Non profit

Più doni, meno versi

Deducibilità fiscale: la nuova proposta. Il Terzo settore italiano chiede un fisco capace di premiare le donazioni dei privati. Aderisci anche tu! Non perderti Vita in edicola, tutto sulla campagna.

di Carlotta Jesi

Vuoi donare 500mila euro al non profit e non sai se destinarli al Fai o a Medici senza frontiere? C?è un dettaglio che può aiutarti a decidere. Nel primo caso puoi detrarre dalle imposte 100mila euro, nel secondo al massimo 400. E tra Fai ed Emergency, l?ong del momento? Stessa cosa, la cultura batte l?emergenza. Grazie a Giovanna Melandri: quand?era ministro, ha modificato il Testo unico delle imposte sui redditi stabilendo che le donazioni ad associazioni impegnate nei beni culturali e nello spettacolo sono interamente detraibili dal reddito d?impresa. Quelle in favore di chi costruisce ospedali, adotta orfani, fa ricerca sulle malattie dimenticate, no: è prevista una detrazione del 19% su un limite massimo di 2mila euro.

Sembra una barzelletta, invece è uno dei tanti paradossi del fisco italiano per cui vale più aiutare un partito (detrazione d?imposta del 19% su un limite massimo di 103.291 euro) che la società civile. Paradosso che ci portiamo dietro da quando la filantropia si chiamava ancora elemosina, non era riconosciuta come atto economico e costringeva i donatori a stratagemmi assurdi per mandare a buon fine la loro generosità. Un caso per tutti: sino al 1996, gli editori decisi a regalare una pagina pubblicitaria al non profit, dovendo comunque versare l?Iva facevano pagare la pagina a un prezzo simbolico. E nel resto del giornale raccontavano dei miliardi di dollari esentasse donati alla società civile da Rockfeller e da altri paperoni americani. L?Italia di inizio secolo?

Non più elemosina
Purtroppo no. Le cose sono cambiate solo nel 1997, quando il decreto legislativo n. 460 ha chiarito che i versamenti effettuati a favore degli enti senza scopo di lucro danno diritto a una detrazione d?imposta. L?elemosina è stata promossa a filantropia, ma i guai per donatori e beneficiari non sono finiti. Basta passare in rassegna le ultime uscite governative in fatto di regimi tributari delle liberalità. Dal disegno di legge 1095, che propone di sostenere coi finanziamenti dell?8 per mille destinati allo Stato solo 5 associazioni riconosciute ?d?interesse pubblico? a discapito di tutte le altre, all?articolo 40 (ex 35 bis) della Finanziaria sulla deducibilità fiscale solo per la ricerca oncologica e solo nei primi quattro mesi del 2003. Per fortuna questo articolo della legge di bilancio è stato letteralmente sommerso da emendamenti voluti dalla società civile, Telethon e Associazione italiana sclerosi multipla in testa. Ma il caos, e i dubbi dei donatori, rimangono. C?è una ricerca scientifica che merita più delle altre di essere sostenuta? C?è una filantropia di prima e di seconda classe?
Con problemi così, e incentivi ridicoli, inutile poi lamentarsi di fare da fanalino di coda ai Paesi europei che sostengono la società civile come mostra la ricerca Il non profit italiano: creazione di valore aggiunto sociale e ruolo delle donazioni promossa dal Summit della solidarietà. Nel nostro Paese le donazioni rappresentano il 3,3% delle entrate del Terzo settore contro l?11% del Regno Unito dove è prevista la deducibilità delle liberalità a enti non profit. Perdiamo anche contro la Francia: secondo la Fondation de France, i francesi donano in media 450 euro l?anno, gli italiani 117. Non per niente Parigi premia le persone fisiche con una detraibilità del 50% delle donazioni al non profit nel limite del 6% del reddito imponibile. E le aziende? Oggi possono detrarre fino al 2% dell?imponibile fiscale, una percentuale ridicola che, tuttavia, nel 2001 non ha impedito a un?impresa nostrana su due di investire in solidarietà per un impegno sociale complessivo di 1.600 miliardi di vecchie lire. Come dire: nonostante la politica fiscale disincentivante, negli italiani abbonda la voglia di donare. Come si esce da questa impasse?

Una campagna dal basso
Rossano Bartoli, segretario generale della Lega del filo d?oro, non ha dubbi: «Per prima cosa lo Stato deve fare chiarezza. Perché deve essere il cittadino a decidere a chi vuole destinare le sue donazioni ma, soprattutto, perché è questione di coerenza: se è vero, come dichiarano i politici, che il Terzo settore svolge un ruolo fondamentale, bisogna incentivare i cittadini a sostenerlo». La sfida, insomma, è di introdurre anche in Italia una leva fiscale adeguata alla voglia di dare dei suoi cittadini e ai bisogni di una società civile pronta a farsi carico di molti servizi erogati dal sistema pubblico. La natura di questa riforma fiscale? Puntare sulla deducibilità dal reddito complessivo di chi dona invece che sulla detraibilità dall?imposta sul reddito. È la proposta che Vita, il Forum permanente del Terzo settore e il Summit della solidarietà rivolgono al governo con un appello bipartisan. Proposta, che ha visto l?avvocato Salvatore Pettinato nel ruolo di play maker, che prevede anche un regime sanzionatorio per chi cercasse di approfittare della nuova leva fiscale e che, per la prima volta nella storia delle donazioni liberali, ha già messo d?accordo 1.600 organizzazioni non profit.
Che si riesca finalmente a portare l?Italia in Europa? Il professor Victor Uckmar spera di sì, e si augura che agli incentivi per i donatori seguano quelli per i volontari: «Dovremmo riconoscere un credito d?imposta anche a chi non ha denaro da donare ma solo il suo tempo. È un modo per far crescere la società civile, e quindi la democrazia». Un augurio condiviso da Edo Patriarca, portavoce del Forum: «Di fronte alle difficoltà dell?Italia di oggi e alle esigenze di solidarietà, è necessario uno sforzo innovativo nella cultura di governo, capace di dar luogo a politiche fiscali e sociali attive che sostengano le migliori energie del Paese, aumentando così per le famiglie e i cittadini, l?offerta di servizi e per le organizzazioni le risorse per metterli in campo».

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