Famiglia

Piccoli brividi dopo il Tg.

“C’era una volta” è il titolo della serie firmata da Silvestro Montanaro dedicata alle tragedie dell’infanzia sfruttata. Brutte favole a cui solo gli spettatori potranno dare un lieto fine.

di A. Capannini

C?era una volta Samira, bimba del Mali costretta a subire la mutilazione genitale. E poi Gerardo, dodicenne senza genitori che vive con sei fratellini a Malanje, in Angola, dove ogni giorno dieci persone muoiono di fame. E migliaia di bambini come loro che, dal Libano alla Sierra Leone, da San Paolo a Torino, al nuovo Millennio si affacciano imbracciando un fucile, dalla tenda di un campo profughi, lavorando invece di andare a scuola o prostituendosi. Migliaia di storie tristi, insomma. Di quelle non adatte ai bambini, che ti fanno cambiare canale e che Rai Tre, da lunedì quattro ottobre, manda in onda per cinquanta minuti in prima serata.
Puro autolesionismo anti auditel? «No. Un bilancio delle speranze che, a dieci anni dalla caduta del muro di Berlino, sono state deluse», spiega Silvestro Montanaro. Che insieme a Pier Giuseppe Murgia è l?autore dei sedici documentari trasmessi dalla Rai. E dopo aver realizzato trasmissioni come ?Samarcanda?, ?Tempo Reale? e ?Drug Stories? e inchieste sociali per cui quest?anno si è aggiudicato il premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi, i muri che ancora restano da abbattere ha scelto di guardarli e raccontarli ad altezza di bambino. Da dove il mondo non è sempre bello, ma la voglia di viverlo e l?attaccamento alla vita incommensurabili, racconta Montanaro pensando alle storie di bambini che nonostante la tecnologia e il villaggio globale non partecipano al diritto alla vita di base. Storie raccontate dagli stessi protagonisti e intitolate dagli autori ?C?era una volta?: «Come iniziano le favole, anche se queste sono vere e quasi mai a lieto fine».
Per pubblicizzarle, e raggiungere anche il pubblico meno avvezzo ai reportage sociali, una schiera di personalità: Jorge Amado, Nelson Mandela, Roger Moore, Richard Gere, Giobbe Covatta, Sara Ferguson, Idris, Giovanni Soldini e Mariangela Melato. « ?Pezzi? belli del nostro mondo», commenta Montanaro, «intervenuti per denunciare tante grandi tragedie irrisolte». Come quelle dei bambini guerrieri della Sierra Leone abituati a uccidere e mutilare sotto l?effetto di potenti droghe, delle prostitute bambine di Fortaleza sfruttate dal turismo sessuale, dei neonati africani malati di Aids che il mondo non lo vedranno mai, dei piccoli haitiani vendute da genitori poverissimi a chi ne farà animali da lavoro e dei ragazzini di strada di Napoli. Tragedie molto difficili da avvicinare e delicate da raccontare a un pubblico che non si conosce. Come si fa? «Ogni volta è una scommessa», risponde Montanaro, «e soprattutto un mettere alla prova le tue capacità di compatire, di soffrire. Senza soccombere al senso di impotenza o al dolore». Come stava per succedergli in Sudan, circondato da bambini che morivano di fame: «Passavo per il mercato a comprare loro qualche cosa, dividevo con loro le mie provviste. Ma poi ti giri e ti accorgi che ce ne sono altri mille, sentirti umiliato allora è facilissimo: vedi dei ragazzini così e pensi a quando eri piccolo tu, e il diritto alla felicità negato a priori dà un brutto colpo alla dignità e all?onore di questo mondo. Facendo emergere un sacco di ipocrisie». Per esempio? «Quelle di chi dà la caccia ai pedofili di Internet quando il Sud del mondo è pieno di turisti che sfruttano sessualmente i bambini. Oppure quelle dei governi che, come a Salvador de Bahia, pensano di aver eliminato la prostituzione infantile solo perché hanno trascinato le bambine via dalle strade ripulite per i turisti. Dove sono oggi quelle bambine?». Per scoprirlo Montanaro lavora con le Nazioni Unite e il mondo dell?associazionismo. Con le ong di Cocis e Focsiv, che l?hanno aiutato ad avvicinare i protagonisti dei documentari e, con i fondi raccolti in seguito alla loro trasmissione, realizzeranno un centro di accoglienza per i bambini soldato in Sierra Leone, una casa per le baby prostitute di Fortaleza e una clinica in Angola.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.