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Pigni (Sacra Famiglia): «Pensiamo subito al futuro delle strutture per disabili e anziani»

Il mondo delle residenze per anziani e disabili riguarda centinaia di migliaia di persone fragili. C’è un tema di operatività immediata, di sicurezza e formazione degli operatori ma anche si sostenibilità economica delle strutture stesse

di Marco Dotti

«Stiamo facendo ogni sforzo per tenere il virus fuori dalla porta», spiega il Paolo Pigni Direttore Generale della Sacra Famiglia, una delle più importanti strutture del welfare lombardo. Ma lo sforzo è immane.

«Stiamo istruendo i nostri dipendenti e adeguando la struttura per continuare ad assistere migliaia di persone fragili. Ci atteniamo scrupolosamente a tutte le disposizioni che arrivano dalle istituzioni e abbiamo chiuso tutto ai parenti ai volontari: dall’esterno non arriva nessuno». Al tempo stesso, racconta, «stiamo rivoluzionando parecchi reparti per creare aree di isolamento, in caso dovessero servire». Il problema, oggi, si presenta in tutte le strutture della Lombardia, regione dove più grande il rischio di contagio.

A che punto siamo per quanto riguarda le residenze?
Il problema più grosso riguarda le RSA, che occupano 60mila posti soltanto in Lombardia. Ma per quanto riguarda Sacra Famiglia, c’è un tema di residenze socio sanitarie per disabili, le RSD.

Gli ospiti di una RSD richiedono attenzioni particolari…
Prenda il caso di persone con disturbi di comportamento, la cui gestione anche nella fase meno aggressiva del Coronavirus è impegnativa. Mettere in isolamento un giovane autistico non è uno scherzo. Per cui dobbiamo accendere anche un faro su questo mondo, perché i media giustamente parlano di RSA e anziani, ma non dobbiamo dimenticarci dei disabili.

A parte le mascherine e i presidi protettivi, qual è dunque il problema?
Ci sono tre aree in cui questa battaglia si sta combattendo. La principale è quella legata al mondo ospedaliero. Poi c’è un mondo domiciliare, gente che è a casa e viene assistita. E c’è, poi, una terza area enorme che è il mondo delle residenze per anziani e disabili. Un mondo che riguarda centinaia di migliaia di persone fragili che vivono in posti dove non possono valere le medesime regole che valgono in casa, servono approcci diversi e più strutturati. Il tema è che per condurre questi approcci strutturati servono risorse sanitarie dedicate (tutto il tema dei presidii, e non parliamo solo di mascherine chirurgiche ma di tutta la filiera della protezione) e serve personale…

Che cosa sta accadendo al personale?
Comincia a essere affaticato, in certi casi malato. Oltretutto gli Ospedali stanno assumendo e nelle RSA e nelle RSD serve personale sanitario…

Cosa comporta questo?
In questa fase servono infermieri, non solo educatori. Gli infermieri, ovviamente, ci sono sempre stati ma in questa fase l’impatto sanitario è diversissimo rispetto a quello di due mesi fa. Andando allora al cuore del problema: dobbiamo prendere in mano in maniera strutturata questo problema, dedicando risorse specifiche e una specifica unità di crisi al tema delle fragilità.

Considerando i tempi lunghi e difficili che ci attendono, la partita nelle RSA e nelle RSD andrà gestita con estrema attenzione. Dico questo senza spirito di polemica, ho massima fiducia nelle autorità lombarde.

Una visione strategica serve proprio per uscire da logiche apocalittiche…
Credo che realtà come le nostre sono disponibili a dare il proprio contributo in termini di competenza e conoscenza per organizzarsi. Una cosa però deve essere chiara: l’azione regionale non può concretizzarsi in una serie di tabelle da riempire…

Il grande tema della burocrazia, che affiora da più parti, rischia di essere un ostacolo dunque?
Ora più che mai. Non dobbiamo creare burocrazia, servono azioni di coordinamento che abbiano tutto un aspetto di raccolta dati ma che poi diano dei riscontri in termini di operatività: presidii che arrivano, soldi che vengono riconosciuti e messi a disposizione di competenze professionali. Se invece ci limitiamo alla modulistica, finiamo male.

Le strutture del welfare lombardo, oggi, sono tutte sotto pressione…
Non oso immaginare cosa stia accadendo in una piccola RSA da cinquanta, sessanta posti, che ha una strutturazione del lavoro legata alla vita quotidiana, un bilancio che è quello che è e un cash flow che si riduce. Si trovano sicuramente in condizioni di affaticamento economico pesantissimo, con il personale che arranca… Tutti sperano che non capiti loro un caso.

Anche perché la gestione di un caso positivo in un piccola RSA o in una RSD è doppiamente drammatico perché si lega all’impossibilità di ricoverare in Ospedale alcune persone problematiche…
Per questo dobbiamo pensare ora come agire e intervenire affinché le strutture non diventino focolai. I casi vanno gestiti lì, ma con le risorse personali, l’operatività e una formazione nuova.

La formazione del personale è un tema di cui si parla poco…
Invece è fondamentale. Serve subito investire in competenze, affinché le persone che non riusciamo a portare in Ospedale possano essere gestite nelle strutture che non solo abbiano mascherine o presidii, ma sappiano gestirli al meglio. Ma anche qui: non basta scaricare il problema stilando una circolare in cui si dice “fate formazione”.

Cerchiamo di fare tutto il possibile, ma in situazione di questo tipo servono idee creative. Ad esempio una piccola e agile unità di crisi, accanto alle unità di crisi già formate, in tal senso sarebbe utile alle realtà dele RSA e delle RSD.

Agilità, oggi, è sinonimo di efficacia…
Lo ripeto per l’ennesima volta: non ci servono sovrastrutture burocratiche, ma unità agili che diano quelle risposte che oggi chiediamo.

Voi avete avuto casi?
Abbiamo avuto un caso di positività in una nostra struttura a Perledo, sul lago di Lecco. Stiamo cercando di fare il possibile. Alcuni ospiti sono positivi e stanno reagendo bene, per cui si può anche evitare che la situazione precipiti.

Vorrei passasse questo messaggio: non è una battaglia persa in partenza, ma è una battaglia da combattere. Non dobbiamo dire “tanto sono disabili fragili” o “sono tutti anziani”, no! Servono attenzioni e cure e se ne può uscire importante, dunque. Per questo è importante alzare i riflettori, ora, su quest’area. In tutta Italia, ricordando che questa battaglia non si combatte a costo zero.

Il tema dei costi è da portare all’attenzione di tutti…
Realtà come la nostra stanno perdendo centinaia di migliaia di euro perché ci sono costi aggiuntivi e ricavi che vengono meno. Sono problemi che vanno affrontati perché sul breve dobbiamo garantire a tutti un po’ di cassa, ma poi non possiamo affidare tutto al caso altrimenti avremo, oltre alle morti, decine di strutture e cooperative che andranno in default.

L’operatività è il primo punto, ma dobbiamo ricordarci dell’aspetto economico: per molte strutture c’è un tema di liquidità di cassa, un tema di pagamenti, un tema di fragilità economiche che potrebbe anche mettere in crisi i rapporti con i fornitori.

Nei vostri contesti, però, sul piano operativo, oggi, c’è una grande tenuta…
Tutti stanno tenendo botta sul piano psicologico, stanno gestendo situazioni di isolamento totale dalle famiglie che, oramai, vanno avanti da un mese… Pensi a cosa vuol dire per disabili gravi o per anziani non poter vedere i propri parenti o i volontari. Il carico emotivo che c’è su tutti i dipendenti, in questo periodo è enorme. Sono persone che fanno un lavoro dove il livello di rischio è certamente maggiore rispetto ad altri contesti lavorativi… A loro va il grazie di tutto il Paese. Ma oltre al “grazie”, bisogna cominciare a pensare al loro e al nostro futuro. Per questo serve un’attenzione specifica al mondo delle RSA e alle RSD.

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