Formazione
Più bravi a a fare che a comunicare
Una ricerca condotta su un campione di 24 cooperative aderenti ad Ancst.
«La responsabilità sociale è un concetto da maneggiare con cura soprattutto se lo si prende sul serio», ricorda Mario Salani nel volume La responsabilità sociale cooperativa. Così mentre le altre imprese da qualche anno si interrogano su cosa voglia dire e cosa occorra fare per acquisire lo status di impresa socialmente responsabile, tra le cooperative, che tali lo sono per definizione (ma non è detto che tutte lo siano realmente), l?attenzione è focalizzata su come comunicare o rendicontare questa responsabilità, come trasmettere gli effetti economici e sociali prodotti dall?applicazione dei principi che fin dalle origini del movimento cooperativo ne governano l?azione imprenditoriale.
Mario Viviani ha curato per conto di Ancst, associazione di Legacoop che raccoglie le 4.500 cooperative di servizi, un?analisi dei bilanci sociali di un campione di imprese cooperative aderenti. La ricerca è stata condotta su 24 imprese, di cui 13 coop sociali (10 di tipo A, 2 di tipo B e una mista), 7 di servizi, una di autotrasportatori, 2 consorzi e una struttura associativa regionale. Il 70% ha un numero di occupati superiore alle 250 unità, di queste poco meno della metà ha più di mille addetti. La distribuzione geografica richiama in parte la diffusione sul territorio delle coop: il 40% delle coop del campione è localizzata in Emilia Romagna, il 20% in Toscana, l?8% nel Lazio, altrettanto in Piemonte, il resto è diviso tra Campania, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche e Umbria.
La ricerca ha approfondito in particolare gli aspetti relativi alla modalità di rendicontazione e di coinvolgimento utilizzate dalle cooperative verso gli stakeholder ritenuti prioritari, quelle nei confronti di tre tematiche fondamentali: pari opportunità, formazione e lavoratori migranti e infine le modalità di trattazione degli elementi di specificità cooperativa (porta aperta, democrazia partecipativa, mutualità , ecc?).
Un?eterogeneità diffusa
Lo studio descrive un quadro eterogeneo in cui le cooperative sociali, in particolar modo quelle di tipo A, hanno mostrato storicamente una maggiore sensibilità al tema della rendicontazione sociale, considerata uno strumento attraverso cui non solo far conoscere la propria attività, ma anche far crescere, nella comunità territoriale in cui operano, il senso di fiducia nei loro confronti, un elemento considerato fondamentale in ragione della tipicità del lavoro svolto. Un?eterogeneità accompagnata da una consapevolezza ancora poco diffusa sulle potenzialità del bilancio sociale come strumento di gestione e programmazione.
Il 58% delle coop del campione ha pubblicato almeno cinque edizioni del bilancio sociale, il 79% esplicita l?obiettivo della redazione del documento e il modo in cui questo è connesso alle scelte dell?impresa, ma solo il 54% riporta nel bilancio sociale in modo esplicito la propria missione mentre una cooperativa su due segnala informazioni metodologiche.
Il primo aspetto a essere esaminato è stato l?adesione a un modello di bilancio. Anche se nel 67% dei casi non vi è alcun esplicito riferimento a uno standard, almeno nella metà delle cooperative è riconoscibile la struttura tipica del Gbs, modello messo a punto dal Gruppo italiano di studio sul bilancio sociale, associazione cui aderiscono docenti universitari e professionisti. Gran parte delle coop ha preferito costruire un modello di bilancio più vicino alle proprie esigenze adottando alcuni metodologie definite nello standard Gbs: una su due ha previsto forme di consultazione con gli stakeholder, nel 62% dei casi è stata rilevata la presenza del valore aggiunto globale e il 75% ha seguito i parametri per la sua determinazione elaborati dal gruppo di studio. La ricerca ha inoltre indagato l?attitudine delle cooperative a utilizzare il bilancio sociale come strumento di programmazione e gestione, analizzando la coerenza tra obiettivi dichiarati e risultati perseguiti e la tendenza a dichiarare obiettivi di miglioramento futuri. Questi ultimi sono stati rilevati nel 63% dei casi, nel 20% i propositi riguardano il bilancio sociale e nell?80% la performance aziendale. Mentre solo una cooperativa su tre prevede una forma di confronto tra risultati perseguiti e obiettivi, «a conferma», si legge nello studio, «della modesta consapevolezza delle potenzialità del bilancio sociale come strumento di gestione interna e di controllo». I ricercatori hanno inoltre misurato il grado di apertura dei bilanci sociali attraverso la rilevazione della presenza di valutazioni autocritiche che sono state riscontrate nel 58% dei casi.
Consultazioni come e quando
Altro aspetto su cui è stata posta attenzione è stato il coinvolgimento dei portatori di interessi, analizzando non solo chi, ma anche come e su quali aspetti è stato chiamato a partecipare all?elaborazione del bilancio sociale. Il 50% delle imprese monitorate ha previsto forme di partecipazione degli stakeholder. Tra i portatori di interesse i soci sono senz?altro quelli cui viene riconosciuto un ruolo di primo piano, seguiti dai clienti, dal movimento cooperativo, dagli utenti, dai fornitori, dalla comunità e, infine, dai collaboratori. In genere si tratta di forme di consultazione sulla verifica delle attività svolte, in particolare di aspetti relativi al livello di soddisfazione dei servizi offerti e alla percezione del ruolo sociale dell?impresa, e mai sulla definizione delle politiche aziendali. Anche se alcune cooperative, in particolare quelle sociali, interpellate nei mesi successivi, hanno dichiarato di voler coinvolgere gli stakeholder anche nella definizione di obiettivi.
Infine, sono state esaminate le modalità di rilevazione nel bilancio sociale di alcune tematiche ritenute fondamentali (pari opportunità, formazione e lavoratori migranti) e di alcuni elementi di specificità cooperativa (porta aperta, democrazia partecipativa, mutualità ).
Su entrambi gli aspetti la ricerca ha rilevato un marcata discontinuità tra le politiche realizzate e le azioni descritte nel bilancio: spesso a un concreto impegno esercitato nel corso dell?anno corrisponde una descrizione poco analitica e spalmata su tutto il bilancio sociale. A conferma che alle imprese cooperative riesce più facile fare che comunicare e che ciò che viene raccontato spesso non è che la minima parte di quanto di buono economicamente e socialmente è stato realizzato.
Il probema dei piccoli
Per le realtà meno grandi il bilancio sociale viene visto come un dispendio di energie. «Per questo abbiamo fatto un lavoro per far prendere coscienza che non è tempo perso», dice Serge Toscano
Se l?attività di rendicontazione sociale richiede tempo e risorse difficili da gestire per le cooperative di medie e grandi dimensioni, per quelle più piccole può diventare un lavoro proibitivo. A Roma il Consorzio Coin, 22 cooperative sociali di tipo B associate, ha realizzato un percorso informativo per agevolare il lavoro delle imprese intenzionate a realizzare il bilancio sociale.
«Il consorzio», racconta Serge Toscano, consulente di Coin, «ha messo a disposizione delle associate degli strumenti che dovrebbero facilitare la realizzazione di un documento di rendicontazione sociale».
«Al consorzio aderiscono realtà di piccole dimensioni», ricorda Toscano, «e quando per la prima volta abbiamo parlato di bilancio sociale, il pensiero di molti è andato subito al dispendio di energie e all?aggravio di lavoro che questo richiedeva. C?è stato un lungo lavoro finalizzato a far prender coscienza del valore del bilancio sociale e a fornire gli strumenti necessari per la sua realizzazione». Lo scorso anno il consorzio ha pubblicato la prima edizione del bilancio sociale e quest?anno dovrebbe essere realizzato anche da 11 delle cooperative sociali associate.
Noi, che già da 10 anni…
La cooperativa bolognese già da 10 anni prepara un bilancio sociale. Quest?anno ha prestato attenzione all?editing, con foto e grafica più curata
Camst è una cooperativa di produzione lavoro costituita nel 1945 a Villanova di Castenaso, in provincia di Bologna, che oggi dà lavoro a 6mila persone ed è per dimensioni la prima impresa a capitale italiano nel settore della ristorazione. Il primo bilancio sociale risale al 1995. «L?interesse per la rendicontazione sociale», spiega Ivano Minarelli, vicepresidente di Camst, «è nato sulla spinta delle riflessioni che in quegli anni erano state avviate all?interno della Lega delle cooperative sulla capacità di comunicare i valori fondanti della cooperazione». «Le prime edizioni», prosegue Minarelli, «riservavano una maggiore attenzione ai soci. Nel 2000 abbiamo sottoposto il bilancio sociale a un profondo restyling assorbendo le teorie sugli stakeholder, iniziando così a pensare a un documento in grado di parlare e coinvolgere non solo i soci ma anche altre categorie di portatori di interessi direttamente o indirettamente coinvolti nella nostra attività d?impresa: clienti, mercato, fornitori, mantenendo un impianto che risponde con i suoi contenuti gli articoli della missione».
«Quest?anno», conclude il vicepresidente, «oltre che sui contenuti stiamo lavorando anche sull?editing arricchendo il nostro bilancio sociale con foto e grafici».
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