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Più Pil e più giovani. Per fortuna ci sono i migranti

Gli stranieri garantiscono 3miliardi di saldo attivo ai conti pubblici. Tutti i numeri dell'impatto positivo dell'immigrazione sul nostro Paese sul numero del magazine in edicola da venerdì

di Gian Carlo Blangiardo

Il fenomeno migratorio verso l’Italia ha conosciuto negli ultimi anni fasi diverse. La prima fase è stata quella del grande “assalto”, caratterizzato dall’arrivo di migranti singoli alla ricerca di un lavoro e di una possibilità di reddito, alla quale ne è seguita un’altra in cui i lavoratori si sono preoccupati di ricongiungersi alle loro famiglie, poi è arrivata la crisi che da un lato ha smorzato l’effetto-richiamo e dall’altra ha provocato uno spostamento dei lavoratori entrati in Italia verso altri Paesi europei o addirittura la decisione, da parte di alcuni, di rimandare in patria la famiglia e restare qui da soli a lavorare sperando in un fu- turo migliore. Ed è la fase 3, quella attuale. Se proviamo a riflettere su quello che accadrà da oggi in poi, la valutazione del fenomeno migratorio e del suo impatto sul nostro sistema economico, demografico, sociale e culturale presenta diverse dimensioni di analisi e lettura.


1. Una ricchezza demografica double face
La prima dimensione è quella demografica. Ebbene, l’impatto che la migrazione ha avuto sul nostro Paese da questo punto di vista è stato assolutamente positivo. La popolazione migrante arrivata in Italia è mediamente giovane, le famiglie hanno bambini piccoli, e nel complesso produce un saldo tra nati e morti di oltre 75mila unità in più l’anno, potendo contare su circa 80mila nati a fronte di circa 3mila morti. Se consideriamo che gli italiani – i numeri sono riferiti al 2015 – producono un saldo negativo di 165mila morti, la presenza immigrata diventa provvidenziale.

Certo se da un lato dunque esiste un indubbio effetto ringiovanimento della popolazione, tra 20 o 30 anni assisteremo a un “invecchiamento importato” che porterà ad avere ogni anno un numero significativo di signori e signore non nati in Italia che raggiungeranno i 65 anni di età e provocheranno inevitabilmente uno scossone al sistema previdenziale. Si tratterà infatti di persone che hanno diritto a ricevere la pensione, essendo invecchiati qui, ma molto probabilmente non avranno versato molti contributi, per varie ragioni: o perché hanno iniziato a lavorare tardi, o perché hanno vis- suto per molto tempo nell’ambito dell’economia sommersa. E non si tratterà di 5-6000 persone, ma anche di 200mila nuovi pensionati ogni anno. In conclusione, se i flussi migratori non possono che far bene dal punto di vista demografico nel breve e medio periodo, non risolvono certo il problema dell’invecchiamento nel lungo periodo, ma anzi lo aggravano. Non tutto è compromesso, chiaramente: abbiamo ancora davanti a noi un certo numero di anni in cui mette- re a fuoco il problema e intervenire. Non farlo però sarebbe miope e metterebbe a rischio un sistema già infragilito.

2. Un nuovo miracolo economico?
Esiste poi un aspetto economico mol- to importante. Ci sono diverse realtà che si sono esercitate nei calcoli, e i numeri del contributo economico apportato da- gli immigrati al nostro sistema sono ormai consolidati. In base a questi conteggi macro, parliamo di circa 16 miliardi di “versamenti” effettuati attraverso il pagamento delle imposte, i consumi, i con- tributi previdenziali, a fronte di circa 13 miliardi di costi per lo Stato in termini di welfare, scuola, assistenza sociale e con- tributi abitativi. La popolazione immigrata è giovane e attiva, e generalmente ha una gran voglia di realizzare il proprio progetto di vita quindi si dà da fare, lavora parecchie ore (si pensi solo alle badanti) e con un’altissima produttività. È un po’ quello che succedeva anche agli emigrati italiani all’estero, che facevano magari due o tre lavori senza risparmiarsi, e che quindi non a caso hanno determinato., 40 o 50 anni fa, il cosiddetto miracolo economico….

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