Famiglia
Piccole vite bruciate
Improvvisamente poveri, senza un futuro, costretti a lasciare la scuola per cercare un lavoro che non c'è. Così i figli della Tigre provano a ricominciare
«Se andassimo all’orfanotrofio di Po Leung Kuk, mamma e papà risparmierebbero un sacco di soldi». Parola di Wong Wai-yan e Wai-hei, due sorelle di 10 e 8 anni che la crisi dei mercati ha trasformato di colpo in donne adulte. Tra il 1997 e il 1998, infatti, la loro vita a Hong Kong è cambiata completamente: Esther, la mamma, ha perso il suo lavoro di contabile in una multinazionale, e la stessa sorte è toccata due settimane più tardi a James, il papà impiegato dell’American bank. Risultato? A fare la spesa Wai-yan e Wai-hei vanno dopo le 18, quando il pane costa la metà, raccolgono per strada poster e avvisi con le offerte di lavoro e al sogno di diventare infermiere o attrici non credono più. Anche se entrambe possono ancora permettersi di andare a scuola: oggi un “lusso” per molti bambini asiatici. A spiegare perché è Chong Sin Fatt, un ragazzino di 15 anni che tutti a Kuala Lumpur chiamano Ganesh. Il nome datogli dalla mamma indiana prima di affidarlo alla famiglia Pereira, che fino all’anno scorso poteva pagare 26 dollari all’anno per mandarlo a scuola e oggi non ha più soldi per comprargli quaderni e libri di testo. «Il governo paga i libri per studenti bisognosi», racconta Ganesh, «ma che fare quando te li rubano, come spesso succede?». A ottobre dovrà superare gli esami per entrare al liceo, ma senza libri su cui studiare e l’ausilio di lezioni private.
Che le cose non stanno più come prima Jun-Jun, dodicenne di Manila, l’ha capito perché in casa adesso la carne si mangia due volte al mese invece che quattro giorni alla settimana. Con 48 dollari alla settimana, lo stipendio da taxista di suo padre, vivono infatti 13 persone stipate in una casetta di 40 metri. Uan delle tante case della periferia di Manila, dove la Crisi è entrata con la forza facendo piazza pulita di sogni e speranze. Quelle dei genitori di Jun – Jun erano di vederlo, un giorno, medico. «E invece forse farà il meccanico», dice la madre Linda. Anche se a Jun-Jun il padre continua a non voler insegnare a guidare e riparare le macchine: «per la paura che, imparato un mestiere, lasci la scuola e diventi come me».
Le cose non vanno meglio a Bangkok, dove Songkiat Pongpanich, 9 anni, prima della Crisi viveva con i genitori e due sorelle con 266 dollari al mese. Ridottasi più della metà dopo la Crisi, a cui la famiglia sopravvive vendendo spaghetti di soia al mercato e con l’aiuto della Duang Pratheep Foundation. Un’organizzazione non profit che aiuta le famiglie del sobborgo in cui vive anche Songkiat pagando libri, uniformi per la scuola e quaderni ai bambini. «Per il momento», spiega la mamma di Songkiat, «l’unico effetto di questa crisi, per mio figlio, è che non andiamo più da Kentuchy Fried Chicken. Ancora non sa che forse non andrà nemmeno alle scuole medie». C.J.
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