Non profit

Piccolo non è bello Si chiama crescita la sfida del futuro

Cronache dal congresso

di Luca Zanfei

Sottodimensionate. E troppo dipendenti dal pubblico. La diagnosi sulle coop sociali non lascia scampo: serve un nuovo modello di rete Forse ci voleva tutto il pragmatismo emiliano per sfatare il mito del «piccolo è bello». Così per Paola Menetti il congresso di Legacoopsociali è stato l’occasione per dire quello che in molti già pensavano. «Oltre il 60% delle nostre associate non supera il milione di euro», ha sentenziato nel suo intervento al congresso di Roma. «Se finora tale caratteristica ci ha permesso di intercettare meglio i bisogni, oggi può diventare un freno allo sviluppo».
In altre parole, il rischio è quello di dover ancora rimanere ancorati agli appalti pubblici, «dobbiamo invece rivedere il disegno di governance interna e parallelamente reimpostare nuovi percorsi di rete che da una parte, superino la concezione dei consorzi come meri contenitori, dall’altra sviluppino veri e propri accordi intersettoriali». In ballo c’è la stessa credibilità della cooperazione, chiamata a dare forma a quel concetto di sussidiarietà ribadito anche al congresso dallo stesso ministro del Welfare, quale «fondamento di un nuovo modello sociale». La sfida allora si trasferisce sul territorio, vero e proprio scenario di un possibile cambiamento strategico. Ed è proprio dalle esperienze di quelle cooperative strettamente legate alla realtà locale, che si capisce la profondità del problema.
«Più si è piccoli e meno si ha forza contrattuale», spiega Roberto Calassi, vice presidente di una piccola cooperativa torinese, che al congresso c’è andato proprio per conoscere le nuove strategie nazionali. «Il risultato è una dipendenza totale dalle istituzioni che spesso non riconoscono il valore pubblico e sociale della cooperazione, relegandola a un ruolo residuale. Allora o si tenta di aggredire il mercato, ma spesso mancano gli strumenti, o si fa affidamento sulle reti consortili». Ma è proprio qui l’anomalia accennata dalla Menetti e denunciata chiaramente anche da chi sta vivendo il cambiamento, pur da una posizione privilegiata come quella dell’Emilia Romagna. «I consorzi spesso non sono altro che dei semplici contenitori utili solo per partecipare alle gare di appalto», spiega Carlo Possa, responsabile Comunicazione per Legacoop Emilia e consigliere della cooperativa Il Ginepro. «Per Legacoop la rete consortile è sempre stata intesa come strumento di crescita della singola cooperativa, ma con l’andar del tempo questa concezione ha prodotto una distorsione del modello». A calcare la mano ci pensa Marco Pomponi, dirigente del consorzio laziale Coin e tra i trecento delegati eletti durante il congresso. «I consorzi», aggiunge, «stanno lentamente perdendo la loro antica funzione di indirizzo valoriale e strategico. Oggi non c’è più quel riferimento diretto con le cooperative e questo problema si rileva anche a livello nazionale. Non si spiega altrimenti l’immobilismo di Drom, nato come opportunità di coordinamento e indirizzo di tutte le realtà consortili e svuotato di ogni significato».
Così ritorna di attualità l’idea, non proprio nuova per la verità, di una collaborazione intersettoriale. Propugnata da sempre come svolta strategica, di fatto l’idea ha avuto una vera applicazione pratica solo con l’accordo del 2007 tra Fimiv e Legacoopsociali, nell’ambito dei fondi integrativi regionali. Adesso sembra proprio l’integrazione socio-sanitaria uno dei settori a maggior valenza strategica per l’associazione. «La collaborazione con le cooperative di medici potrebbe aprire nuovi spazi di mercato», afferma Luca Sorrentino, dirigente del consorzio Gesco e nuovo delegato eletto. «Ma purtroppo abbiamo lessici diversi e non basta stilare protocolli di intesa per risolvere il problema. Il primo passo deve essere invece quello di conoscere le caratteristiche dei diversi settori per poi avviare una relazione operativa diretta a capire quel che può essere il prodotto comune da offrire. E non si può partire dal generico benessere della collettività».


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