Persone

Pino Rosati, l’artista basagliano che ha saputo ridare vita agli scarti di Trieste

È morto ieri mattina il presidente e direttore artistico della sartoria sociale Lister, realtà che ha saputo raccogliere l'eredità di Basaglia nell'ex ospedale psichiatrico di San Giovanni. Noi di VITA l'avevamo incontrato per il numero di marzo, proprio nel laboratorio che non ha mai lasciato nonostante la lunga malattia

di Veronica Rossi

Si è spenta ieri mattina una delle persone che animava l’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni a Trieste, uno dei protagonisti della storia di cambiamento che abbiamo raccontato col numero di marzo di VITA magazine, dedicato a Franco Basaglia e a quanto è rimasto della sua eredità. Pino Rosati era un artista, un imprenditore sociale e un innovatore, che abbiamo avuto il piacere di incontrare e intervistare nel cuore della sartoria sociale Lister, di cui era presidente e direttore artistico e a cui si è dedicato fino all’ultimo, nonostante la malattia che gli aveva fatto perdere la funzionalità delle gambe e, in gran parte, quella delle braccia.

Ci aveva mostrato con orgoglio le borse, gli astucci, gli zaini e tutti quegli oggetti che uscivano dal laboratorio e che ogni mattina coloravano il corridoio al piano terra del padiglione M di San Giovanni, dove un tempo c’erano le internate “tranquille” e ora convivono tante associazioni e realtà dell’innovazione sociale. «La sera, quando mettiamo via gli espositori, il corridoio sembra di nuovo un normale corridoio d’ospedale», ci aveva detto. «La mattina restituiamo un mondo di colore a questo posto, quando portiamo fuori gli astucci, gli zaini e gli stand. È un rituale che quotidianamente compiamo, per contribuire a sottolineare il significato di San Giovanni con la quotidianità delle nostre vite».

La cooperativa Lister, fin dal primo decennio degli anni 2000, riutilizza gli scarti della città per produrre dei veri e propri capolavori di arte sartoriale, dando allo stesso tempo opportunità di lavoro per persone in condizione di svantaggio. Il nome di questa realtà – erede dello spirito basagliano – è un anagramma della parola “Terlis”, che è il modo in cui in triestino sono chiamate le tute da lavoro. Un ricordo degli inizi dell’impresa, che ha mosso alcuni dei suoi primi passi nel quartiere cittadino di Valmaura, luogo in cui c’era la “Ferriera”, stabilimento che ha creato a lungo problemi di salute e di inquinamento ai cittadini. «Un elemento che rappresenta quei luoghi è l’uniforme, esaltazione della società di massa», ci aveva raccontato Rosati. «Abbiamo però ribaltato l’idea dell’omologazione, spiegando che invece di togliere l’identità l’uniforme la attribuisce perché dà valore al volto della persona. Abbiamo iniziato a spostare l’attenzione su quest’ultima e sulla sartoria come modo di muoversi in contesti e memorie che la comunità triestina ci offre. Abbiamo anche immaginato un laboratorio capace di coinvolgere la gente, non solo di saper prendere le misure del giro vita o delle spalle, ma anche prendere le misure nel senso di incontrare e di calarsi nelle altrui storie per seguire un nostro percorso».

L'internodi un laboratorio, con finestre e tessuti

L’anno successivo, Lister entrò in un altro contesto difficile: un asilo, stavolta nel quartiere di San Giacomo, in cui c’era stato un incendio doloso, che aveva colpito in maniera particolare la sezione slovena. «Creammo i costumi e le scene per una fiaba, che servisse ai bambini per rielaborare quel fatto delittuoso», ci aveva spiegato. In sei mesi l’asilo è stato rimesso a nuovo ed è stato riaperto con una grande inaugurazione. «Questo segnò il nostro percorso e ancora oggi, in altre maniere, ci troviamo a ripercorrere e ribadire il gioco, nel coinvolgere le persone a portarci i loro materiali di scarto e a mostrare come questi materiali possono essere rielaborati», aveva continuato Rosati, «ed è questo che ci ha contraddistinto».

E la predisposizione all’incontro si vedeva eccome, nel laboratorio in cui lavoravano Rosati e i suoi collaboratori – la cooperativa riesce a impiegare sei dipendenti a tempo indeterminato e a ospitare persone in borsa lavoro –, in cui siamo stati accolti da sorrisi e disponibilità al racconto, ma anche all’ascolto. Lister ha rapporti non solo con privati, ma anche con enti di diverso tipo, di cui smaltisce, per esempio, i vecchi banner, che diventano borse e borsette.

«Molto onestamente ho ritenuto importante arricchire la figura del sarto con altre capacità e competenze, quella di confronto, dialogo e incontro con situazioni diverse», aveva concluso la chiacchierata Rosati, «Il Comune ha anche donato i nostri lavori con le cravatte riutilizzate durante un viaggio a Graz, in Austria, proprio come se fossero pezzi di vita degli abitanti stessi della città. Non è il ferro della vittoria o la cattedrale di San Giusto: sono prodotti che nascono dall’operosità dei triestini e questo teniamo a sottolinearlo; rimane la nostra capacità di coinvolgere e di essere noi stessi trasformati e plasmati da tutte le richieste, le voglie i desideri, l’anima delle persone. Non ci si crede, ma è proprio così».

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