«Associazioni di pazienti e case farmaceutiche. Un rapporto talvolta necessario ma certamente delicato. Necessario per l’esigenza di finanziare attività informative altrimenti indisponibili ai malati. Delicato perché rischia di gettare un’ombra sull’indipendenza dell’informazione veicolata». Rossella Miracapillo, responsabile Osservatorio Farmaci & Salute del Movimento Consumatori, non demonizza i rapporti di collaborazione, ma neppure tace le possibili criticità.
Quali sono gli aspetti più delicati del rapporto tra associazioni e aziende?
In un rapporto di partnership, l’associazione coinvolta riceve in tempo reale dettagli sui nuovi farmaci prodotti dall’azienda sponsor. E, mi domando, se non sia scontato metterli a disposizione dei propri associati, senza che per questo vi siano pressioni illecite o intenzioni promozionali consapevoli.
Un conflitto di interessi “involontario”?
Non matematico ma molto verosimile. Quanto più diffuso è l’interesse di cui una data associazione è portatrice, ossia quanto più ampia è la base associativa, tanto più è probabile che si insinui questo rischio.
E il Codice del Farmaco?
Vieta messaggi pubblicitari palesi, ma non impedisce che le informazioni circolino in modo informale. Inoltre, è in discussione al Parlamento europeo un ddl che, se approvato, consentirebbe alle aziende farmaceutiche di pubblicizzare la registrazione di nuovi farmaci direttamente presso il paziente finale, scavalcando l’intermediario oggi obbligatorio del medico.
Informazioni più accessibili, cosa non va?
Più informazione non significa necessariamente più tutela del malato. Soprattutto quando è passata a soggetti che non sono in grado di valutarla con competenze specifiche e la tendenza in atto è quella di ritenere il farmaco nuovo sempre e comunque migliore di quello tradizionale.
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