ore attraverso le montagne. Alcuni riferiscono di aver deciso di fuggire poiché i bombardamenti ora vengono sferrati durante il giorno, oltre che di notte e sarebbe per loro impossibile lavorare o cercare di procurarsi il cibo. Altri dicono di essere fuggiti nel timore di essere reclutati forzatamente o che Kabul possa cadere sotto il controllo dell’Alleanza del Nord.
Prosegue la valutazione dei siti in Iran
In Iran, vi sono significativi segnali che l’Associazione Iraniana della Mezzaluna Rossa non potrà operare nei campi delle zone dell’Afghanistan controllate dai Talebani. Da quando l’Iran ha chiuso i 900 km di frontiera con l’Afghanistan, le autorità iraniane hanno seguito la politica di cercare di assistere gli afghani all’interno del loro paese. Come risultato degli ultimi sviluppi, la situazione si sta ora orientando verso i nove siti individuati nella cosiddetta “terra di nessuno”. Di questi, 6 si trovano nella provincia iraniana di Khorassan e 3 in quella di Sistan Baluchistan.
Una missione congiunta compiuta da operatori dell’UNHCR e del THW (Technische HilfsWerke) per valutare la disponibilità di acqua nei siti si è conclusa mercoledì. I primi rilevamenti indicano che i siti si trovano in aree remote e deserte dove l’acqua dovrebbe essere trasportata con delle cisterne da pozzi distanti. In caso di un massiccio arrivo di rifugiati la logistica potrebbe diventare estremamente complessa. In generale, a causa dell’insufficiente fornitura d’acqua, queste località possono essere considerate solo come un’opzione immediata per un numero limitato di persone e per un breve periodo.
L’ong Cesvi in Tajikistan
Il Cesvi è sceso in campo per dare una mano ai profughi afghani. Due volontari italiani dell’ong di Bergamo e personale locale che si trovavano in Tajikistan già prima degli attentati dell’11 settembre in queste ore si stanno preparando ad accogliere le decine di migliaia di civili afghani che cercano rifugio nei Paesi a nord dell’ Afghanistan. In Uzbekistan e Tajilistan, il Cesvi offrirà un servizio di prima assistenza agli sfollati distribuendo materiale igenico sanitario sotto il coordinamento delle Nazioni Unite.
Le operazioni umanitarie sono sostenute dall’Unione europea, ma chiunque voglia dare il suo contributo all’ong di Bergamo può chiamare il numero verde 800036036 per le donazioni. Per l’acquisto di un kit igienico sanitario bastano 30 mila lire, per un rifugio temporaneo, invece, ce ne vogliono 180.
www.cesvi.org
La Caritas Italiana in Pakistan
Profughi, vecchi e nuovi, sfollati, persone più vulnerabili. Bisogni crescenti mentre l’Afghanistan continua ad essere teatro di violenza. La Caritas sta moltiplicando gli sforzi per fornire cibo, acqua, medicinali e cure sanitarie, ma anche tende, stufe, vestiti pesanti in vista del rigidissimo inverno. Oltre ad un lavoro costante di sostegno psicologico.
Dalle due basi di Peshawar e Quetta Caritas Pakistan, con il sostegno di tutta la rete internazionale, ha subito avviato la prima fase di emergenza: aiuti nei prossimi sei mesi a circa 140.000 persone. Intanto la Caritas Italiana, già impegnata nell’organizzazione di una missione in Iran, per la prossima settimana invierà una missione in Pakistan, per esprimere vicinanza e solidarietà alla Chiesa e alla
popolazione locale. Coordinandosi con il team internazionale già presente sul territorio, metterà a punto interventi specifici d’intesa con Caritas Pakistan.
Per sostenere gli interventi in atto (causale “Profughi e vittime nuova
guerra”) si possono inviare offerte alla Caritas Italiana tramite:
– conto corrente postale n. 347013
– c/c bancario n.11113 ABI 5018 – CAB 12100 –
Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzaté 2, PADOVA
– c/c bancario n.100807/07 ABI 03069 – CAB 05032 –
Intesa Bci – p.le Gregorio VII, ROMA
– Cartasì (Visa, Mastercard) telefonando allo 06541921 in orario d’ufficio
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