Famiglia
Piccoli ammalati emigrano. Al Nord
L'8 per cento dei ricoveri di minorenni del Sud avviene fuori delle regioni di residenza. Più per sfiducia che per effettive carenze delle strutture meridionali.
«Qui Palermo: altri due bambini morti per l?influenza e il freddo che non danno tregua»: così annunciava qualche giorno fa il telegiornale. Possibile? Ma davvero negli ospedali del sud non sanno curare starnuti, febbre alta e un po? di tosse? Mentre voi perdete tempo a chiedervelo probabilmente un?altra famiglia meridionale ha fatto le valigie e portato il suo bambino in un ospedale romano, ligure o piemontese. Un altro caso di migrazione sanitaria pediatrica, direbbero gli esperti del Gruppo di studio di Pediatria Ospedaliera. Secondo cui, nel 1997, ben l?8% dei ricoveri di minori delle sette regioni meridionali è avvenuto fuori dalle regioni di residenza.
A emigrare dal Molise in cerca di cure sono stati addirittura il 29% dei bambini malati, e le cose non sono andate meglio in Basilicata (27%) e Calabria (13%). Ma quali sono le principali malattie causa della migrazione? Patologie neuropsichiatriche (17%) ma anche problemi oncologici e cardiocircolatori (778 gli interventi di cardiochirurgia svoltisi fuori dalle regioni meridionali nel 1997), ortopedici, otorinolaringoiatrici e perfino traumi. Dati impressionanti snocciolati durante il 7° Congresso nazionale del Gruppo di studio di Pediatria Ospedaliera tenutosi a Roma. Dati che, purtroppo, non sono una novità.
«La migrazione pediatrica è un problema conosciuto da anni», racconta il segretario nazionale del Gruppo di studio nonché fondatore dell?Abio di Melegnano professor Ludovico Perletti. «Il primo studio risale al 1982 e un altro è stato fatto nell?87». Da allora sono passati più di 10 anni ma quasi niente è cambiato. Uguali le percentuali di migrazione e anche le loro motivazioni: sfiducia (35%) e insoddisfazione (12%) delle famiglie, più che effettive carenze strutturali della regione di residenza (30%). Ma allora, professor Perletti, non tutti migrano per reale necessità? «Certo che no. Innanzitutto distinguiamo tra migrazione propria e impropria. Mi spiego: un conto è andare al Nord per un trapianto non eseguibile nella propria regione di residenza, ma un po? meno legittimo è farlo per le tonsille o l?appendicite. E la cosa grave, purtroppo, è che spesso la migrazione è incentivata». In che senso, e da chi? «Diciamo che qualcuno migra per moda, perché lo hanno fatto alcuni amici e si sono trovati bene. Ma la maggior parte perché gli ospedali del Sud non ?pubblicizzano? bene i loro servizi e poi perché alcuni di quelli del Nord hanno tutto l?interesse ad accogliere nuovi pazienti. Tanto che, invece di inviare medici o mettere a disposizione la loro esperienza al Sud, fanno delle belle case alloggio presso i loro istituti. Molto utili, per carità. Ma anche incentivanti. Non dimentichiamoci che per ciascuna delle regioni di invio sembrano esserci delle regioni privilegiate di accoglienza».
Gli istituti, dunque, al Sud ci sono. Secondo Perletti in tutta Italia sarebbero quanti quelli Usa, ma non tutti altrettanto qualificati: «La povertà non è tanto di strutture, quanto di cultura e di programmazione. Bisogna essere capaci di creare le strutture dove mancano e di farle funzionare dove esistono».
Che fare dunque? Negli ultimi anni le proposte non sono mancate. Recentemente, per esempio, la Calabria ha ipotizzato di istituire un nuovo centro pediatrico gestito dall?Istituto Gaslini di Genova (Gaslini 2). Ma in generale una soluzione non è facile. La migrazione sanitaria pediatrica non è infatti fenomeno esclusivamente medico scientifico. «In gioco ci sono la politica, le amministrazioni e tradizioni culturali a lungo sedimentate», spiega Perletti. La sua indicazione è di guardare all?Europa, dove gli ospedali vecchi vengono smantellati e se ne costruiscono di nuovi in poco tempo. «Poi puntare molto sull?informazione». Ossia cercare di ?umanizzare? le strutture ospedaliere e spiegare in modo semplice quali servizi esse offrono e come usufruirne. Misure che possono diminuire la migrazione impropria ma non certo quella causata da problemi neuropsichiatrici. Delle strutture per curarli è insoddisfatto il 40% dei medici e dei genitori dell?Italia intera. Senza distinzioni tra Nord e Sud.
Rosi dacci la Carta
Crescere in famiglia e insieme ai coetanei, frequentare la scuola e luoghi ricreativi, non essere isolato o discriminato a causa della sua condizione e ricevere cure adeguate.
Sono i diritti fondamentali di cui ogni bambino ospedalizzato dovrebbe godere sanciti dalla ?Carta dei Diritti del bambino in ospedale? approvata nel 1988 dalla European Association for Children in Hospital. Ma che, in Italia, vengono molto spesso negati. «Il 40% dei bambini ricoverati in ospedale è collocato in reparti non pediatrici e solo un terzo di quelli che si presentano al Pronto Soccorso è visitato da un pediatra», denuncia l?Abio. L?Associazione per il bambino in ospedale che da qualche giorno ha una speranza in più. «Le cose dovrebbero cambiare», spiega il professor Perletti, del Gruppo di studio Pediatria Ospedaliera. «Il ministro della Sanita, Rosi Bindi ha promesso che l?Italia adotterà la Carta dei diritti del Bambino. E forse riusciremo finalmente a costruire ospedali più umani e davvero a misura di bambino».
Pendolari in pediatria
Via dal Sud
Campania:7%
Sicilia:7%
Sardegna:6%
Puglia:6%
Calabria:13%
Basilicata:27%
Molise:29%
Arrivi al Centro Nord
Lazio:29%
Liguria:20%
Lombardia:6%
Emilia Romagna:14%
Toscana:8,5%
Veneto:5%
Piemonte:4%
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.