Welfare

Più drogati e più invisibili

Al di là di qualche “riserva indiana” stile Rogoredo, di drogati se ne vedono pochi in giro. Esistono in numero sempre maggiore, assicura il Rapporto al Parlamento 2018 sulle droghe, ma sono spariti dal centro dell’attenzione. Dimenticati dentro all’ordinario doping. Dopo trent’anni di “lotta alla droga” ci troviamo tra le mani un Paese complessivamente drogato, ormai abituato ad ogni tipo di droga, materiale o immateriale, vecchia o nuova

di Franco Taverna

A dispetto di quanto pensa gran parte della gente la droga esiste e prende forme sempre nuove. Questo è ciò che dice in sostanza il Rapporto al Parlamento 2018 sulle droghe.

Le droghe si moltiplicano ma, nel frattempo, i drogati dove sono? Ecco. In tutti questi anni un risultato lo abbiamo ottenuto, il peggiore che potessimo desiderare probabilmente, ma pur sempre un risultato: al di là di qualche “riserva indiana” stile Rogoredo, di drogati se ne vedono pochi in giro. Esistono in numero sempre maggiore, assicura il Rapporto, ma sono spariti dal centro dell’attenzione. Dimenticati dentro all’ordinario doping. E per qualcuno va bene così.

Per il resto noi delle comunità, davanti ai numeri allarmanti delle statistiche presentati nel Rapporto ci sentiamo autorizzati ad alzare nuovamente la voce per rivendicare un “senso” che pareva si fosse via via sbiadito con l’andare del tempo. Possiamo nuovamente chiedere a ragione che il sistema di intervento pubblico-privato di contrasto alle dipendenze messo in piedi dalla fine degli anni ’90 non venga smantellato, anzi al contrario che vada rinvigorito per poter far fronte ai nuovi bisogni. Va bene. Faremo qualche battaglia, otterremo qualche risorsa in più (speriamo) …. ma dal mio punto di vista stavamo meglio quando stavamo peggio. Quando la droga era anche un interrogativo… quando inquietava un poco le coscienze.

Perché ciò che il Rapporto non dice è che dopo trent’anni di “lotta alla droga” ci troviamo tra le mani un Paese complessivamente drogato, ormai abituato ad ogni tipo di droga, materiale o immateriale, vecchia o nuova. La dipendenza, nelle sue cause e nei sui effetti, si è insinuata nelle pieghe della vita quotidiana anche di chi non fa uso di sostanze stupefacenti. Nel gioco, sulla rete e sui social, nello sport, nel lavoro. Si sono affinate le tecniche di vendita, meglio non usare la parola spaccio perché disturba, e di consumo di prodotti dopanti, legali e illegali. Abbiamo forse un po’ meno eroina nelle vene ma una mente più assuefatta e drogata.

Oggi, davanti ai dati trasmessi al Parlamento, ci si sta attrezzando, si spera, per aggiornare la vecchia legge di riferimento, quella che ha regolato finora la repressione dei traffici e la cura delle persone tossicodipendenti. È un lavoro che deve essere fatto e, dopo tanti anni si è tornati finalmente a lavorare insieme, tra comunità diverse e tra enti privati e servizi pubblici. Ma guai se affrontiamo la questione come una restaurazione.

In questi trent’anni il mondo è cambiato e con questo anche le dipendenze, e noi rischiamo di utilizzare ancora i vecchi schemi e le vecchie parole. Relegati ai margini di un sistema sanitario che non conosce e non ha voglia di occuparsi di drogati e droghe, preoccupati della nostra sopravvivenza, pare che siamo pronti ad accontentarci di un piatto di lenticchie, pur di rimanere in piedi. Lasciando intatta e di fatto accettando l’impalcatura che in maniera sempre più nascosta e subdola produce e giustifica ogni giorno nuove piccole o grandi schiavitù.

All’inizio della nostra missione avevamo proprio temuto questo pericolo, che la droga, nelle sue tentacolari espressioni, poco alla volta potesse diventare “normale”. Un male minore, tutto sommato da tollerare e inquadrare dentro ordinate procedure, possibilmente a costo zero. Forse è già così. Ma l’occasione sarebbe propizia, oggi, per tornare a fare il nostro mestiere: dire che così non va bene, senza troppe chiacchiere, concretamente, e far vedere che una vita meno drogata è possibile, far sperimentare percorsi di liberazione dalle dipendenze. Tutte le dipendenze oppressive. Siamo perciò convinti che non siano sufficienti piccoli aggiustamenti linguistici, tipo usare la parola “dipendenze” al posto di “tossicodipendenze” o cambiare qualche organismo, ma che debba cambiare profondamente il sistema di cura, che dovrà essere sempre più centrato sulla persona e sul tessuto delle sue relazioni. Contemporaneamente però dovrà cambiare l’approccio e la qualità dell’investimento sulla educazione e sulla prevenzione che dovranno essere finalmente sistematiche e trovare alleanze negli ambienti vitali della famiglia, della scuola, dello sport, della musica e di tutti i nuovi linguaggi.

Il lavoro di revisione della legge 309/90 lo consideriamo solo un punto di partenza. Necessario forse per poter ottenere il più ampio consenso da parte della politica e delle istituzioni nel loro complesso riguardo alla necessità di tornare ad occuparsi seriamente dei fenomeni di dipendenza. Ma in prospettiva, secondo noi, certamente non può bastare.

Rogoredo con le nuove piazze e le vecchie overdosi ci hanno spaventato. Il Rapporto conferma la drammaticità del fenomeno. Ma stiamo attenti: la Rogoredo-Milano e l’Italia di oggi non è quella di trent’anni fa. Non applichiamo le stesse logiche! Non possiamo accontentarci di tentare di aggiustare un piccolo pezzo di ingranaggio, inserito all’interno della macchina sanitaria di cui “il dipartimento delle dipendenze” farebbe parte. C’è un’operazione più ampia e radicale che va compiuta. Mi auguro che, partendo proprio da questo ritorno di attenzione alla vecchia legge sulla droga si abbia il coraggio di affrontare seriamente il tema della adolescenza anche nei suoi risvolti economici, commerciali, comunicativi oltre che, ovviamente, nei contesti sanitari, formativi e sociali. La tematica delle dipendenze è trasversale. Vanno messi in campo pensati nuovi linguaggi e nuove forme aggregative e stavolta, ci auguriamo, non “per” i giovani ma “con” i giovani. Partiamo da loro. Visto il loro impegno, le loro capacità e le loro energie, faranno meno errori di noi!

*Coordinatore nazionale Exodus

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