Welfare

Più diritti, ma anche più doveri per farli uscire dall’ombra

Marco Trabucchi curatore del dossier "Io mi prendo cura"

di Redazione

L’abbandono e la diversità di risposte in cui versano i caregiver in Italia creano ulteriori fragilità per le famiglie». Così Marco Trabucchi, direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica che ha realizzato in collaborazione con SCA-TENA il dossier “Io mi prendo cura. Caregiver informali in Italia”.
Come se ne esce?
Bisogna muoversi su vari piani. Anzitutto politico. Si deve riconoscere finalmente che la prestazione del caregiver rientra nei servizi sanitari assistenziali. Di fronte all’anziano non autosufficiente, il caregiving è l’unica risposta possibile. E la coscienza di ciò deve diventare più forte e soprattutto deve passare nel sistema. Altrimenti restiamo nella logica del poter e voler fare, cioè in una zona in cui nulla è strutturato. Che è il massimo dell’ingiustizia.
Con quali conseguenze?
Il caregiving può essere fatto da una persona di famiglia o da persone pagate. Ad esempio le badanti. Per queste ultime, occorre fornire un minimo di cultura specifica, e di regolarizzazione. È troppo frequente la situazione in cui dipendono dalla bontà dei loro datori di lavoro. Va creato uno standard. Non irreggimentando il sistema, cui va lasciata libertà, ma dando dei supporti esterni: corsi di formazione, organizzazione, strumenti per la tutela degli interessi. Quante sono le badanti che non sono in regola, né sotto il profilo previdenziale, né sotto quello del permesso di lavoro e soggiorno? Sfruttiamo queste persone e il sistema, dopo aver fatto tante prediche, accetta che sia così.
E sul versante della famiglia?
Se riconosciamo uno spazio funzionale alla famiglia, dobbiamo anche in qualche modo istituzionalizzare questa funzione. Riconoscendo più e meglio di ora la possibilità di un’assenza dal lavoro o dando compensi di carattere economico.
Insomma, occorre rivedere la legge 104…
Certo. Inoltre sarebbe opportuna una specifica formazione. D’altra parte, se vogliono essere riconosciuti, i caregiver devono accettare anche compiti e doveri. Se entrano nel piano di assistenza, ad esso devono attenersi. D’altro canto come dicevo, coloro che hanno responsabilità dei servizi devono capire che queste persone non sono volontari marginali. E quindi intervenire sul piano politico programmatorio.
E dopo?
Asl, Regioni ed enti locali devono collaborare per rinforzare il ruolo dei caregiver magari con la collaborazione delle associazioni dei malati.
Ci sono esperienze pilota in questo senso?
L’Asl di Brescia organizza corsi di formazione per le famiglie, ha pubblicato anche un piccolo volume. Non sono cose secondarie. Al contrario: danno strumenti e danno ruolo, elementi che ai caregiver servono. Oltre a quella bresciana poi ci sono molte piccole esperienze, ma poco formalizzate.

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