Controesodo
Piccoli comuni, una nuova narrazione non basta
Insediata la nuova Consulta nazionale di Anci. «Siamo la soluzione e non il problema di questa Italia che si spopola», ci dice il neo coordinatore, Alessandro Santoni. Ma nell'agenda del nuovo organismo sembrano mancare alcune politiche di comunità che, invece, potrebbero fare la differenza
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Aree interne e piccoli comuni, si riparte da un coordinamento condiviso e da una mappa che qualche tempo fa pur era stata abbozzata e che aveva un nome-programma: l’AgendaControesodo, nata nel 2017 dopo le parole pronunciate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’Assemblea annuale dei piccoli comuni dell’Anci-Associazione nazionale comuni italiani
La definirono come un sistema per attuare “Nuovi assetti e politiche per il sistema locale” perché, come sottolineato da Mattarella «Il tema delle aree interne e dei piccoli Comuni, che amministrano oltre il 50% del territorio nazionale, con 10 milioni di abitanti e un patrimonio ambientale, produttivo, culturale di valore inestimabile, è decisivo per l’intero Paese. Tremila Comuni sono sostanzialmente disabitati. Molti altri lo sono scarsamente. Territori non più presidiati. Aree non più coltivate o comunque non utilizzate, destinate a diventare da risorsa un problema. Lo Stato appare in ritirata da questi territori dove non si produce più ricchezza e, dunque, la gente non può più vivere. Sono questioni non superabili con misure di mero riordino amministrativo. Si tratta di una grande questione nazionale di cui occorre prendere maggiore coscienza per attivare conseguenti politiche domestiche ed europee. Il nostro Paese non sarebbe più se stesso senza questi beni».
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In seguito, causa una vicenda giudiziaria che ha coinvolto l’allora coordinatore della Consulta piccoli comuni, dimessosi dal quel ruolo strategico in Anci e mai sostituito, l’organismo dei piccoli Comuni ha rallentato le proprie attività fino al gennaio 2025, quando si è insediata la nuova Consulta nazionale dei piccoli comuni, coordinatore Alessandro Santoni, sindaco di San Benedetto Val di Sambro, che abbiamo sentito.
Sindaco Santoni, da dove ripartire per colmare questo vuoto?
In questo lavoro non partiamo da zero, grazie al lavoro fatto da Anci nazionale all’interno del percorso denominato “Agendacontroesodo”, che andrà opportunamente ripreso con gli aggiustamenti e le integrazioni che matureranno nel corso di questi anni. Nell’immediato, e per essere fin da subito operativi, due sono gli aspetti condivisi: il primo di tipo metodologico riguardante le modalità di lavoro, che partiranno con la definizione degli obiettivi e la conseguente identificazione delle strategie per raggiungerli. Il secondo più urgente riguardante la necessità di affrontare il problema della mancata riproposizione all’interno del bilancio dello stato delle risorse destinate ad investimenti per i Comuni sotto i mille abitanti. Abbiamo concordato che questa debba essere la priorità di questa nuova Consulta.
Ci dica i tre punti fondamentali per la nuova roadmap sui piccoli Comuni, sindaco Santoni
In generale, penso che vi siano tre aspetti imprescindibili che ci dovranno accompagnare in questi anni: il primo è quello legato alla necessità di far comprendere a tutti i livelli istituzionali che i piccoli comuni sono una risorsa per il sistema Italia, e come tali non devono esse percepiti come un problema, bensì come la soluzione alle diverse necessità che interessano il nostro paese e le grandi città, per questo devono da tutti essere considerati una opportunità.
Il secondo riguarda la necessità di adottare politiche strutturali condivise e coerenti e non di azioni sperimentali, spesso incoerenti, tra le Regioni.
Il terzo, la necessità di raccontare, di far conoscere i piccoli, la loro vitalità e le opportunità che possono riservare a giovani, famiglie, lavoratori e turisti, una comunicazione da indirizzare soprattutto alle tante, troppe, persone che purtroppo per loro ancora oggi non conoscono a fondo questi territori e, di conseguenza, ancor meno percepiscono le opportunità che gli stessi sono in grado di offrire in termini di qualità della vita.
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Sembra un cambio di paradigma non facile, sinceramente…
E invece noi siamo impegnati proprio su questo rovesciamento: noi “piccoli” non siamo il problema, ma la soluzione e la risorsa. Dobbiamo convincere chi collabora con noi che il problema non è “salvare i piccoli comuni” e quindi “allungarne l’agonia”, ma che il vero problema sta nelle grandi città per le quali i piccoli comuni possono rappresentare un’opportunità per risollevarsi. Pensi solo al problema casa, al problema del benessere esistenziale complessivo che molte persone trovano nei piccoli e non nei grandi centri e questo vale per le famiglie, per i turisti, per gli studenti.
E come procederete?
Abbiamo individuato un periodo medio-lungo nel quale mettere in campo azioni strutturate, le politiche spot non servono, si devono coinvolgere tutti i territori. Dalla città non arriva nessuno perché noi non raccontiamo chi siamo e cosa troviamo nei piccoli comuni: le persone non sanno che ci sono treni, autostrade, luca, gas, acqua, imprese, fibra, appartamenti vuoti a costi convenienti. In questo processo abbiamo condiviso un concetto fondamentale che ha sempre caratterizzato la mia attività amministrativa: far comprendere la strategicità dei territori che rappresentiamo in modo che possano essere percepiti come una risorsa, riportando al centro del dibattito pubblico il potenziale dei piccoli Comuni anche delle aree interne, stimolando soluzioni concrete e pratiche attraverso una serie di proposte strategiche.
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Per frenare lo spopolamento non pensa che si dovrebbero meglio strutturare anche politiche di partecipazione democratica soprattutto da parte dei giovani? Cooperazione di comunità, amministrazione condivisa dei beni pubblici, ad esempio. Ne state parlando?
Non è in agenda, questi processi presuppongono che un piccolo Comune abbia una struttura amministrativa idonea che li segua, non si può fare amministrazione condivisa solo con un sindaco. Abbiamo bisogno di avere in organico personale che attivi i processi ai quali lei fa riferimento. Io, ad esempio, nel mio Comune ho due persone, una segue la scuola e l’altra fa tutto il resto: come potrei chiedere di seguire nuovi procedimenti che richiedono dedizione e impegno e di essere presidiati costantemente.
Quindi è d’accordo che il cambio totale di paradigma passato sarà difficile?
In questo sarebbe fondamentale il ruolo delle province-città metropolitane: potrebbero fare questo per tutti i piccoli comuni delle aree interne o montane che non riescono a farcela da soli. Dobbiamo ragionare nell’ottica di sistema, basta fare le perle nere o i casi eccezionali: dobbiamo lavorare di sistema e non per singole eccezioni.
in copertina: un particolare del Parco Regionale Fluviale del Nera foto Gabriella D. Giorgione
le altre foto sono concesse da Alessandro Santoni
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