Bio, bio e ancora bio. Sembra essere questo l?imperativo categorico suggerito al consumatore del terzo millennio da campagne pubblicitarie sempre più convincenti e mirate a guidare il carrello della spesa. Ed il goloso medio, sempre più preoccupato dall?evolversi dello scenario alimentare del pianeta, non può fare altro che investire i fondi destinati al palato in beni sicuri come i prodotti biologici.
Nel piatto come nel bicchiere. Così negli ultimi anni il panorama enoico nazionale ha visto moltiplicarsi le aziende che si sono convertite alla viticoltura bio: se nel 1993 si contavano 3800 ettari destinati a un consumo di nicchia, solo cinque anni più tardi la superficie nazionale ne vantava il quadruplo; in modo analogo si è passati dai 270mila ettolitri di vino prodotto nel 1993 a quasi un milione nel breve volgere di un lustro. In questo mare magnum di ettolitri biologicamente corretti è indispensabile allora farsi guidare. Così fanno capolino sul mercato editoriale le prime pubblicazioni ad hoc, come quella firmata dal critico gastronomico Antonio Attorre ed edita da Tecniche Nuove. La Guida ai vini biologici d?Italia 2001, giunta alla quinta edizione, contiene le schede di 140 aziende, circa 600 vini segnalati e ben 235 etichette commentate e giudicate, dalle quali è emersa una graduatoria dei migliori vini degustati.
Il fatto curioso è che questi vini, mancando una regolamentazione precisa in merito alle tecniche di trasformazione, non possono fregiarsi della denominazione biologico. In etichetta recano infatti la dicitura ?vino ottenuto da uve provenienti da agricoltura biologica?, in attesa di una legislazione comunitaria sul delicato tema della vinificazione. Pochi mesi or sono a ?Biobacchus? – la rassegna internazionale del settore – sono stati presentati gli eccellenti risultati della sperimentazione condotta in parallelo nel nostro Paese e in Grecia su quelli che, ci si augura il prima possibile, possano essere veramente chiamati vini biologici. In vigna come in cantina.
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