Nel nome forse un destino. Oscar Pistorius arriva a Londra dopo una vita incredibile, non per la sua disabilità, l’amputazione di entrambi i piedi quando era bambino, ma per la successiva scelta di cimentarsi alla pari nella corsa. Se Pistorius si fosse limitato a vivere bene, con le protesi, una esistenza normale, facendo le cose che la società ritiene compatibili con il suo handicap fisico, non avremmo mai vissuto questo scricchiolio dei benpensanti, questa crociata reazionaria a difesa della purezza dello sport olimpico dei “normodotati” (orribile termine riesumato per l’occasione).
Pistorius in semifinale a Londra, non nelle Paralimpiadi, ma proprio nei giochi “di tutti” (sic!) è una bestemmia, un’eresia inaccettabile. E poco importa che le autorità olimpiche internazionali abbiano fatto di tutto per impedirglielo, sostenendo una battaglia tecnico-legale pazzesca pur di dimostrare l’indimostrabile, e cioè che le protesi al carbonio, al posto di piedi e caviglie naturali, sarebbero un “vantaggio” e non, come è ovvio anche per un bambino, un difficile compromesso tecnologico per riprodurre, nei limiti del possibile, il movimento naturale degli arti. Nessuno oggi sembra ricordare che Pistorius gareggia perché ha vinto questa battaglia tecnico-legale ed è stato ammesso non perché l’opinione pubblica mondiale era con lui, ma perché sono stati fatti e superati tutti i test possibili di sollecitazione meccanica e di simulazione della prestazione. Il resto ce lo ha messo lui, con il suo carattere, la forza, la qualità atletica, gli sponsor, la famiglia, la rete delle amicizie, la semplicità, la grandezza umana.
Oscar Pistorius è un grande campione di sport e di umanità. Questo oggi si dovrebbe scrivere e pensare. E invece succede che il razzismo inconscio nei confronti della disabilità sta giocando un brutto scherzo anche a giornalisti famosi, come Aldo Cazzullo, su corriere.it, mentre ad esempio su La Stampa, Gianni Riotta riesce a raccontare da grande inviato (dimostrando ancora una volta che la sua vera qualità è nella scrittura) la storia di Oscar con tanti dettagli autentici, che restituiscono alla vicenda sportiva anche una dimensione umana a tutto tondo.
E meno male che Claudio Arrigoni, nel blog InVisibili, (sempre su corriere.it) ripercorre con pazienza e determinazione la storia di Pistorius rimettendo le cose a posto: “Il massimo organismo decisionale dello sport mondiale, il Tas di Losanna, – scrive Arrigoni – chiamato a dirimere la questione dopo che la Federazione Internazionale di atletica leggera aveva vietato a Pistorius di partecipare a proprie gare, ha deciso che Pistorius può correre. Lo deve fare con quelle protesi che sono state testate, nate nel secolo scorso (era il 1996) e che lui usa dal 2004. Francamente, a ben vedere, verrebbe da pensare che anche questa sia un’ingiustizia. Visto che quelle protesi danno ancora svantaggi, perché non può usarne di nuove, migliori, che finalmente avvicinino le sue prestazioni a quelle che di un piede e una gamba umana?”.
E allora io da qui, da questo luogo tranquillo che è il blog di Vita.it, mi permetto di avanzare alcune riflessioni che lascio volentieri al commento di chi leggerà queste righe.
Penso che nel mondo, in questo periodo di crisi e di tormenti, gli opinion makers vincenti sono quelli che rassicurano le masse, proponendo il rispetto di regole antiche, e di ripartizioni in classi sociali non modificabili.
Penso che le persone con disabilità, di questi tempi, costituiscano un peso insostenibile per tutti coloro che aspirano a un mondo dominato dalla perfezione e dalla prestazione di eccellenza.
Penso che l’aspirazione a vivere alla pari, senza sconti e senza favori, sia davvero un’arma rivoluzionaria a disposizione del movimento delle persone con disabilità, che invece troppo spesso sembra accettare, subire in modo rassegnato, l’idea della separazione, della specializzazione, dell’intervento selettivo ed emarginante.
Penso che nel nostro futuro assisteremo ad ulteriori invasioni di campo, non solo nello sport, ma in tutte le attività umane, e che la disabilità potrebbe rappresentare una delle nuove cartine di tornasole per giudicare la qualità delle democrazie e dei livelli di welfare.
Penso che il razzismo oggi assume sembianze ambigue, sfumate, impercettibili, e spesso la disabilità è un terreno di coltura delle peggiori intolleranze, ma è anche un formidabile anticorpo contro la stupidità umana.
Penso che Pistorius sappia tutto questo, e con il suo sorriso abbia già vinto il suo personale Oscar.
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