Economia

Più investimenti sociali per garantire il welfare

Domani a Roma la giornata dal titolo “Impact Investment and Government: Moving from Small Scale to Large Scale” (riservata agli advisory borard) , promossa dalla Task force sul Social impact investement insediata dal G7. Qui un articolo della coordinatrice Giovanna Melandri

di Giovanna Melandri

La grande forza dell’impact investment, di cui si è occupata la Task Force in questo 2014, sta qui: nella sua capacità di sostenere contemporaneamente processi di sviluppo, di innovazione e di inclusione sociale. Questo messaggio generale risulta chiarissimo nel Rapporto finale della Task Force che è stato consegnato simultaneamente ai capi di governo di USA, Francia, UK, Giappone, Germania, Canada e in Italia al Governo di Matteo Renzi. “L’impact investing” ha l’obiettivo di generare, attraverso investimenti in iniziative di imprenditorialità sociale finalizzate alla risoluzione di un problema sociale o ambientale, risultati positivi, che altrimenti non avrebbero luogo. L’intenzionalità di produrre impatto sociale è, dunque, l’elemento che caratterizza l’investitore sociale, che si attende un rendimento al di sotto o in linea con il mercato. In quest’ottica, il lavoro dell’Advisory Board italiano, che ho avuto l’onore di presiedere, è stato estremamente importante e capace, io credo, di offrire un contributo costruttivo e assai originale all’esercizio internazionale, avviato nel giugno 2013, dalla Task Force promossa in ambito G8.

Per almeno due ragioni. In primo luogo per il metodo utilizzato. Tutti i potenziali protagonisti della rivoluzione “impact” in Italia, molto diversi tra loro per storia e attività, hanno condiviso una possibile piattaforma d’azione per definire il perimetro del nostro ecosistema di finanza d’impatto. Questo rapporto è il frutto di 6 mesi di confronto e approfondimento tra tutti i possibili stakeholder degli investimenti social impact nel nostro Paese.

E così, ecco il secondo motivo di soddisfazione: cooperative sociali e fondazioni bancarie, imprese sociali e investitori privati, non profit e intermediari finanziari, investitori istituzionali, istituti di credito e fondazioni filantropiche d’impresa hanno tutti ugualmente condiviso una premessa fondamentale estremamente utile per sgombrare il campo da possibili equivoci o fraintendimenti: gli investimenti ad impatto sociale sono un prezioso strumento – un mezzo – per promuovere e sostenere il benessere delle comunità attraverso la crescita dell’imprenditorialità sociale – il fine. Uno strumento, dunque, per rendere più efficace ed efficiente la spesa pubblica e un welfare che si vuole difendere; un canale per veicolare risorse aggiuntive ed approcci innovativi verso i settori più fragili del nostro stato sociale. Un mezzo per rispondere a quei nuovi bisogni complementari che caratterizzano la debolezza strutturale del welfare contemporaneo: quasi ipertrofico nel settore previdenziale, molto gracile, invece, nelle politiche di inclusione e di prevenzione. Insomma, per difendere lo Stato sociale quale conquista civile, di fronte alle sfide severe e strutturali che la crisi ci impone, occorre radicalmente innovarlo, senza aggrapparsi ad una posizione meramente conservativa che rischia, paradossalmente, di favorirne le dinamiche destrutturanti. Per uscire dalle rigidità di un modello in affanno, rispondendo efficacemente alla pluralità di bisogni sociali, anche nuovi, che attraversano le società contemporanee, occorre dunque spalancare la stagione dell’innovazione e dell’imprenditorialità sociale e della finanza d’impatto. La speranza e l’auspicio della Task Force è che, nei prossimi anni, gli investimenti ad impatto sociale possano crescere fino a raggiungere, nel mondo, il primo triliardo di dollari. Un grande flusso di capitali alla ricerca di opportunità di investimento collegate a impatti sociali misurabili e positivi.

Sul lato dell’offerta dunque la sfida è davvero ambiziosa: innestare nel mercato finanziario la “terza dimensione”. Ma il vero grimaldello della rivoluzione impact si trova sul lato della domanda. Al centro di essa vi sono quegli imprenditori “lucidamente irragionevoli”, che lavorano, con passione e dedizione, per generare impatto sociale positivo.

Uomini e donne che hanno compreso, prendendo a prestito le meravigliose pagine del Barone Rampante di Calvino che “le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia

che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone”.

Le imprese sociali, in un’accezione certo più ampia rispetto agli attuali confini giuridici, rappresentano un settore vitale, dinamico, che tiene insieme esperienze diverse, per storie e culture di provenienza, ma che hanno una ragione in comune: migliorare la vita delle comunità. Certo, per cogliere l’occasione offerta dagli investimenti ad impatto, lo statuto giuridico dell’impresa sociale deve cambiare. In Italia, l’impianto normativo attuale che ne regola l’attività rende pressochè impossibile far incontrare investitori ed imprese. A riguardo, dobbiamo evidenziare con grande soddisfazione

la sintonia tra le raccomandazioni che abbiamo raccolto nel presente rapporto e l’impianto della Legge delega di riforma del terzo settore approvata recentemente dal Governo, nella parte dedicata, appunto, all’impresa sociale. Ci auguriamo davvero, che l’iter della delega possa viaggiar speditamente, così da avere nei prossimi mesi il nuovo quadro normativo dell’impresa sociale italiana. Ma per rafforzare l’imprenditorialità sociale, dobbiamo promuovere la nascita di un vero e proprio ecosistema capace di allineare domanda e offerta. Molte delle raccomandazioni che qui sono presentate e in particolare la piattaforma delle 40 proposte che conclude questo rapporto sono indirizzate al governo, che come in tutti i Paesi del G7 e dunque anche in Italia, ha un ruolo cruciale nel disegnare tale ecosistema.

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