Economia
Più non profit, più ricchezza
Uno studio USA conferma che dove le associazioni sono più forti anche l'economia regionale marcia meglio. Ma i due fattori sono dipendenti: l'impatto del non profit cala nelle zone più disagiate
Il terzo settore è spesso considerato come un fattore postivo per quanto riguarda l'impatto che ha sulla qualità e quantità di servizi offerti in un territorio. Più organizzazioni ci sono, meglio si sta dal punto di vista sociale. Ma qual è l'impatto economico di un non profit attivo e presente in un determinato territorio? Le associazioni rappresentano un fattore di sviluppo e ricchezza anche economica a livello locale, o no?
Questa interessante domanda è alla base di un articolo uscito sul Washington Post, in cui si analizza il caso di Montgomery County, nel Maryland, una zona particolarmente ricca di organizzazioni senza fine di lucro: qui è stato realizzato uno studio (commissionato dalle autorità locali e realizzato dal centro Montgomery Nonprofit) che dimostra come il terzo settore sia riuscito ad aumentare i posti di lavoro e a sviluppare l'economia dell'intera regione, tanto che le autorità locali stanno mettendo a punto una strategia per attirare altri attori senza fine di lucro. Tuttavia c'è un ma: pur vivace e innovativa, la componente non profit ha bisogno di un sostrato economico già in buona salute per poter esprimere il proprio potenziale. Altrimenti può fare poco.
Per Daniel J. Mitchell, economista del Cato Institute, "la forza del terzo settore è direttamente proporzionale alla forza del settore profit. Senza un privato che funziona, il privato sociale non decolla". Nella contea presa in esame il 10% il terzo settore impiega il 10% della forza lavoro, e i lavoratori del settore hanno percepito 2,2 miliardi di dollari in salari nel 2012. La maggior parte di loro è residente sul territorio, quindi spende il proprio denaro negli esercizi commerciali locali.
La stessa presenza di molte associazioni, poi, garantisce un certo livello di consumo di beni primari, esattamente come accade per le imprese profit. Inoltre le realtà sociali tendono a organizzare di frequente eventi e appuntamenti, e quindi ad attirare visitatori. Secondo la ricerca, le associazioni della contea hanno un potere d'acquisto pari a 4 miliardi di dollari, quindi assomigliano molto a qualsiasi altra realtà imprenditoriale, con la differenza che il terzo settore ha retto molto meglio alla crisi: se infatti nel 2007 (prima della recessione) le non profit della contea erano 39.769, nel 2011 erano salite a 43.371, anche se il numero dei dipendenti è calato da circa 459mila a quasi 448mila.
Ma il positivo impatto del terzo settore sull'economia non finisce qui: ci sono alcune associazioni per esempio che per statuto svolgono una attività utile allo sviluppo economico. L'esempio portato dalla ricerca riguarda la Montgomery Coalition for Adult English Literacy, un'associazione che fornisce servizi di alfabetizzazione per stranieri, i cui corsi sono frequentati da 20mila persone l'anno. Alla fine del percorso il cittadino immigrato conosce meglio la lingua, riesce a sostenere un colloquio di lavoro e ha redatto un curriculum, quindi ha aumentato esponenzialmente le proprie chance di trovare un lavoro e contribuire così alla crescita della contea.
Altre associazioni, come quelle che si occupano di arte e cultura, riescono a stimolare i consumi organizzando mostre ed eventi culturali a pagamento che attirano visitatori e alimentano il settore ricettivo e della ristorazione. E' stato calcolato che nel 2010 questo tipo di eventi ha portato oltre 74 milioni di dollari nella contea. "Visti questi dati positivi, fanno bene le autorità locali a sostenere il settore non profit", conclude Daniel J. Mitchell, "tuttavia gli stessi incentivi potrebbero non sortire alcun effetto in territori più poveri e con problemi di disoccupazione o disagio sociale".
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