Volontariato

Pistorius: «Non sono i piedi che fanno un uomo»

Olimpiadi. Dopo il via libera, parla l’uomo simbolo dello sport disabile

di Redazione

Sorride sempre. Ascolta, risponde a tono, racconta se stesso con ironia e leggerezza, rende tutto maledettamente semplice anche se non lo è affatto: Oscar Pistorius a Milano nel giorno più bello della sua vita (almeno per ora). L?ho incontrato al convegno organizzato da Vedior, un?agenzia di lavoro che ha investito molto nel ?fattore H?, e ha avuto la meritata fortuna di promuovere un evento di comunicazione sui valori della diversità nel lavoro proprio nel giorno in cui la Corte d?appello di Ginevra gli restituiva una chance incredibile, quella di realizzare il tempo minimo di ammissione alle Olimpiadi di Pechino e poter gareggiare sui 400 metri accanto agli atleti che usano i piedi, mentre lui sfrutta le protesi al carbonio.

Pistorius ha 22 anni e racconta la sua vita come un vecchio arguto: «Non so che cosa voglia dire usare i piedi, non li ho mai avuti, me li hanno amputati quando ero piccolo piccolo». Già, un tallone che non si forma, una gamba inutilizzabile, e dunque la decisione di amputare entrambi i piedi, prima che si verificasse una crescita sbilenca, un deficit incontrollabile.

Forti i genitori, incredibile quel bambino sudafricano che potrebbe avere un tallone d?Achille e invece lo trasforma in un tallone di Oscar. «Mi piaceva il rugby», racconta sorridendo. «Ma una volta mi sono fatto proprio male, le mie gambe erano malconce, mi hanno ricoverato per un periodo di riabilitazione e mi hanno detto, se vuoi tornare al rugby devi prima fare un po? di atletica?».

Già, l?atletica scoperta per caso, e poi il film sembra in discesa, tutto facile per un ragazzo dalla volontà di ferro, ma dentro di sé completamente normale. Proiettano il filmato delle Paralimpiadi del 2004 ad Atene: una partenza lentissima, inchiodato ai blocchi mentre tutti gli altri, e in particolare il francese, il rivale da battere, schizza verso il traguardo, nei 200 metri. «In quei due secondi di blocco ho rivissuto tutta la fatica fatta per allenarmi, per arrivare sino a lì», ricorda Oscar, «e mi sono detto: tanto vale partire, arrivare comunque al traguardo, non buttare via questa finale». Detto fatto, Oscar parte, è ultimo, ma durante la curva recupera posizione su posizione, e nel rettilineo agguanta il primo posto, vince, stabilisce il primato mondiale. La morale è presto detta: si può trasformare un momento difficile nel punto di partenza per il successo, vale per lo sport, vale per la vita. «Ho fatto questa lunga battaglia legale non solo per me ma per il diritto di tutti i disabili a non essere discriminati. Io correrò comunque anche alla Paralimpiadi, non voglio isolarmi dal movimento degli atleti disabili, anzi».

E infatti Pistorius è già la bandiera del futuro, del grande sogno, quello di non avere più una distinzione a priori in categorie di atleti, ma un confronto agonistico alla pari. Gli chiedo: «La tua vita non è forse migliore proprio per quei piedi che non hai, per quella sfida che hai dovuto vincere?». Ci pensa un po? e pesa le parole: «Se avessi i piedi probabilmente sarei un atleta più veloce, ma certamente non sarei un uomo migliore». Buona fortuna Oscar, vola anche per noi.


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