Sostenibilità

Più degli uragani potè il turista.

La nuova strategia italiana (e non solo) è quella di rendere i parchi più “fruibili”. Un’idea legittima che però rischia di privilegiare gli aspetti economici su quelli di tutela.

di Francesco Agresti

Se tutto va bene siamo rovinati. Potessero parlare (e c?è chi sostiene che lo facciano, basta saperli ascoltare), i parchi direbbero proprio così. A impensierire le oasi verdi della Penisola, e l?animo di coloro a cui stanno a cuore, non ci sono solo gli incendi che ogni anno ne mandano in cenere migliaia di ettari. «Il rischio per i parchi italiani», afferma Gaetano Benedetto, presidente del parco dell?Appia Antica e segretario aggiunto del WWF, «si chiama legge delega in materia ambientale con la quale il governo vuol metter mano alla legge quadro 394 del 1991 sulle aree protette secondo criteri che non sono ben definiti, ma che data l?esperienza di Lombardia, Liguria e Lazio, non lasciano presagire niente di buono». Di fatto, spiega Benedetto, i parchi potranno essere riclassificati e riperimetrati, e avranno un sistema di autofinanziamento che rischia di incentivare una serie di attività improprie, funzionali all?attività economica e non certo alla conservazione e a un sistema di salvaguardia che rischia di essere indebolito. «Si pensa, ad esempio, che il turismo faccia bene sempre e comunque, invece non è così. Passeggiate rumorose in zone delicate di boschi, la nautica leggera in alcune riserve marine rappresentano un grosso problema. Non esiste una consecuzione logica diretta del tipo: aree protette, turismo, sviluppo. Questo vale può valere per diversi ambiti ma non per le aree protette». Ci sono diverse tipologie di parchi e questa eterogeneità fa sì che sia possibile rispondere a tante domande, il concetto di fruizione va tarato sulla base di queste caratteristiche e legato soprattutto a due elementi fondamentali: la conoscenza e l?educazione che sono sinergici e paralleli. «Il turismo nei parchi deve essere calibrato, orientato e organizzato. Assistiamo», prosegue Benedetto, «al tentativo di portare nei parchi dei modelli di sviluppo che non c?entrano niente con le aree protette». A confronto due modi di intendere le aree protette: da un lato, chi vi vede una risorsa da sfruttare facendo prevalere l?interesse economico su quello della salvaguardia; dall?altro, chi invece ritiene che ai parchi sia legato un interesse che va ben oltre quello rappresentato da chi lo gestisce; nel mezzo un progetto di riforma che, ricorrendo a un eufemismo, intende rendere i parchi più ?fruibili?. «I parchi», riprende Benedetto, «vengono intesi da alcuni come una coperta da tirare da una parte all?altra per opportunità politiche, per aprire alla caccia, per svincolare l?edificabilità, lì dove, invece, devono prevalere criteri scientifici attraverso i quali definire cosa e come bisogna tutelare». Un po? meno parco e un po? più parco giochi, una struttura che deve essere anche in grado di funzionare producendo reddito. Entro quali limiti? Stabiliti da chi? «Si vuole portare nei parchi», aggiunge Benedetto, «un modello di sviluppo che poco ha a che fare con la loro tutela, creando un meccanismo dove la funzione dell?ente diventa quella di sviluppare delle aree depresse del Paese. Il clima che si creato intorno alle aree protette», conclude Benedetto, «non è funzionale a quella cultura della conservazione e della natura che ha un fondamento scientifico e che è invece orientato da un dibattito politico dagli interessi svariati e che hanno difficoltà a trovare punti di equilibrio con le esigenze di conservazione».


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