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Più altruismo e meno palestra. L’italia che non t’aspetti

Ci sono segnali di una svolta profonda nei valori degli italiani. Che sono stufi di conflitti e declinismo. E puntano su relazioni e reciprocità. Intervista a Giulio De Rita, autore della ricerca che dice: «È l'Italia che i media non vogliono vedere».

di Giuseppe Frangi

Sono titoli che non possono lasciare indifferenti, quelli che scandiscono i capitoli della ricerca Censis sui valori degli italiani, presentata ieri dal Censis. Rileggiamoli: “l’egosimo stanco”, “voglia di essere altruisti”, “paura di competere”, “meno competizione più collaborazione?”, “dare una mano al territorio”. È la fotografia di un’altra Italia che per difendersi dalla crisi non si chiude in se stessa ma istintivamente, e contro suggerimenti e  analisi dei vari maestri del pensiero, capisce che per uscire dalla crisi bisogna investire di nuovo sui rapporti di relazione e sul ritrovamento di una coesione sociale. La cosa che lascia di stucco è che questa mattina nessuno dei grandi giornali abbai ritenuto di dover scrivere una riga su questa ricerca che invece, porta a galla una svolta che si può ben definire clamorosa, negli atteggiamenti degli italiani. Solo Avvenire e Osservatore romano oltre a il Sussidiario hanno colto l’importanza dei dati che emergono. Dagli altri un silenzio che sa anche di imbarazza.
«È un’Italia che non ne può più del declinismo e dei troppi pensieri depressivi che l’assediano», conferma Giulio De Rita, l’autore della ricerca. «Per questo si rivolta e cerca altri modelli per stessa. E forse per questo gli osservatori si sono trovati spiazzati e devono metabolizzare questi dati. È una ricerca che avrà un’onda lunga…». Nella ricerca si parla di un “ritorno del pendolo”. Cosa si intende? «Il fenomeno che sta attraversando l’Italia in profondità è interessantissimo e certamente nessuno l’aveva messo in preventivo. Però per ora siamo alla manifestazione di un intenzione. Poi bisognerà vedere dove il pendolo si fermerà. Perché può essere che il pendolo porti anche a una sorta di involuzione, di frugalità ad ogni costo che alla fine coincidono con un impoverimento accettato. Questo lo vedo come un pericolo, un rinchiudersi in piccoli cerchi, un accontentarsi che non porta nessuno sviluppo. Se invece il pendolo si dovesse orientare verso la ricerca di competizione più alta e diversa, allora sarà davvero una svolta». Per chiarire De Rita riferisce un esempio fatto nella ricerca: «Davanti ad un’azineda in difficolta ci può essere l’atteggiamento del dirigente che cerca di abbassare il livello di comeptizione per tenere sotto controllo i conflitti; oppure quello dell’imprenditore che alza il livello della competizione, e fa capire come per essere più competitivi si debba collaborare di più».
Nella ricerca si fa anche riferimento al peso che papa Francesco ha in questa svolta delgi italiani. «Lui ha capito che consumare di più non è la risposta. Perché siamo arrivati ad un punto in cui il consumare non soddisfa più i desideri. Per questo il suo richiamo alla frugalità ottiene tanto successo. E per questo c’è un ritorno della spiritualità come una forza dà più energia».
Vien da pensare che se il papa comunque gode di buona stampa, ma l’Italia che nasce dal papa invece non è degna di interesse da parte dei media… «Si ripete uno schema ben noto», spiega De Rita. «In Italia c’è un primo popolo, che è quello che ogni giorno si rimbocca le maniche, e un secondo popolo che pensa il sentimento del primo. Oggi questo secondo popolo è convinto che l’Italia sia un paese segnata dalla voglia di conflitti. Invece nella realtà le cose stanno esattamente all’opposto. C’è una voglia di relazione, una voglia di fare. Il primo popolo sta dicendo: “Lasciateci fare e non deprimeteci più”». È così, contro tutte le aspettative, dice che l’aiutare gli altri fa star bene molto più dell’andare in palestra.
 


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