Cultura

Piero Gheddo: lettera aperta ai new global

Dibattiti. Due grandi missionari a confronto. A Milano il 24 il confronto tra Gheddo e Zanotelli. Vita in edicola anticipa i contenuti di quel “duello”. Un'anteprima per voi

di Piero Gheddo

(?) La globalizzazione è il mondo spaccato in due fra chi ha e chi non ha: quindi più se ne parla meglio è, per creare una coscienza nell?opinione pubblica. (?) Quindi, protestare contro le multinazionali, le banche, il Fmi e il Wto, serve poco, anzi può essere un alibi personale: uno protesta e ci si sente a posto; e può risultare illusorio per le élites dei Paesi poveri, le allontana dai veri problemi che sono interni ben prima che esterni. Ma fin che non cambia la nostra società, impostata su regole egoistiche, le cose vanno avanti così. E questo vale non solo per i ?capitalisti?, i ?banchieri? e i ?dirigenti delle multinazionali?, ma per tutti noi, compresi i giovani di buona volontà che a Genova protestavano contro i G8 e non, ad esempio, contro le discoteche, contro le mode correnti di consumismo sprecone, le tv e i giornali che ignorano i popoli poveri, le scuole che non aprono la mente e il cuore dei giovani a capire il diverso, partiti e sindacati che pensano più a quelli che sono organizzati e già hanno, che a quelli che non hanno, ecc. Ma commuoversi ed indignarsi non basta. Ecco in sintesi quel che penso: 1) Per poter aiutare veramente i poveri, non basta commuoversi di fronte a un popolo che muore di fame o vive in estrema miseria. Mi sono commosso anch?io, visitando decine e decine di baraccopoli in ogni continente e di regioni devastate dalla carestia, dalla siccità, dalla guerra, dal colera e dall?Aids: è bene commuoversi, ma non basta. Bisogna rispondere lucidamente alla domanda: cosa fare? Risposta non facile perchè il sottosviluppo è fenomeno molto complesso, che coinvolge anche storia e cultura di un popolo. Bisogna rendersi conto dell?estrema difficoltà di colmare l?abisso fra ricchi e poveri. Non esistono ricette semplici: altrimenti ci si illude, si fa la ?rivoluzione? per distruggere ?il sistema?, ?l?impero? (come dice l?amico Zanotelli), e si va incontro al fallimento. La vera rivoluzione è quella delle coscienze: anche ai new global cattolici serve più Vangelo e nessun schemino ideologico. 2) Il mondo ricco si è accorto di quello povero circa 40 anni fa (nel 1960 la prima campagna contro la fame) e ancora non s?è trovata la risposta alla domanda: cosa fare? Si mandano soldi e macchine: ci vogliono, ma se non sanno usarli non producono sviluppo (“Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi”, Redemptoris Missio, n. 58). Abbiamo favorito le rivolte contro l?Occidente e le multinazionali, ma i Paesi che si sono ?liberati? e isolati dal libero mercato non vanno avanti ma indietro. C?erano 31 Paesi a regime comunista nel mondo (una dozzina in Africa), sono falliti tutti: Mao, Ho Chi Minh e il Vietnam, i Khmer rossi, Fidel Castro, Che Guevara, Samora Machel, Menghistu, Sekù Turé, ecc. Quando negli anni 60 e 70 ero uno dei pochissimi in Italia che, andando a vedere nelle zone ?liberate?, dicevo: “guardate che i comunisti vietnamiti e cambogiani non sono in nessun modo liberatori del popolo, ma peggiori oppressori”, tutti mi saltavano addosso (compresa non poca stampa cattolica e missionaria): ero qualificato come “finanziato dalla Cia” (L?Unità), adesso parecchi sono disposti a riconoscere che quel che dicevo era vero. Grazie, ma perché allora molti chiudevano gli occhi di fronte alla realtà, per seguire facili letture ideologiche secondo la moda corrente? Non si rischia anche oggi di ripetere lo stesso errore? 3) Cosa fare? Rispettare la verità anzitutto: non si aiutano i poveri con la menzogna. È errato dire: “loro sono poveri perchè noi siamo ricchi”. Il progresso dell?Occidente ha ben altre origini che la colonizzazione e lo sfruttamento delle materie prime (ne possiamo parlare un?altra volta)! Quando si dice: il 20% della popolazione mondiale accaparra l?80% delle ricchezze, si bara con le parole. Bisogna dire: “produce” l?80% delle ricchezze! La ricchezza non è una torta già fatta da distribuire, ma una torta da produrre. Un antico proverbio cinese dice: “se vedi un uomo affamato, non dargli un pesce, ma insegnagli a pescare”. Premesso che se uno ha fame bisogna aiutarlo subito, la miseria dei popoli dipende soprattutto dalla scarsa educazione a produrre ricchezza e dalle troppe guerre e instabilità politiche. A Vercelli produciamo 70-75 quintali di riso l?ettaro (in Sardegna 80-85 perché fa più caldo). Nell?agricoltura tradizionale africana ne producono 4-5 l?ettaro! Le vacche italiane producono 25-30 litri di latte al giorno, quelle africane non producono latte, solo un litro quando hanno il vitello. Lo stesso per le industrie moderne che in Africa producono poco o nulla. Chi ha girato le capitali africane, può raccontare quante decine di fabbriche sono ferme o producono al 10-20% delle possibilità (ecco una delle radici del debito estero!). L?Africa nera importa il 30% del cibo che consuma: com?è possibile che vada avanti un continente che non produce nemmeno per sopravvivere? Nel 1960 l?Africa esportava cibo perchè aveva 280 milioni di abitanti; oggi è vicina agli 800 milioni e quel che produce non basta nemmeno per la sopravvivenza! I governi africani danno il 30-35% dei bilanci nazionali alle forze armate, il 2% alla scuola e l?1,5% alla sanità: perchè i new global cattolici non protestano? 4) Prendiamo coscienza che il problema primo dell?Africa nera sono le condizioni interne: l?educazione del popolo, la stabilità politica, la pace e la libertà democratica ed economica che permettano di produrre per mantenere e assistere sanitariamente e scolasticamente la popolazione. La soluzione? L?istruzione almeno elementare (Africa nera: 50% di analfabeti uomini e 75% donne), l?educazione alle tecniche moderne, dei governi che siano anzitutto preoccupati del bene dei loro popoli! Abbiamo demonizzato Mobutu, ma quanti Mobutu ha avuto e ha l?Africa nera? Dopo Mobutu è venuto Kabila che forse era peggio di lui: d?altra parte, con un popolo non istruito, senza stampa libera e senza sindacati né associazioni di base, è possibile avere governanti onesti o questi sono l?eccezione? Io cito sempre l?India, Paese che conosco bene perchè ci lavora il Pime da 147 anni. I governanti indiani, fin dall?inizio (con Nehru), hanno puntato sull?educazione del popolo, la democrazia, l?assistenza alle zone rurali, portando strade, scuola, sanità, mercati ovunque. I risultati si vedono: l?India, estesa meno di Etiopia e Sudan assieme, con un miliardo di abitanti, esporta cibo (in Medio Oriente, nell?Africa orientale e persino in Russia), mentre Etiopia e Sudan (80 milioni di abitanti) sono alla fame! L?India ha ancora enormi problemi, ma visitandone le campagne si vede un Paese che ?cammina in avanti?! Perché l?India riesce e l?Africa nera no? Non mi si venga a dire che le multinazionali penalizzano l?Africa nera e aiutano l?India… Il motivo è facile da capire: l?India ha avuto governi interessati al popolo, controllati e gettati giù nelle elezioni (come successe con Indira Gandhi nel 1977) da un popolo libero, democratico, abituato a discutere e votare: l?Africa no. 4) Noi cosa dobbiamo fare? (?) 5) Recuperare una certa austerità di vita, per essere veramente fratelli dei poveri. (?) 6) Domandafinale: perchè i new global cattolici, nel discutere dell?aiuto allo sviluppo, non parlano mai della risposta che i missionari sul campo danno al sottosviluppo? Perché prevale nella loro mentalità non la proposta in positivo, ma la protesta. Contro l?Occidente, beninteso. Nessuno ha mai protestato contro Samora Machel (anzi era accolto come un salvatore a Roma!), che distruggeva il Mozambico portandovi i kholkoz sovietici, già falliti nella madrepatria! Nella Valle del Limpopo i missionari italiani mi dicevano: in questa valle fertilissima si produceva riso per tutto il Paese e ne esportavamo in Sud Africa; poi sono venuti i maestri sovietici e oggi importiamo riso… Giovanni Paolo II scrive nella Redemptoris Missio: “Oggi i missionari, più che in passato, sono riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi ed esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi” (n. 58). Se vogliamo davvero aiutare i popoli poveri, andiamo un po? a scuola dei missionari che producono sviluppo annunziando il Vangelo, educando ed elevando il popolo. La missione della Chiesa è di annunziare e testimoniare Gesù Cristo, unico salvatore dell?uomo e dell?umanità. Lo sviluppo dell?uomo viene da Dio e da Cristo (Gaudium et Spes, 42-45; Populorum Progressio, 14-21, 40-42, 79; Redemptoris Missio, 58-59). L?opera missionaria ha bisogno di uomini e donne che consacrino la vita per educare e lasciarsi educare, condividere, gettare ponti fra Nord e Sud del mondo. Ai new global cattolici dico: ammiro le vostre buone intenzioni, la vostra passione, i sacrifici che fate per andare a dimostrare a Genova o altrove; ma oltre alla protesta, cosa siete disposti a fare di positivo per i poveri? Rinunziare al vostro superfluo? Donare qualche anno della vostra vita per andare a convivere e aiutare i poveri? Oppure anche, e sarebbe il massimo, donare tutti voi stessi a Gesù Cristo e alla missione della Chiesa? il testo completo dell’intervento di Gheddo e di quello di Zanotelli su Vita magazine in edicola


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