Formazione

Più morti in corsia che sulle strade

Nel nostro Paese i casi sono 450-700 mila e causano dai 4.500 ai 7.500 decessi. I dati presentati oggi al 9°Congresso annuale della Simit

di Redazione

 

Si chiamano infezioni associate alle patologie assistenziali (Ipa) e colpiscono il 5-8% di tutti i pazienti ricoverati nelle strutture ospedaliere italiane. Nel nostro Paese i casi sono 450-700 mila e causano dai 4.500 ai 7.500 decessi. Circa 3 milioni e 750 mila sono le giornate di degenza registrate per queste complicanze infettive. Sono i dati presentati questa mattina all’avvio del 9°Congresso annuale della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), che si è aperto oggi a Roma. «Le infezioni ospedaliere sono una vera epidemia nel nostro Paese – spiega Giuseppe Ippolito direttore scientifico dell’Istituto nazionale di malattie infettive ‘Lazzaro Spallanzanì di Roma – Il loro numero è sempre costante al Sud come al Nord, e causano più morti degli incidenti stradali».

L’allarme lanciato dagli esperti riguarda soprattutto reparti come terapia intensiva e chirurgia. «Questo tipo di infezioni non sono azzerabili – avverte Ippolito, coordinatore scientifico del congresso Simit – ma andrebbero corretti dei comportamenti a rischio. Ad esempio eliminare i cateteri, l’uso massiccio di antibiotici, la monosomministrazione, la depilazione pre-operatoria e soprattutto la carenza di igiene». Della stessa opinione anche Evangelista Sagnelli, presidente della Simit: «Le conseguenze delle infezioni Ipa sono le polmoniti nosocomiali e le patologie multirestistenti. Questo perchè molti dei germi che si acquisiscono in ospedale hanno una grande resistenza e diventano pericolosi. A rischio quindi gli anziani in degenza nei reparti di rianimazione. Spazi dove sono necessarie procedure di decontaminazione per eliminare ogni tipo di pericolo». A finire sul banco degli imputati sono i medici e le vetuste strutture di degenza sparse sul territorio nazionale. «I medici si lavano le mani solo nel 20% dei casi in cui dovrebbero – spiega Ippolito – e questo è un veicolo importante per i batteri. Poi servirebbe del personale specializzato in grado di gestire e coordinare all’interno dell’ospedale il problema di queste infezioni. Un infermiere ogni 250-300 pazienti e un medico “ad hoc“ ogni 400 pazienti».


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