Non profit
Piattaforme? Senza fundraiser non c’è spazio per la relazione con i donatori
Per Stefano Malfatti, direttore Comunicazione e Raccolta Fondi dell'Istituto Serafico di Assisi, le piattaforme di crowdfuding «sono dei data base nei quali viene richiesta una descrizione sintetica che diventa un codice a cui si associano le donazioni. L'elemento fondativo delle raccolte fondi, che è la relazione, qui viene totalmente accantonata, appiattita, uniformata e omogeneizzata». L'intervista
A partire dal caso Malika, la ragazza che con i proventi di una raccolta fondi lanciata sulla piattaforma GoFundMe si era poi comprata una macchina e un cane di lusso generando molto sdegno, abbiamo aperto un dibattito sul tema delle donazioni con Paolo Venturi e Valerio Melandri, Massimo Coen Cagli e Gabriele Sepio e con la direttrice in Europa di GoFundMe, Elisa Liberatori Finocchiaro. Continuiamo il percorso con Stefano Malfatti, direttore Comunicazione e Raccolta Fondi dell'Istituto Serafico di Assisi. L'intervista
Il modo con cui le piattaforme online fanno raccolta, o meglio raccolgono raccolte, spesso somigliano più alle collette parrocchiali che a un vero e proprio fundraising strutturato…
Non voglio fare un discorso ecclesiale. Ma le parrocchie ascoltano i bisogni prima di proporre soluzioni o aiuti. C'è una fase di ascolto e una conseguente risposta al bisogno nella storia delle parrocchie. Sulle piattaforme c'è di tutto un po'. Quando la proposta è di questo tipo si hanno due strade: o si fa leva su chi cerca questo tutto un po' e reagisce di conseguenza oppure essendo di fronte a questo magma scegli. Ma per scegliere serve capacità, cultura, tempo, sensibilità e attitudine al dono vero.
Sta insomma buttando la palla nel campo dei donatori più delle piattaforme?
Sicuramente il donatore è importante e ha una grande responsabilità. Per chiarire faccio un esempio. Qualsiasi strumento utilizzato come si deve funziona. Se quello stesso strumento viene utilizzato con superficialità o dolo diventa immediatamente inopportuno. Prendiamo la televisione. Noi in tv possiamo vedere Piero Angela come il Grande Fratello. C'è una duplice responsabilità: chi propone che cosa, a che orari e con che modalità e chi la guarda e come la guarda. Questo vale per i cellulari, l'e-commerce e tutti i nuovi strumenti. Se una piattaforma vuole fare pesca a strascico lo fa. Se vuole fare crowdfunding lo può fare. Se si vuole distinguere, selezionare e mettere nel giusto cassetto le diverse raccolte lo si può fare. La possibilità di scegliere e uscire dal “di tutto un po'” dipende sia dalle piattaforme che dai donatori. Naturalmente personalmente mi fido molto poco sia delle piattaforme che pescano a strascico e dei donatori che reagiscono emotivamente alle Malika o ai Fedez di tutto.
Stai facendo una distinzione tra fundraising, crowdfunding e donazioni tout court…
L'elemento dirimente è il fundraising. Che è un'altra cosa. È uno sguardo consapevole nel chiedere e nel scegliere a chi chiedere. Una richiesta di donazioni è un punto di arrivo di un percorso che si conclude con una rendicontazione al donatore consapevole. Questo è fundraising non una piattaforma. Però anche una piattaforma, nelle mani di un fundraiser, dentro una strategia consapevole e coerente, può diventare un ottimo strumento.
Le finalità delle raccolte ospitate sulle piattaforme sono spesso molto vaghe e quasi esclusivamente di carattere particolare. Esiste un problema al riguardo?
Assolutamente. Il carattere generale delle raccolte fondi è un tema sostanziale. Per risolvere il problema di una cura sperimentale per un bambino, impostando una raccolta fondi dedicata a quel problema particolare imposti un discorso di ricerca scientifica avrà come oggetto la ricerca, generale. Le raccolte devono essere il più possibile orientate a risolvere problemi di una categoria o comunque generali. Quando le raccolte si personalizzano è già evidente un elemento di criticità. Ma anche qui il fundraiser può risolvere il problema.
Come?
Le piattaforme sono dei data base nei quali viene richiesta una descrizione sintetica che diventa un codice a cui si associano le donazioni. L'elemento fondativo delle raccolte fondi, che è la relazione, qui viene totalmente accantonata, appiattita, uniformata e omogeneizzata.
Nell'intervista con la direttrice in Europa di GoFundMe, a fronte del caso Malika, Elisa Liberatori Finocchiaro dice «anche la storia d’Italia è fatta di avvenimenti grigi che riguardano il settore della solidarietà: scandali sull’utilizzo donazioni da parte di missioni umanitarie, false associazioni onlus usate in maniera illecita, scarsa o nulla trasparenza e rendicontazione». Che ne pensa?
La mancanza di filtro all'ingresso, come viene chiamato nell'intervista, è proprio dovuta alla mancanza di relazione. Se anche chiedessero un filtro all'ingresso su una piattaforma sarebbe sempre operato tramite paletti burocratici che sono ancora una volta elementi freddi che non consentono il confronto di due persone che possono mediare per costruire quel rapporto che vogliono mettere in campo. Per quanto riguarda il teme delle organizzazioni che non hanno o hanno utilizzato male i fondi è tanto generica che non mi sento di rispondere. Non leggo fatti circostanziati. Quindi mi permetto di non commentarlo. L'impostazione chiara deve essere che non è la piattaforma di turno ad essere additata ma il sistema che rappresenta.
Quanto conta il fatto che per una piattaforma il guadagno è rappresentato dal numero di donazioni che si ospitano piuttosto che la risposta ai bisogni?
Io non sono convinto che il loro obiettivo sia accogliere il più alto numero di raccolte possibili. Nel senso che sarebbe come se un imprenditori mirasse a vendere il più alto numero di propri prodotti nell'immediato. È un buon modo per esaurire il business molto in fretta. Credo che il loro obiettivo sia raffinare il proprio modello di business, se così non fosse questo trend si estinguerà tanto velocemente quanto è nato. Il rischio è quello che vediamo oggi: il caso Malika è un bel problema per quanto riguarda la reputazione e la percezione delle piattaforme.
È in questo senso che possiamo leggere la recente notizia della nascita di Peer2Charity, uno strumento dedicato alle organizzazioni perché usino GoFundMe?
Forse stanno cominciando a rendersi conto che le organizzazioni sono elemento chiave con questo mercato delle donazioni. Un patrimonio a livello di persone e know how. E forse ci potrebbe anche essere, se sono sapienti uomini di business, hanno intuito che non possono espandersi pescando a strascico ma attraverso la collaborazione con le organizzazioni.
Rimane il nodo culturale che riguarda il donatore cui accennava all'inizio…
Certo. È un tema enorme. Tra l'altro ancora di più in una cultura italiana in cui lo slancio solidale è enorme e a volte supera l'approfondimento e la conoscenza. Basti guardare all'immediatezza con cui gli italiani rispondono alle emergenze. Bisogna leggere, approfondire, essere curiosi.
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