Economia
Più credito alle aziende virtuose
In tempi di credit crunch, arriva per le imprese un’altra sfida con la quale confrontarsi. Le agenzie di rating stanno diventando sempre più etiche. Questo perché l’applicazione dei criteri ESG nei sistemi di valutazione delle imprese consentirebbe di verificare in maniera più accurata la capacità delle imprese di “creare valore” e di rispondere a eventuali rischi di carattere sociale e ambientale
In tempi di credit crunch, arriva per le imprese un’altra sfida con la quale confrontarsi. Le agenzie di rating stanno diventando sempre più etiche. Questo perché l’applicazione dei criteri ESG (environmental, social e governance) nei sistemi di valutazione delle imprese consentirebbe di verificare in maniera più accurata la capacità delle imprese di “creare valore” e di rispondere a eventuali rischi di carattere sociale e ambientale che possono incidere negativamente sull’operatività dell’azienda. E dunque in ultima istanza sulla sua capacità di restituzione del credito. Peraltro è opinione diffusa che alcuni fattori che hanno contribuito a causare l’attuale crisi dei mercati finanziari avrebbero potuto essere colti e anticipati grazie all’analisi ESG.
Il progetto promosso dal gruppo Waste Italia e Altis – Alta Scuola Impresa e Società – dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha coinvolto otto aziende quotate (Ace, Generali, Fiera Milano, Gruppo Iren, Isagro, Italcementi e Snam) e tre banche (Bpm, Ubi e Intesa Sanpaolo), va proprio in questo senso. L’obiettivo è infatti quello di affiancare indicatori di performance ESG ai più tradizionali parametri economico finanziari, nella valutazione del merito creditizio e della solvibilità di un’impresa. “In tale modo si intende instaurare un sistema premiante nei confronti delle imprese virtuose e contribuire allo stesso tempo alla diffusione di buone pratiche.”, si legge nel documento di presentazione del lavoro.
Ma rimane la questione dell’inadeguatezza delle comunicazioni delle informazioni di natura non strettamente finanziaria. Rientrano in questa categoria quegli elementi organizzativi dell’azienda legati alle politiche ambientali, sociali e di governance. Sul piano nazionale l’interesse nei confronti della “rendicontazione di sostenibilità” ha trovato spazio in iniziative quali il Rating di legalità e il Piano d’azione nazionale sulla responsabilità sociale d’impresa 2012-2014. Mentre l’unione Europea ha pubblicato la Direttiva sulla “Disclosure of non financial and diversity information”, che dovrà essere recepita entro il 6 dicembre 2016 e applicata a partire dal 1° gennaio 2017. Si prevede in sintesi l’obbligo per le grandi aziende con determinate caratteristiche di divulgare informazioni rilevanti in ambito ambientale, sociale, diritti umani, anti-corruzione, di politiche dei dipendenti e sulla diversità.
Nel frattempo i ricercatori dell’Altis hanno costruito un set di indicatori ESG che coprono aree considerate rilevanti ai fini dell’analisi dei rischi dell’aziende. Nello specifico: Salute e Sicurezza, Governance e Comunicazione, Impatto ambientale, Legalità, Compliance, Certificazioni e Fornitori.
La non conformità in materia di salute e sicurezza può comportare, nei casi più gravi, una sanzione penale di carattere detentivo o pecuniario ai danni dell’azienda. Per cui un’organizzazione non può prescindere da quegli elementi di tutela dei lavoratori che più incidono sul profilo di rischio dell’azienda. Se si passa all’area della governance e della comunicazione, non si fa fatica a comprendere che mettere a punto modelli di gestione trasparenti e meccanismi di controllo del rispetto delle norme, può arginare il rischio di infrazioni da parte dei singoli. Altro tema è l’impatto ambientale. Una scarsa sensibilità ecologica può comportare il rischio di multe o sanzioni direttamente derivanti da violazioni di legge o dovute a contenziosi promossi da privati o da altri soggetti, oltre al danno reputazionale dovuto a politiche ambientali rischiose.
A proposito di Legalità, come noto negli ultimi anni il mondo delle imprese è stato interessato non solo da scandali finanziari, ma anche da alcuni problemi di carattere giudiziario che hanno messo a rischio l’esistenza stessa dell’azienda. Si pensi alle sanzioni economiche e alla perdita di reputazione sul mercato che hanno colpito aziende come l’ILVA o British Petroleum travolte dai recenti scandali di carattere ambientale. Oppure ai boicottaggi dei prodotti o servizi di aziende accusate di utilizzare manodopera minorile, o il crollo dell’edifico Rana Plaza che ha coinvolto alcuni dei più grandi marchi tessili, tra cui Benetton. La presenza di certificazioni, sostengono i ricercatori, è quindi uno strumento utile per valutare la capacità delle imprese di adottare comportamenti ispirati a principi di trasparenza e legalità, dotandosi di sistemi di compliance aziendale.
Infine il fenomeno dell’esternalizzazione. La crisi economica ha spinto le aziende ad affidare alcune attività economiche a fornitori che possono essere localizzati in contesti in cui l’attenzione agli aspetti socio-ambientali è meno sentita e garantita. L’adozione nel processo di selezione del fornitore dei criteri ESG metterebbe al riparo l’azienda da situazioni che potrebbero causare un arresto della produzione. Al rischio di interruzione o ritardo nella fornitura si aggiunge anche la possibilità di un danno reputazionale, come accaduto alla Apple travolta dallo scandalo Pegatron, alla quale si era rivolta proprio per cercare di diversificare la produzione.
Per Pietro Colucci, Presidente e AD di Gruppo Waste Italia, «il progetto rappresenta quindi un primo passo propedeutico alla sperimentazione degli indicatori all’interno dei sistemi di rating creditizio attraverso il quale sarà possibile raccogliere evidenze statisticamente valide e costruire serie storiche su cui poter testare la relazione degli indicatori con il rischio di default. Da un lato. Dall’altro dovrebbe incentivare l’adozione di politiche ambientali, sociali e di governo da parte dell’azienda in un’ottica di sostenibilità e maggiore trasparenza».
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