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Pistoletto: l’arte povera di Michelangelo

E' uno degli artisti italiani più famosi nel mondo ed è presente in tutti i più importanti musei di arte contemporanea che si contendono i suoi "quadri specchianti"

di Redazione

E’ uno degli artisti più importanti del secondo dopoguerra. I suoi lavori sono nei migliori musei di arte contemporanea del mondo, da San Francisco a Berlino, da Seul a Barcellona, da Vienna ad Hannover. La Francia gli ha da poco dedicato una mostra a Lione, consacrandolo un genio dell’Arte Concettuale, mentre in Italia sono in corso rassegne sul suo lavoro a Città di Castello fino al 9 giugno, alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo fino al 3 giugno e in una sala permanente al Castello di Rivoli, alle porte di Torino. Michelangelo Pistoletto, classe 1933, è l’unico artista vivente in Europa ad avere costituito una Fondazione di diritto civile a suo nome, un laboratorio di idee e un luogo di creatività che non ha nulla a che spartire con i mausolei eretti in memoria del caro estinto.
Alla Fondazione Pistoletto di Biella di estinto infatti non c’è proprio nulla, nemmeno l’ideale (o utopia) di tornare a intendere l’arte come espressione di comunicazione con tutte le altre attività umane, dall’economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall’educazione al comportamento. In breve tutte le istanze del tessuto sociale. Ed è per saperne di più sul progetto di Arte al Centro di una trasformazione sociale responsabile che Vita ha incontrato il maestro.

Vita: Maestro Pistoletto, perché ha donato una sua installazione al futuro Museo di arte contemporanea di Sarajevo?
Pistoletto: Perché sono convinto che oggi l’arte non può non mettere la propria sensibilità nei luoghi più “caldi” del mondo. Solo in Israele e a Sarajevo, luoghi dove la differenza e la prossimità sono tanto evidenti da toccarsi quasi con mano, ho visto realizzata l’idea che è alla base del mio pensiero.
Vita: E cioè?
Pistoletto: Eliminare le distanze mantenendo le differenze. L’accumulo dei profitti come unico sistema di progresso dell’umanità va combattuto. Non deve esistere soltanto il profitto, anche il non profit deve essere inglobato nel sistema e l’artista può farlo mettendo a confronto, o meglio in connessione, gli opposti, il polo positivo e quello negativo.
Vita: Lei dice sempre che la civiltà è la combinazione dei poli opposti. Cosa significa questo per un artista?
Pistoletto: Nel mio lavoro ho sempre messo in risalto questo concetto. Quando iniziai a dipingere su superfici specchianti, negli anni Sessanta, volevo sottolineare proprio questo: che in uno specchio, come nella vita, non esiste un’immagine stabile, ma tutto è fluido, in movimento e in trasformazione. L’artista non è un isolato che esprime se stesso o una sua particolare maniera di sentire il mondo, ma è un individuo in mezzo agli altri.
Vita: Si ha la sensazione che l’arte, soprattutto quella contemporanea sia un fenomeno comprensibile a delle élite. Perché lei dice che invece l’arte riguarda la vita di tutti?
Pistoletto: Nel corso del Novecento comunismo e capitalismo hanno contribuito, partendo da poli opposti, all’annullamento delle identità. Oggi l’arte deve diventare il nucleo essenziale di ogni rapporto, sia sul piano della responsabilità che della spiritualità, che sul modo di intendere le regole. Penso all’arte come progetto di avvicinamento e congiunzione di tutto ciò che è reciso e spinto verso distanze contrapposte.
Vita: Chi può portare tale responsabilità?
Pistoletto: Chi oggi, per mestiere, è più libero, cioè l’artista. Perché più una persona è libera e più è responsabile. L’argomento è stato per me fondamentale fin dagli anni Cinquanta e da allora ho portato il mio lavoro verso un indirizzo di coscienza individuale e di responsabilità interpersonale.
Vita: Soltanto lei, però, di tutti i suoi compagni del movimento dell’Arte Povera, che fiorì a Torino negli anni di piombo, sembra aver proseguito con coerenza…
Pistoletto: L’artista del XXI secolo non sarà colui che crea oggetti da vendere o da comperare, ma colui che dialoga e interagisce con chi crea il sistema. Gli artisti dell’Arte Povera si sono fermati all’oggetto. Invece bisogna continuare a correre.
Vita: E quale è oggi la sua meta?
Pistoletto: Far crescere La Cittadellarte, l’Università delle Idee e la Fondazione Pistoletto. Nel 1997 abbiamo aperto un laboratorio il cui proposito è quello di raccogliere le pulsioni creative e metterle al centro della comunicazione tra i differenti soggetti del corpo sociale. Oggi ci lavorano quattro persone fisse e molti volontari. Nei quattro mesi estivi ospitiamo fino a venti giovani residenti che partecipano attivamente al programma culturale della Cittadellarte. La lingua ufficiale è l’inglese e al termine del corso viene consegnato un attestato di partecipazione. Il costo vivo per residente (vitto e alloggio) è di tre milioni, perché la Fondazione Pistoletto copre i rimanenti quindici milioni con borse di studio. Io avverto nella gente e nella società una forte necessità di punti di riferimento, sia morali che estetici. C’è bisogno di lavorare insieme per cambiare il mondo. Dare corpo all’utopia. Fare diventare luogo fisico il non luogo.
Vita: Come si articola il suo progetto di “Arte al Centro di una trasformazione sociale responsabile”?
Pistoletto: Vogliamo dare all’impegno creativo di ogni soggetto lo stesso peso che si dà a quello dell’artista. Il primo giugno inauguriamo a Biella una mostra con installazioni di artisti, filosofi, sociologi, ricercatori scientifici, produttori e industriali, imprenditori, fondazioni morali e umanitarie, istituzioni economiche e sociali.
Vita: Chi vi aiuta concretamente?
Pistoletto: Con la sponsorizzazione di Illy abbiamo realizzato una collezione di tazzine da caffè, mentre con Ermenegildo Zegna portiamo avanti un progetto per l’arte contemporanea e l’industria. Ma partecipano anche tanti altri.
Vita: Lei una volta ha detto che al centro del suo lavoro ci sono la libertà e la responsabilità. In che senso?
Pistoletto: Il mio lavoro vuole essere amplificatore di questi due termini. Perché una persona più è libera e più è responsabile. Un capo di Stato, un re, un papa, sono apparentemente più liberi di legiferare, però sono anche i più responsabili, mentre i “sudditi” potranno sempre dire, come gli imputati del processo di Norimberga «io non sono responsabile perché non ero libero».
Vita: E l’artista non è come loro…
Pistoletto: Se vuole l’artista può assumere, mettendosi fuori da tutti i sistemi, questo massimo grado di libertà, che automaticamente corrisponde a un massimo grado di responsabilità.

Sei regole d’oro
Come portare un quadro al cuore della vita

Nel catalogo della mostra in corso a Città di Castello Michelangelo Pistoletto ha pubblicato un suo decalogo pensato per l’artista di oggi. Eccone alcuni punti, legati al ruolo sociale di chi crea.

1.La responsabilità dell’arte è quella di fondare i nuovi principi di un’armonia che coinvolge l’estetica e l’etica comune; un’armonia in grado di ricondurre a una proporzione “classica” tutti gli elementi che compongono la struttura sociale.

2.L’arte è responsabilità di una nuova filosofia basata sull’incontro di poli opposti, come l’assoluto e il relativo. A questa filosofia corrisponde una diversa maniera di concepire la dinamica dei fenomeni così come l’immobilità fideista.

3.L’arte è l’espressione primaria della creatività umana e, di conseguenza, il riferimento costante di ogni attività culturale, economica e sociale.

4.L’artista deve essere ovunque, non soltanto nelle gallerie e nei musei; deve essere presente in tutte le attività possibili. L’artista deve essere lo sponsor del pensiero nelle diverse imprese umane, a tutti i livelli, da quelli operativi a quelli decisionali.

5.Parlando della mia attività personale, dopo che nel 1961 ho trasformato la pittura, cioè lo specchio metaforico, in una vera e propria superficie specchiante, le immagini dell’arte sono diventate “oggettive” e sono entrate nella vita.

6.Il quadro è uscito dalla cornice, la statua è scesa dal piedistallo. Da allora il mio lavoro, cioè l’atto estetico, ha cominciato a penetrare negli §spazi della vita stessa.
Non si tratta di un esercizio multimediale destinato a concludersi dopo un breve lasso di tempo, ma piuttosto del lavoro su una prospettiva a 360 gradi destinata ad un lungo sviluppo e aperta al divenire.

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