Cultura & Comunità
Più musei uguale più benessere: Bologna scommette sul welfare culturale
Invitare al museo le persone con Alzheimer, per farle lavorare sulla memoria. Coinvolgere bambini e ragazzi nella progettazione delle mostre. Se la cultura ancora troppo spesso rischia di essere esclusiva o discriminante, Bologna punta sulla comunità e sul welfare culturale, con un nuovo Piano integrato dei musei civici. Una scelta che cambierà anche il fundraising. Intervista a Pier Luigi Sacco
Si chiama Piano integrato del settore musei civici ed è un progetto scientifico-culturale di cui il comune di Bologna si è dotato per il quinquennio 2025-2029. Uno strumento che mira a rafforzare il ruolo dei musei come dinamici centri culturali radicati nella comunità e aperti a una partecipazione attiva più ampia. L’obiettivo è quello di creare una nuova forma di collaborazione generativa delle istituzioni culturali finalizzata a creare impatto sul benessere sociale.
Al centro del Piano, presentato il 3 febbraio, vi è la creazione di un sistema museale integrato che abbraccia la città di Bologna e la sua area metropolitana. Il progetto prevede il consolidamento delle relazioni tra istituzioni culturali, enti locali, Terzo settore, aziende e cittadini, favorendo una governance condivisa e collaborativa. Questa rete offrirà nuove opportunità di progettazione culturale, sostenendo la co-creazione e il dialogo tra i diversi attori del territorio.
«Il Piano strategico integrato del settore musei civici di Bologna riveste oggi un ruolo cruciale per le nostre reti museali», spiega Pier Luigi Sacco, professore di Economia biocomportamentale all’Università di Chieti-Pescara, socio fondatore del Cultural welfare center-Ccw e consulente a livello internazionale nei campi dello sviluppo a base culturale. È lui che ha curato la realizzazione del Piano insieme a Eva Degl’Innocenti, direttrice del Settore musei civici Bologna.
«La possibilità di centralizzare la strategia in ambito di iniziative, comunicazione, organizzazione e raccolta fondi apporta numerosi benefici», prosegue Sacco: «in questo modo i musei non sono più visti come una serie di entità separate, ma come parte integrante di un sistema più ampio. Di conseguenza, per i visitatori risulta più facile orientarsi e comprendere la “geografia” delle istituzioni culturali della città».
Professore Sacco qual è il primo beneficio che si ottiene rafforzando il ruolo dei musei come centri culturali radicati nella comunità?
Oggi i musei, che siano finanziati da risorse pubbliche come in Europa o sostenuti da contributi privati come nei modelli anglo-americani, sono sotto pressione, poiché diventa sempre più difficile garantire flussi di risorse adeguati a sostenere la loro missione culturale. Per questo motivo è fondamentale che non vengano più considerati semplicemente come istituzioni che offrono esperienze visive, ma che diventino sempre più parte integrante del tessuto sociale delle comunità in cui operano. È anche importante comprendere che stanno cambiando le aspettative sociali nei confronti dei musei: oggi le persone hanno a disposizione una vasta gamma di esperienze, ma prediligono quelle che offrono un coinvolgimento personale e la possibilità di espressione individuale. Questo scenario apre la strada a una ridefinizione e a un ampliamento della missione dei musei.
Oggi stanno cambiando le aspettative sociali nei confronti dei musei: le persone prediligono le esperienze che offrono un coinvolgimento personale e la possibilità di espressione individuale
È nell’ambito di questa ridefinizione degli spazi museali che si inserisce il concetto di welfare culturale?
Sì. I musei sono un’invenzione relativamente moderna, nata nel contesto delle grandi rivoluzioni borghesi e inizialmente rivolti principalmente a un’élite. Oggi, in una società in cui la cultura è sempre più fluida e accessibile grazie alla tecnologia, i musei sono chiamati a ripensarsi secondo questo nuovo scenario, cogliendo il cambiamento come una grande opportunità. Accanto alla tradizionale funzione di luogo in cui si accede a mostre e collezioni, i musei devono evolversi offrendo attività che stimolino la connessione tra persone con interessi culturali comuni. È in questo contesto che il concetto di welfare culturale diventa fondamentale. Gli spazi museali possono trasformarsi in luoghi in cui le persone vivono esperienze che incidono direttamente sulla loro salute mentale e fisica, o su questioni relative alle differenze interculturali. Alcune esperienze in ambito museale acquisiscono un valore particolare proprio perché si svolgono in uno spazio che cambia il nostro modo di percepirle e viverle.
Può farci un esempio di come lo spazio museale può integrare la sua funzione di luogo dell’arte con i bisogni della comunità?
Un esempio concreto di questa trasformazione sono i progetti di danza per persone con declino cognitivo, demenza o Alzheimer, che sempre più frequentemente occupano gli spazi museali, apportando benefici fisici ai partecipanti. Lo spazio culturale, quindi, rappresenta una riconnessione tra la capacità della cultura di dare benessere all’essere umano e la possibilità di essere accessibile anche alle persone più fragili ed emarginate. Purtroppo, troppo spesso la cultura rischia di diventare esclusiva o discriminante. Il modello di museo “intimidatorio” dove si entra solo per fruire visivamente delle opere d’arte, risulta respingente per chi si trova in situazioni di fragilità, marginalità o povertà educativa. Il welfare culturale cerca di superare tutto questo.
Gli spazi museali possono trasformarsi in luoghi in cui le persone vivono esperienze che incidono direttamente sulla loro salute mentale e fisica o su questioni relative alle differenze interculturali
La partecipazione attiva della cittadinanza è il cuore pulsante del Piano strategico di Bologna. Come i Musei civici attraverso il welfare culturale si propongono di diventare spazi aperti al confronto e alla creatività, capaci di rispondere ai bisogni della comunità?
Le pratiche di welfare culturale sono già diffuse in Italia, ma ciò che rende interessante il caso di Bologna è che qui saranno integrate all’interno di un intero sistema museale. Inoltre, Bologna offre un’opportunità unica di dialogo costruttivo e collaborativo con figure accademiche, scientifiche e realtà del Terzo settore che potranno mettere a disposizione le loro competenze per creare un ambiente favorevole per sviluppare il welfare culturale all’interno della rete dei musei civici. I progetti si articoleranno su protocolli alcuni dei quali sono già avviati, come ad esempio il progetto ‘Pre-testi’, che propone all’interno dello spazio museale attività collettive di creazione partendo da un testo qualunque. Questo approccio consente di creare un clima non competitivo e non giudicante, dove le persone sono invitate a esprimersi liberamente, ascoltando gli altri, ammirando la loro creatività e percependola come fonte di ispirazione. I risultati già ottenuti lì dove l’attività è stata proposta hanno dimostrato che può migliorare lo stato di salute di persone in condizioni di depressione o marginalità sociale, senza l’uso di farmaci.
Dunque gli spazi del museo diventeranno anche ambienti in cui i visitatori potranno fare altro rispetto alla semplice fruizione di opere d’arte?
Certamente. Ma attenzione, è importante sottolineare che questi progetti non fanno del museo uno spazio passivo, ma al contrario cercano di stimolare un’interazione attiva con le collezioni. L’obiettivo è accompagnare i visitatori a riscoprire i musei come luoghi di esperienza ricchi di valore, al di là della visita guidata tradizionale, che spesso risulta essere un’attività passiva in cui l’eccesso di informazioni può risultare difficile da contestualizzare. Con questo nuovo approccio, siamo convinti che riusciremo a coinvolgere un pubblico sempre più motivato e desideroso di vivere il museo in modo più attivo e personale.
Il Piano prevede una ricca gamma di iniziative progettuali che spaziano dall’educazione alle arti e alla creatività, alla promozione della sostenibilità e dell’inclusione. Ricordiamo i progetti: “Mo che bella!” e “Bologna Quest Playbook” che mirano a coniugare patrimonio culturale e nuove tecnologie o il progetto “Musica, Maternità e Salute” per il benessere delle neo-mamme. Ci può fare qualche altro esempio?
Tra le attività che stiamo sviluppando all’interno dei musei c’è quella delle cosiddette “Scatole della memoria”, un progetto pensato per le persone con Alzheimer e le loro famiglie. Questa iniziativa si basa sulla terapia delle reminiscenze, sfruttando il fatto che, sebbene la patologia danneggi la memoria a breve termine, quella a lungo termine resta intatta. Le scatole della memoria, che contengono oggetti legati al passato delle persone, permettono di riconnettersi con le memorie giovanili e di riscoprire il senso del sé. Un altro progetto importante che intendiamo sperimentare nei musei della rete bolognese è il “Board Museale Giovani”, che prevede la creazione di un gruppo di lavoro formato da bambini, ragazzi e giovani universitari, i quali diventeranno i portavoce di nuove idee, attività e progetti curatoriali. Oggi, infatti, si sta diffondendo sempre più nel mondo museale l’attenzione al coinvolgimento dei giovani anche nella progettazione delle mostre. Tutto ciò contribuisce a sensibilizzare le persone sul fatto che il museo non è solo uno spazio di fruizione passiva, ma un luogo ricco di possibilità, dove ciascuno può esprimersi e diventare protagonista.
Nascerà il “Board Museale Giovani”: un gruppo di lavoro formato da bambini, ragazzi e giovani universitari. Si sta diffondendo l’attenzione al coinvolgimento dei giovani anche nella progettazione delle mostre
Questi esempi rappresentano alcune declinazioni di un concetto centrale: un welfare culturale che fa del museo uno spazio di opportunità, dove le persone costruiscono, insieme agli altri, competenze attraverso esperienze stimolanti, di cui sono attori e non semplici spettatori. La ricchezza del sistema museale bolognese, che include musei molto diversi tra loro – dalla musica al patrimonio industriale, fino a quello archeologico – ci offre una vasta gamma di opportunità su cui lavorare, coprendo una molteplicità di aspetti e ambiti culturali.
La valutazione degli impatti è un elemento chiave del Piano, che intende misurare anche i benefici sociali generati dalle iniziative museali. Quali obiettivi si pone questo nuovo tipo di valutazione?
È importante sottolineare che esistono molteplici metodologie a disposizione per misurare la valutazione d’impatto. Nel contesto museale, però, l’impatto viene spesso visto come un “male necessario”, con l’idea che vada fatto solo per dimostrare il raggiungimento di obiettivi. Questo, a mio avviso, non è l’approccio corretto, soprattutto perché le valutazioni d’impatto sono fondamentali per i musei, poiché offrono informazioni cruciali su come i visitatori vivono e interagiscono con gli spazi museali. Tuttavia, è importante chiarire che la valutazione d’impatto non può ridursi a un semplice questionario di gradimento. Non dobbiamo confondere l’impatto con il gradimento. Misurare l’impatto significa, ad esempio, osservare il tipo di coinvolgimento che i visitatori hanno avuto nello spazio, quanto tempo si fermano davanti alle opere in mostra o se hanno avuto benefici in termini di memorizzazione. Ma i tipi di impatto più significativi – e quelli che a Bologna si cercherà di misurare – sono quelli che ci aiutano a capire se la visita museale ha effetti più profondi sul benessere delle persone. Ad esempio: dopo una visita al museo, mi sento più stimolato dal punto di vista cognitivo o emozionale? Mi sento più capace di comprendere persone diverse da me? Oppure, mi sento meno oppresso dai miei problemi quotidiani? Queste domande, sebbene possano sembrare scollegate dall’esperienza museale, sono invece strettamente legate al valore che la cultura può avere sulla singola persona, se vissuta pienamente nelle sue potenzialità.
Concretamente come pensate di misurare la relazione tra cultura e salute?
Le valutazioni dell’impatto possono essere effettuate utilizzando questionari mirati, costruiti con tecniche psicometriche. Poi attraverso indicatori di impatto – per esempio, sul grado di inclusione sociale o sulla partecipazione civica – è possibile valutare i risultati e apportare eventuali correttivi. Cicli regolari di raccolta di feedback, tramite questionari o incontri pubblici, aiutano a mantenere il processo trasparente e dinamico Tuttavia, quando si affrontano temi delicati come la salute mentale o il benessere fisico dei visitatori, è possibile misurare l’impatto in maniera più profonda raccogliendo, per esempio, campioni biologici in modo anonimo, con il consenso dei partecipanti e l’autorizzazione dei comitati etici competenti. Raccogliendo la saliva prima e dopo la visita, possiamo analizzare cambiamenti nei livelli di stress o di attenzione. Se i visitatori sono disposti a ripetere questo tipo di misurazione nel tempo, possiamo osservare gli effetti a lungo termine di queste esperienze e come esse possano influire positivamente sul loro benessere. L’obiettivo è quello di dare alle persone la motivazione per tornare al museo perché percepiscono che l’esperienza è stata positiva per il loro benessere».
A Bologna si cercherà di misurare se la visita museale ha avuto effetti sul benessere delle persone. Dopo una visita al museo, mi sento più stimolato dal punto di vista cognitivo o emozionale? Più capace di comprendere persone diverse da me? Meno oppresso dai miei problemi quotidiani?
Tutto questo produce degli effetti anche sulle campagne di raccolte fondi rivolte alle persone fisiche, alle aziende e alle fondazioni filantropiche?
Certamente. Quando saremo in grado non solo di raccontare alla comunità che il museo produce impatto, ma anche di spiegare con precisione quale effetto ha sulle persone, trasformando il museo in una risorsa sociale il cui valore è compreso e condiviso, anche da coloro che inizialmente non avrebbero mai considerato di fare una visita al museo, ma che si avvicinano per i benefici che ne derivano, allora potremo affrontare il tema della raccolta fondi in maniera completamente nuova. Potremo lanciare campagne di raccolta che non si limitano a chiedere donazioni per finanziare una nuova mostra, ma che invitano le persone a contribuire affinché il museo diventi un luogo sempre più capace di migliorare il benessere delle persone. Naturalmente, questo tipo di raccolta fondi si affianca alle tradizionali iniziative come l’Art Bonus, su cui da tempo il sistema culturale fa affidamento.
In foto, Collezioni Comunali d’Arte di Bologna (Roberto Serra / Iguana)
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